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Panettone o pandoro? Solo questione di gusti.


 

A causa della crisi economica gli italiani tireranno la cinghia anche durante il periodo natalizio, in calo i consumi, l’unico settore a tener testa sarà quello alimentare, soprattutto quello legato alla tradizione pasticciera. Al via dunque la scelta tra pandoro e panettone.

In realtà pandori e panettoni sono immessi in commercio con due mesi di anticipo, per cercare di aumentarne le vendite, e sin da allora si sono registrati aumenti, fino a 8%, così come denunciano le associazioni dei consumatori, solo per i prodotti non di marca.

A chi compra, tocca pagare qualcosa in più: per i prodotti di marca, si è passati a 7,99 euro di media per il panettone (+3,8%) e a 7,10 euro per il pandoro (+3,6%). Quelli non di marca aumentano in proporzione anche di più: a 3,99 euro per il panettone (+7,8%) e a 3,75% per il pandoro (+7,1%).

Per non incorrere in amare sorprese ebbene tener presenti alcune considerazioni e non solo di carattere economico.

Una cosa è certa, la qualità di panettoni e pandori è più sicura, infatti possono essere dichiarati tali, solo quei dolci tipici che rispettano le precise regole di produzione previste dal decreto del 22 luglio 2005 (disciplina della produzione), sebbene la truffa è sempre in agguato. Diffidare pertanto di prodotti a basso costo o che riportano sulla confezione nomi alternativi quali: “dolce di Natale”,” torta di Natale” o diciture simili.

Cosa stabilisce la legge in merito a tanta dolcezza?

Innanzitutto ne certifica la denominazione e ne specifica la lista degli ingredienti stabilendo quantità minime in percentuale. Alla lista che il prodotto deve presentare per essere dichiarato panettone o pandoro il produttore potrà aggiungere altri ingredienti quali: aromi naturali, latte e derivati per esempio.

Qual è la differenza tra panettone artigianale ed industriale?

Ovviamente ci sarà una differenza di costo, quello artigianale è più costoso rispetto l’ industriale, il quale non sempre è di migliore qualità, ma sicuramente più fresco. Il costo dei prodotti industriali varia a seconda della qualità e della marca, senza contare dei negozianti speculatori, può accader infatti che a parità di prodotto e marca troviamo sensibili variazioni di prezzo da un venditore ad un altro, pertanto occhio alle tante offerte..

Ma per un attimo abbandoniamo il mondo dei consumi e tuffiamoci nella storia e nella leggenda che avvolgono queste due leccornie natalizie…

L’origine del panettone è lombarda, anzi milanese. Sembra che esistesse già nel ‘200, come un primo pane arricchito di lievito, miele, uva secca e zucca. Nel ‘600 aveva la forma di una rozza focaccia, fatta di farina di grano e chicchi d’uva. Nell’800 il panettone era una specie di pane di farina di grano arricchito con uova, zucchero, uva passa (la presenza di quest’ultimo ingrediente aveva una funzione propiziatoria, quale presagio di ricchezza e denaro).

Ci sono varie leggende legate all’alchimia del panettone. Una prima ambientata a fine ‘400, narra di Ughetto figlio del condottiero Giacometto degli Atellani, che si innamorò della bella e giovane Adalgisa. Per star vicino alla sua amata egli s’improvvisò pasticcere come il padre di lei, tal Toni, creando un pane ricco, aggiungendo alla farina e al lievito, burro, uova, zucchero, cedro e aranci canditi. Erano i tempi di Ludovico il Moro, e la moglie duchessa Beatrice, vista questa grande passione del giovane, aiutata dei padri Domenicani e da Leonardo da Vinci, si impegnò a convincere Giacometto degli Atellani a far sposare il figlio con la popolana. Il dolce frutto di tale amore divenne un successo senza precedenti, e la gente venne da ogni contrada per comprare e gustare il “Pan del Ton”.

Narra una seconda leggenda che per la vigilia di Natale, alla corte del duca Ludovico, era stata predisposta la preparazione di un dolce particolare. Purtroppo durante la cottura questo pane a cupola contenente acini d’uva si bruciò, gettando il cuoco nella disperazione. Fra imprecazioni e urla, si levò la voce di uno sguattero, che si chiamava Toni, il quale consigliò di servire lo stesso il dolce, giustificandolo come una specialità con la crosta. Quando la ricetta inconsueta venne presentata agli invitati fu accolta da fragorosi applausi, e dopo l’assaggio un coro di lodi si levò da tutta la tavolata; era nato il “pan del Toni”.
Uno degli artefici del panettone moderno è stato Paolo Biffi, che curò un enorme dolce per Pio IX al quale lo spedì con una carrozza speciale nel 1847. Golosi del pant del ton sono stati molti personaggi storici: dal Manzoni al principe austriaco Metternich, quest’ultimo parlando delle “cinque giornate” disse dei milanesi: “Sono buoni come i panettoni”.

La cronaca, quindi, la storia, ci dice invece che, fin dal 1000, a Milano, si fabbricava un pane appositamente per il giorno di Natale, che le croste di esso venivano poste in serbo per benedire la gola e mangiate a S. Biagio, che i tizzoni del fuoco ch’era servito a cuocere il panettone si tenevano in casa per scongiurare il cattivo tempo, e altre disgrazie; altri asseriscono che il dolce milanese deriva dall’uso di frutta secca che, nel primo secolo del cristianesimo, si faceva nei giorni di magro e di penitenza, affine in questo al pane giallo dei romani e dei genovesi. In ultimo, alcuni che, dal punto di vista storico hanno forse più ragione degli altri, affermano che gli statuti delle antiche corporazioni vietavano ai fornai che impastavano il pane per i poveri (pan de mei o di miglio o misto) d’impastare il pane per i ricchi (bianco o micca) tranne nel giorno di Natale in cui lo davano in dono ai loro clienti, pertanto il popolo finì col chiamare il pane di frumento o dei signori: pan de ton.

Fu allora che i fornai dei sciuri, per regalare qualcosa a coloro che tutto l’anno mangiavano pan bianco, scelsero quelle focacce di fior di farina condita di burro, zucchero e uova ecc.

Cadute in disuso le rigide ed antieconomiche ordinanze su i fornai, ordinanze che stabilivano i diversi tipi di pane, quello democratico e quello aristocratico, tutti i clienti dei prestinee ebbero in dono, per Natale, un pan de ton di un volume proporzionato all’entita dei loro acquisti.

L’uso del pan de ton, divenuto panettone per una comprensibile corruzione della parola, si generalizzò fino ai dì nostri, nei quali scomparve l’uso del dono dei prestinee ai clienti perchè dichiarato una specie di atto servile del commerciante verso il cliente, e per ciò contrario alla dignità professionale.

La forma e la confezione attuale del panettone sono databili, invece, alla prima metà del ‘900, quando Angelo Motta propose il cupolone e il “pirottino” di carta da forno, quasi a celebrare la crescita e l’importanza del preparato.

Per quanto riguarda, invece, il pandoro, questa è una golosità tipica veronese, delicata, soffice, “cresciuta”, che ha trovato un posto d’onore nelle tavole natalizie italiane. Anche la sua storia è ricca di aneddoti e leggende.

L’attuale versione del pandoro risale all’ottocento come evoluzione del “nadalin”, il duecentesco dolce della città di Verona. Il suo nome e alcune delle sue peculiarità risalirebbero invece ai tempi della Repubblica Veneziana (prospera nel Rinascimento fino all’esibizionismo grazie al commercio marittimo con l’oriente), dove sembra fra l’offerta di cibi ricoperti con sottili foglie d’oro zecchino, ci fosse anche un dolce a forma conica chiamato “pan de oro”.

Un’altra storia assegna la maternità del pandoro alla famosa brioche francese, che per secoli ha rappresentato il dessert della corte dei Dogi.

In ogni caso c’è una data che sanziona ufficialmente la nascita del pandoro, il 14 ottobre 1884, giorno in cui Domenico Melegatti depositò all’ufficio brevetti un dolce dall’impasto morbido e dal caratteristico stampo di cottura con forma di stella troncoconica a otto punte, opera dell’artista Dall’Oca Bianca, pittore impressionista.

Maria Cipparrone