Chi lo “fissa” nel cervello?
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La rivista prestigiosa, Nature Neuroscience, il gruppo condotto da Kerry J Ressler della Emory University di Atlanta (USA), la proteina implicata la â-catenina (Kimberly A Maguschat & Kerry J Ressler. â-catenin is required for memory consolidation. Nature Neuroscience; published online: 28 September 2008).
Le funzioni svolte da questa proteina sono molteplici: dal mantenimento dello scheletro della cellula alla membrana esterna che, a sua volta, la tiene unita alle altre cellule, alla trasmissione di segnali correlati allo sviluppo dell’embrione. La Beta-catenina è coinvolta direttamente negli eventi che mediano i processi di apprendimento e memoria, in particolare nella memorizzazione dei brutti ricordi. I ricercatori hanno esaminato gli effetti della molecola nel processo di fissazione della paura in vivo. L’attivazione della â-catenina nell’amigdala partecipa alla stabilizzazione del ricordo dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine e dopo tale periodo non è più essenziale; a tal proposito topi sono stati stimolati con una leggera scossa elettrica contemporanea all’ascolto di un suono. L’apprendimento consisteva nell’imparare ad aver paura di quel suono, infatti il solo ascolto paralizzava le cavie. Non potendo “silenziare” il gene che codifica per la â-catenina, essendo fondamentale nello sviluppo dell’embrione, si è proceduto con un approccio farmacologico, somministrando sali di Litio, oppure iniettando nel cervello delle cavie adulte direttamente un virus capace di degradare la â-catenina. I sali di Litio, inibendo un enzima che degrada la Beta-catenina, consolidavano lo stimolo ossia la fissazione della paura; al contrario iniettando nell’amigdala il virus che degrada la proteina i topi erano ancora in grado di apprendere la paura, ma dopo due giorni perdevano il ricordo. Da ciò si è concluso che la â-catenina è richiesta all’interno dell’amigdala per la memorizzazione, ma non per l’acquisizione o l’espressione del ricordo della paura.
Le possibili applicazioni riguardano la somministrazione di farmaci che potrebbero interferire inibendo la normale attività della proteina e quindi impedire la formazione di cattivi ricordi dopo, per esempio, eventi traumatici, oppure potenziarne la sua azione per il trattamento dei disturbi della memoria.
Dott. Fernanda Annesi – Biologa
Biologa CNR, Counselor. Responsabile “gestione area informativa” Progetto SOS Alzheimer On Line