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Una nuova abitudine di consumare, conveniente e generosa.



  


La spesa alla spina è un nuovo modo di acquistare i generi di prima necessità (pasta, riso, latte, caffè, legumi, vino, ma anche detersivi) sfusi, servendosi di contenitori riutilizzabili, riciclabili e biodegradabil, con un conseguente minor impatto ambientale.

Fare la spesa sfusa comporta una minore produzione di rifiuti, un più efficiente riciclo delle plastiche, un risparmio di energia e una diminuizione di CO2 emessa.

Per tutti questi motivi, è sempre più diffusa nei super e ipermercati d’Italia la scelta di vendere alcuni prodotti “alla spina”.


La prima regione che ha deciso di sovvenzionare un progetto per la vendita sfusa è stato il Piemonte nel 2006.

Sebbene i prodotti coinvolti sono diversi (si va dalla pasta ai legumi, dai detersivi al vino), le modalità sono praticamente le stesse. Automatizzate o no, le macchine distributrici sono molto precise. Il cliente si reca presso il punto vendita con un contenitore (che sarà rigorosamente riutilizzato) e versa al suo interno la quantità desiderata (eventualmente predosata con l’aiuto di appositi dispenser), stampa lo scontrino o etichetta qualsivoglia e si reca a pagare alla cassa.

La sempre maggior attenzione ai problemi ecologici ha fatto si che nell’ultimo periodo ci sia stato un vero e proprio boom di questa modalità di acquisto.

Il connubio di risparmio ed ecologia ha riscosso successo sui consumatori che si sono adeguati al nuovo modo di fare acquisti (in particolar modo al Nord della penisola) dove risulta molto apprezzato per il settore dei detersivi.

Le catene più impegnate su questo fronte sono Coop, Auchan, Crai.

Nei supermercati vi sono zone apposite come gli Ecopiont Crai, “primi mini-store semiambulanti ” in Italia.

Non si tratta, dunque, di una moda passeggera, (in America la spesa sfusa è in voga già da 30 anni) ma numerose sono le variabili che spingono all’acquisto.

In primo luogo il prezzo, la possibilità di riutilizzo del flacone, l’abbattimento dei costi della confezione, il cosiddetto “packaging”.


Niente più confezioni accattivanti e sfavillanti, ideati dai professionisti del marketing per solleticare la curiosità ed il gusto dei consumatori.

Questo modo di fare la spesa è dunque anche una conquista da un punto di vista della autonomia del consumatore, non più spinto e pilotato dai messaggi pubblicitari di massa; il consumatore, con la spesa sfusa, si riappropria della voglia-possibilità di decidere per il contenuto e non per il contenitore. Da destinatario passivo a protagonista dei consumi, dunque, in una dimensione diversa, con un approccio che, sicuramente, non passa inosservato neanche e, soprattutto, a chi, fino ad ora, ha fatto i conti con un consumatore poco attento e manipolabile.

La spesa alla spina elimina, dunque, l’elemento empatico tra consumatore e “brand” (marca) e lo indirizza verso un consumo più coscienzioso, dove la scelta non è dettata dal prodotto che si presenta più accattivante.

Nella spesa alimentare degli italiani, anche se spesso non se ne è a conoscenza, il costo delle confezioni è la componente più rilevante e supera quello del prodotto agricolo contenuto. Packaging sempre più accattivanti per sedurre il consumatore all’acquisto di prodotti che spesso in realtà non sono nemmeno necessari.

Più della metà dello spazio della pattumiera nelle case è occupato da scatole, bottiglie, pacchi con i quali sono confezionati i prodotti della spesa e che generano tonnellate di rifiuti.

L’obiettivo da perseguire è, dunque, quello di ridurre i contenitori dei prodotti che contribuiscono a generare montagne di rifiuti da smaltire, ma anche rendere più lieve il costo della spesa quotidiana delle famiglie.

Gli imballaggi presenti nei generi alimentari, oltre a far crescere il prezzo di vendita, a causa del peso maggiore, innescano anche aumenti nei costi di trasporto, per non parlare di quelli legati al marketing (pubblicità, e tutto ciò che può rendere commercialmente più appetibile un prodotto), costi che immancabilmente ed inesorabilmente ricadono sull’acquirente finale.

Via libera, quindi, ad acquisti più consapevoli, concreti, che mirano più alla sostanza che alla forma, con un ritorno di immagine, sicuramente più lusinghiera per i consumatori, più attenti a come spendere i soldi e come ad erodere potere a produttori più interessati al profitto che alla qualità.

 

Maria Cipparrone

(avvocato e counselor)