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Ciò che mangiamo, rivela chi siamo.


Approfondimenti tecnici

Ognuno è quel che mangia. Mai frase è sembrata così vera come questa. A ripeterla, spesso, sono i dietologi e i nutrizionisti che ritengono, a ragione, che la salute ed il benessere dipendono molto da ciò che si mangia, dagli alimenti, da come vengono preparati e da come vengono assunti.

Ma c’è un altro modo per intendere questa frase ed quello che attiene agli aspetti psicologici del cibo. Nel senso che il nostro modo di essere, il nostro carattere e, più in generale, la nostra personalità è determinante nella scelta dei cibi.

Il rapporto fra il cibo e l’essere umano può esser visto da diversi punti di vista; il primo, in riferimento a quello che il cibo ricorda, a ciò che si è imparato mediante quel cibo, a ciò che si è ricavato in termini di relazioni, e, quindi il legame con alcune figure fondamentali della propria vita, innanzitutto con la madre.

Se ci fermiamo un attimo a riflettere il primo rapporto che lega alla propria madre è quello che ha a che fare con l’accudimento e con la nutrizione. Il momento della pappa, in condizioni di normalità, è legato ad un momento di amore, tenerezza ed intimità con la madre. Questo legame condizionerà l’esistenza ed inizialmente coincide con la nutrizione.

Oltre a questo, bisogna considerare le altre esperienze della vita legate al cibo, cosa rappresentava nella propria famiglia, se pranzare o cenare era un appuntamento importante.

Nel sud, per esempio, il cibo rappresenta ancora un momento di comunione, di convivialità, rappresenta uno strumento per veicolare affetto o per dimostrare la stima; famose sono le immagini di queste tavolate che riuniscono le famiglie e non solo e che, comunque, mostrano l’accorciarsi delle distanze e l’esigenza di intimità e condivisione.

E’ un modo per comunicare. Dinanzi ad un buon piatto si possono tessere relazioni, stringere alleanze, concludere affari.

Il rapporto con il cibo permea, dunque, l’esistenza e la caratterizza, soprattutto in momenti particolari, delicati. E’ un indicatore molto importante dell’ umore e mette in evidenza i vuoti e le carenze.

Se siamo felici o preoccupati, può diminuire l’appetito, al contrario se siamo frustrati o bisognosi d’affetto cerchiamo nel cibo quell’appagamento che non troviamo altrove. Le emozioni, positive o negative che siano, incidono sulla percezione della fame, condizionandola.

A ben riflettere, sono proprio i disturbi alimentari la spia luminosa che aiutano spesso gli esperti ad individuare i disagi più profondi dell’individuo.

Normalmente un buon rapporto con il cibo coincide con un buon equilibrio psicologico. Una dieta, e per dieta s’intende, abitudini alimentari corrette, sane, indicano che la persona tende all’equilibrio, viceversa i disordini alimentari riflettono una condizione interiore di conflittualità, di confusione che, naturalmente è sempre reversibile e può accompagnare alcuni periodi della vita di ognuno.

Il cibo, dunque, oltre a nutrire il corpo, nutre la mente, ed è in rapporto stretto con la pische.

Sia che siamo intendi alla preparazione che alla degustazione di piatti, impegniamo tre o quattro dei nostri sensi, quali la vista, l’olfatto, il gusto ed il tatto. I profumi, la forma, i sapori, il calore che ci trasmette il cibo nutrono la nostra mente, l’inebriano, la soddisfano ed in più possono riportarla a momenti passati.

Altro punto importante, è che il cibo, oltre a legarci con l’ambiente, ci mette in collegamento con le leggi di natura, con quello che è intorno a noi. Un pescatore probabilmente apprezza il pesce come un montanaro apprezza la carne ed i salumi.

Ma la scelta dei cibi da cosa è determinata?

Il cibo si sceglie non solo quando si mangia, ma anche quando si prepara.

Si scelgono gli alimenti in base al tipo di personalità che si è sviluppato, poi però ciò deve intersecarsi anche con gli apprendimenti, se per esempio ci insegnano che le aringhe affumicate le mangia il personaggio assimilabile al principe azzurro e noi vogliamo assomigliare o identificarci con lui, è chiaro che mangiamo l’aringa affumicata anche se in realtà è un cibo poco nobile.

Ognuno, dunque, è quel che mangia, ma ciò va mediato con l’apprendimento, con i messaggi che ci sono stati trasmessi e che abbiamo fatto nostri. Attraverso l’affettività che ci lega ai genitori o ad altri familiari che si sono occupati di noi, mediante questi legami, noi costruiamo i nostri gusti e le nostre abitudini alimentari.

Le loro figure si legano moltissimo con la scelta degli alimenti che quotidianamente portiamo sulle nostre tavole.

Ci piace qualcosa perché piaceva a loro e non preferiamo alcuni ingredienti o alcuni piatti perché a loro non piacevano o perchè, per alcuni momenti, come capita nelle migliori famiglie, il rapporto con alcuni di loro è stato conflittuale.

Anche chi sceglie di occuparsi di cibo, come hobby o come lavoro, lo fa in base a ciò che ha imparato relativamente al cibo ed in base alla sua personalità.

Solitamente si tratta di persone che apprezzano la vita, che esprimono se stessi ed il proprio temperamento attraverso la preparazione e la creazione di piatti che, oltre a soddisfare il palato, stuzzicano la mente e la interpretano.

 

Maria Cipparrone

(counselor)