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L’amministratore non può limitare il diritto d’uso delle cose comuni.

La
legge riconosce all’amministratore di condominio una serie di poteri
che lo stesso può esercitare senza preventiva autorizzazione
dell’assemblea (articolo 1130 codice civile), in particolare:


    eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini e
    curare l’osservanza del regolamento di condominio;


    disciplinare l’uso delle cose comuni e la prestazione dei
    servizi nell’interesse comune;


    riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la
    manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per
    l’esercizio dei servizi comuni, e gestire il relativo fondo;


    compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti
    comuni dell’edificio;


    rendere, annualmente, il conto della sua gestione;


    ricorrere alle vie legali per ottenere un decreto di ingiunzione
    immediatamente esecutivo per la riscossione dei contributi in base
    allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea;


    convocare l’assemblea sia in via ordinaria, sia in via
    straordinaria quando sia ritenuto necessario dallo stesso
    amministratore o quando ne sia fatta richiesta di almeno due
    condomini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio;


    agire e resistere in giudizio, nei limiti stabiliti dalla legge.

In
ordine ai limiti di tali attribuzioni è intervenuta la Corte
di Cassazione con la recente sentenza 11 giugno 2009 n. 13626,
affermando che l’amministratore,
nonostante
abbia il compito, senza necessità di specifica delibera
assembleare, di disciplinare l’uso delle cose comuni,
non
può limitare il diritto d’uso dei condomini in relazione alle
cose comuni rendendo più gravoso il raggiungimento delle
proprietà esclusive.


Nel
caso esaminato la proprietaria di un locale terraneo esteso
all’interno oltre la proiezione verticale dell’edificio, con accesso
dalla chiostrina condominiale attraverso l’androne del portone,
lamentava il rifiuto dell’amministratore di consegnarle le chiavi del
portone e della chiostrina, con la motivazione che esse dovessero
rimanere nelle mani del portiere sotto la cui sorveglianza
rientravano le cose comuni. Ebbene, la Corte ha concluso che la
proprietaria del locale, quale condomina, ha diritto ad avere le
chiavi del portone e quelle della chiostrina, non potendo essere
limitato l’accesso alla proprietà esclusiva dal solo
amministratore, il cui potere di disciplinare l’uso delle cose comuni
“è finalizzato ad assicurare il pari uso di
tutti i condomini e non può certo estendersi fino a negare ad
uno di essi ciò che è consentito a tutti gli altri,
qual è, nella specie il passaggio”.

Erminia
Acri-Avvocato