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Pare che tutti noi abbiamo una memoria flash!


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Un lavoro americano recentissimo pubblicato su Nature Neuroscience (Sidiropoulou K., Lu F-M., et al. Dopamine modulate an mGluR5-mediated depolarization underlying prefrontal persistent activity. February 2009; 12(2):190-199), stabilisce che le tracce di memoria vengono temporaneamente conservate grazie all’attività di alcune cellule nervose localizzate nel lobo frontale, che funzionano quindi come una sorta di camera pre-mnemonica prima dell’archiviazione definitiva.

Il tempo di fissazione dei ricordi prevede una serie di reazioni a cascata che ha come prodotto finale la formazione di nuove sinapsi o il rimodellamento di quelle già esistenti, processi che richiedono entrambi tempi molto lunghi. D’altra parte le sollecitazioni a cui siamo esposti quotidianamente sono tantissime e “pretendono” tempi rapidissimi di acquisizione.

L’attività dei neuroni corticali del lobo frontale, una delle regioni più evolute del cervello, è strettamente associata ai processi legati all’attenzione e alla memoria. L’abuso di farmaci e l’uso di droghe compromettono il normale svolgimento di tali attività, ma i meccanismi che stanno alla base delle proprietà neuronali che le sostengono sono ad oggi poco conosciuti. I neuroni delle corteccia prefrontale sono capaci di mantenere un potenziale d’azione, ossia sono in grado di rimanere in stato di attivazione persistente nel tempo che intercorre fra l’acquisizione delle informazioni e la risposta. Un continuo potenziale d’azione potrebbe fornire informazioni sufficienti per una corretta risposta comportamentale fino a che non è più necessario.

In questo studio gli autori usano un approccio sperimentale per registrare il meccanismo intrinseco capace di convertire rapidi stimoli necessari a raggiungere la soglia di attivazione per dare le risposte persistenti nei neuroni piramidali della corteccia prefrontale. Queste informazioni rapide durano pochi secondi ed innescano un meccanismo di memoria temporanea che dura meno di un minuto; il processo prende il nome di trasmissione metabotropica del glutammato.

Più in dettaglio i ricercatori utilizzano la tecnica del patch-clamp eseguita sui topi di laboratorio per registrare l’attività dei neuroni piramidali della corteccia prefrontale, per identificare una depolarizzazione postsinaptica evocata dai potenziali d’azione e mediata dal recettore del glutammato metabotropico 5 (mGluR5). Questo recettore, quando viene attivato, innesca una cascata di reazioni cellulari che utilizzano il calcio e che forniscono il meccanismo per gestire le tracce mnemoniche e “trattenerle” per tempi rapidissimi. Alcune di queste saranno poi inviate e conservate nella memoria principale del cervello, ossia l’ippocampo.

La comprensione di questo meccanismo fornisce le basi per meglio studiare quelle patologie come il deficit di attenzione, la schizofrenia e le patologie da stress post-traumatico, nelle quali sono coinvolti i meccanismi associati alla memoria e all’attenzione.