Posted on

Le focusing illusions. Tutto il futuro davanti?


 

 

Il segreto del successo

“Benvenuto il luogo dove tutto è ironia, il luogo dove c’è la vita e i vari tipi di allegria; dove si nasce, dove si vive sorridendo, dove si soffre senza dar la colpa al mondo. Benvenuto il luogo delle confusioni, dove i conti non tornano mai, ma non si ha paura delle contraddizioni, dove esiste il caos ma non come condanna, dove si ride per come è strana la donna. Benvenuto il luogo dove il futuro è sempre più precario. Benvenuto il luogo dove si crede a tutto e non si crede affatto; benvenuto il luogo dove tanta gente insieme non fa massa. Benvenuto il luogo dove se un tuo pensiero trova compagnia probabilmente è già il momento di cambiare idea. Il luogo dove l’estetica è importante e poi, malgrado l’ignoranza, tutto è intelligente. Benvenuto il luogo dove non si prende niente sul serio, dove il rito è superato ma necessario; dove fascismo e comunismo sono vecchi soprannomi per anziani, dove neanche gli indovini pensano al domani. Benvenuto il luogo dove tutto è calcolato e non funziona niente… e, per mettersi d’accordo, si ruba onestamente. Benvenuto il luogo dove tutto è melodramma; un luogo pieno di dialetti strani di sentimenti quasi sconosciuti, dove i poeti sono nati tutti a Recanati. Benvenuto il luogo dove tutto è ironia; il luogo dove c’è la vita e i vari tipi di allegria… magari un po’ per non morire, un po’ per celia il luogo, caso strano, sembra proprio l’Italia” (Giorgio Gaber).

 


Partendo dal principio che, con il termine personalità, intendiamo riferirci al complesso delle caratteristiche psicologiche, morali e intellettuali di ciascun individuo, la moderna sociopsiconeurofisiologia (la disciplina che studia il rapporto fra le difficoltà che si incontrano nel realizzare gli obiettivi e le ricadute sul piano neurometabolico, riportando il tutto con un incidenza statistica, a livello sociologico) individua in essa, la base dei potenziali “esplicati” (in funzione di una “impronta” genetica e delle sollecitazioni ambientali) consentendo la visione di un essere umano come quella di due facce di una stessa medaglia rappresentante, rispettivamente, la componente corporea (nel suo insieme di organi e apparati) e quella psichica (capace di acquisire dati, elaborarli e comunicarli).

In breve, cosa sono i disturbi della personalità?

Il testo che rappresenta un punto di riferimento nel panorama mondiale dei disturbi mentali, il DSM IV – TR (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), indica con il termine “Disturbo di Personalità”, la seguente definizione: “Modello di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo, è pervasivo e inflessibile, esordisce nell’adolescenza o nella prima età adulta, è stabile nel tempo e determina disagio o menomazione”.


Quali sono le motivazioni?

Non è facile monitorare un campione vasto di popolazione per comprendere il perché dell’instaurarsi di disturbi della personalità, anche se tale manifestazione è statisticamente significativa in persone che hanno subito esperienze traumatiche o, comunque, stressanti.

È frequente, tuttavia, rendersi conto del fatto che un certo disagio esistenziale, prodromico di quel malessere che si evidenzia ogni qual volta ci si trova di fronte a disequilibri della personalità si eliciti in ognuno di noi, dal momento che, nella Società attuale, è evidente la discrepanza che esiste fra una corretta impostazione di vita che tenga conto di una realizzazione secondo il rispetto di legittime aspirazioni evolutive e il condizionamento sociale, tenuto conto delle difficoltà legate all’esiguo sviluppo in termini maturativi che, ciascun essere umano contemporaneo, si porta dietro.

Nella maggior parte dei casi, paradossalmente, i maggiori disagi si manifestano nei contesti in cui un relativo benessere economico si è ormai consolidato. Una simile osservazione è suffragata da un banale quanto rilevante elemento di realtà. Nel momento in cui ci si mette in condizione di avere garantite le necessità di base, ha inizio la fase più difficile cui un individuo può andare incontro: cercare la motivazione che dia un senso concreto alla propria esistenza. Un sistema sociale basato sulla necessità di produrre reddito in funzione di un incremento della propria capacità di spesa piuttosto che di un miglioramento nei settori che prevedono tutela, formazione e assistenza, comporta la creazione di svalutazioni sperequative nei confronti di valori fondamentali come: lavoro sostenibile, relazioni affettive, tempo libero. Le problematiche interiori che si instaureranno a seguito delle difficoltà di gestione delle proprie risorse globali (tempo, energia e motivazioni) determineranno quei conflitti emozionali responsabili delle nevrosi che, in vari misura (per qualità e quantità) avvelenano il nostro quotidiano.

Sul piano più propriamente “accademico”, sembra probabile che i Disturbi di Personalità (che sembrano statisticamente comparire in un’età compresa fra i 15 e i 35 anni) siano il risultato dell’interazione fra diversi fattori:

  • Elementi biologici e fattori costituzionali predisponenti (dismetabolismi e familiarità);
  • Complicanze della gravidanza e del parto (fattori predisponenti);
  • Abuso di sostanze tossiche (droghe, alcolici, etc.);
  • Alterazioni neurochimiche;
  • Crescita in condizioni ambientali (famiglia, scuola, amicizie, etc.) disagevoli, disturbanti, problematici, disgregati;
  • Esperienze traumatiche;
  • Capacità di integrazione e grado di accettabilità delle proprie peculiarità caratteriali all’interno di gruppi significativi (ambiente lavorativo, famiglia, amicizie, etc.)

È altresì vero, inoltre, che una personalità disturbata, accresce in maniera esponenziale le difficoltà sopra menzionate, influenza il decorso dei disturbi post-traumatici, aumenta la vulnerabilità di una persona a sviluppare disturbi post-traumatici, contribuisce al mantenimento di disturbi post-traumatici.

Come si classificano i disturbi della personalità?

Sempre secondo il manuale di riferimento, il DSM IV, si elencano tre gruppi fondamentali in base ad analogie descrittive. Questo sistema di raggruppamento, sebbene utile in ambito didattico e di ricerca, presenta delle limitazioni legate al fatto che gli individui coinvolti frequentemente presentano una concomitanza di disturbi appartenenti a gruppi diversi.

Il gruppo A include i Disturbi di Personalità Paranoide (caratterizzati da sfiducia e sospettosità per cui, le motivazioni altrui, sono vissute con notevole diffidenza), Schizoide (con distacco dalle relazioni sociali e una gamma ristretta di espressività emotiva) e Schizotipico (con disagio acuto nelle relazioni affettive e distorsioni cognitive e percettive: gli individui con questi disturbi spesso appaiono strani o eccentrici).

Il gruppo B include i Disturbi di Personalità Antisociale (con inosservanza e violazione dei diritti altrui), Borderline (con profonda instabilità nelle relazioni sociali, nella valutazione di sé e negli affetti: è presente, inoltre una marcata impulsività), Istrionico (caratterizzato da emotività eccessiva e ricerca dell’attenzione altrui) e Narcisistico (con sentimento di “grandiosità” interiore, necessità di sentirsi ammirati e scarsa disponibilità alla considerazione altrui).

Il gruppo C include i Disturbi di Personalità Evitante (con inibizione, senso di inadeguatezza e ipersensibilità ai giudizi negativi), Dipendente (con comportamento sottomesso e proteso alla ricerca di essere accuditi e protetti), e Ossessivo – Compulsivo (con necessità maniacali di ricerca dell’ordine e del perfezionismo, con spiccata tendenza alla ricerca dell’autocontrollo).


“Noi vogliamo, per quel fuoco che ci arde nel cervello, tuffarci nell’abisso, inferno o cielo non importa. Giù nell’ignoto per trovarvi del nuovo” (Charles Baudelaire).


L’arco nobile e crucciato del sopracciglio sotto cui passa il dolore atavico del Sud del mondo, il volto fragile e scavato, “lavorato” dalla staticità del tempo, la fragilità potente del suo urlo sfiatato. Con un calore umano mischiato all’affettuoso senso del fallimento della propria vita. È un adolescente che non sa fare il padre e “gioca” ad aspettare.

Anton Checov, Eduardo de Filippo e Vittorio de Sica (giusto per citare alcuni autori di respiro internazionale) sembrano i parametri di riferimento cui le generazioni delle qualifiche incerte, quelle dalle poche tutele e soprattutto dell’impossibilità di programmare il proprio futuro, attingono aspirazioni e sottodimensionamenti da precari del presente che “sanno” tanto dei Malavoglia di verghiama memoria. Quelli che si chinavano in avanti, raccogliendosi in posizione fetale… per terminane prima, più che per proteggersi.

“Dove c’è una grande volontà non possono esserci grandi difficoltà” (Niccolò Machiavelli).

Precariato e disturi della personalità

E’ innegabile che lo svolgimento di un’attività lavorativa che risponde a criteri di gratificazione individuale giovi al benessere del singolo e, di conseguenza, dell’intera collettività. Quando questa condizione viene frustrata, la persona genera una situazione di disagio esistenziale. A tal proposito si analizzano tre differenti ambiti che permettono di analizzare il rapporto tra il lavoro e i disturbi della personalità:

  • Fase di disoccupazione – Come è noto, la disoccupazione genera gravi conseguenze sul piano economico e sociale ma molti sottovalutano i gravi effetti sulla salute psicofisica dell’essere umano che si manifestano attraverso vari sintomi di diversa intensità quali ad esempio ansia, disturbi del tono dell’umore, disturbi psicotici (come tentativo di fuga dalla realtà) e disturbi psicosomatici;
  • Fase di attività lavorativa – L’occupato non soddisfatto del proprio lavoro può manifestare un livello di stress particolarmente significativo e dannoso tanto da comportare assenteismo, demotivazione e minore produttività. Anche qui i disturbi sono, tra gli altri: stato di ansia generalizzata, sindrome ansioso depressiva reattiva, disturbi del tono dell’umore, psicosomatosi (ulcere, gastriti, colite, dolori al torace, sensazione di soffocamento, quadri isterici, etc);
  • Fase di licenziamento – In caso di perdita del lavoro, la persona potrebbe presentare: sindrome depressive, senso di inadeguatezza nel sociale, forme aggressive nei confronti di se stessa o degli altri, ansia e intensi traumi psicologici.

Cosa viene frustrato in termini di ambizioni e legittime aspirazioni?

Ognuno di noi, può inquadrare la propria esistenza, come una sorta di incarico “naturale” che offre delle opportunità con “mandato a termine”, all’interno di uno spazio temporale variabile e indefinito. A queste condizioni, è giocoforza concludere che, qualunque sia l’indirizzo verso cui decliniamo il nostro sguardo, sarà opportuno impegnarsi al meglio possibile, per evitare rimpianti.

Ecco perché si tende ad ottenere il successo in ciò che decidiamo di realizzare, a prescindere dall’ambito delle competenze in cui ci si trova ad operare. Il problema, però, nasce dal fatto che, a seconda dell’ambiente in cui si cresce (e che costituisce il modello di riferimento inconsapevolmente responsabile della formazione del carattere di ogni individuo) si cerca di ottenere dei risultati apprezzabili mediante due strade, una corretta e l’altra no:

  • La legittima aspirazione di realizzarsi in qualcosa;
  • La deleteria ambizione di acquisire “potere contrattuale”, blandendo chi sta intorno e carpendo la sua fiducia.

Ostacoli sul cammino…

Uno dei problemi più angosciosi che ciascuno avverte, fin da piccolo, consiste nella paura di non essere accettato dall’ambiente in cui si trova ad operare. In genere, si combatte una simile situazione con l’instaurarsi (inconsapevole) di condizioni caratteriali compensatorie, che spaziano da meccanismi aggressivi (arroganza, boria, snobismo, etc.) a tentativi di “fuga” (timidezza, senso di inadeguatezza, etc.) culminando, a volte, nell’accettazione di ruoli passivi e gregarizzanti, in cui si è disponibili a tutto, pur di “sentirsi” parte di un gruppo e non farsi estromettere. Raramente, si affronta il problema “prendendo il toro per le corna”, cioè individuando in che modo gli altri possano interessarsi a noi e a quali condizioni di utilità corretta, siamo disponibili ad intersecare l’integrità e la dignità del nostro modo di essere con i gusti e le aspettative dell’ambiente di riferimento.

Integrazione nell’adattamento.

Alla base di qualunque obiettivo che consenta l’appagamento di bisogni e desideri, esiste la necessità di instaurare relazioni interpersonali in grado di consentire l’inserimento nell’ambito operativo, fatto di scambi continui. Inoltre, è bene ricordare, preliminarmente, che ogni essere umano ha necessità di comunicare con gli altri (e con alcuni in particolare) perché, in tal modo, dà sfogo alle emozioni generate dalle riflessioni più o meno consapevoli. Si tratta quindi di proporre argomentazioni che si trovino sulla stessa lunghezza d’onda dell’ascolto altrui, per diventare appetibili all’interesse del mondo esterno.

Cosa significa dialogare?

Conversare (parlare e ascoltare nel rispetto reciproco) su argomenti che attirano la nostra attenzione e nei confronti dei quali (possibilmente), avere un minimo di preparazione, con persone che valutiamo essere di una qualche utilità o da cui non è possibile accomiatarsi in tempi brevi. Quando ci si scambia impressioni frutto di considerazioni ponderate, si realizza ciò che va sotto il nome di ragionamento.

Elementi da considerare

Il termine “successo”, viene dal latino sub cedere e contiene l’idea fondamentale di “muoversi, andare”. Nei dizionari della lingua italiana, identifica l’effetto ultimo in un susseguirsi di fatti, in un’attività dall’esito favorevole.

“Le persone che riescono, in questo mondo, sono quelle che vanno alla ricerca delle condizioni che desiderano e, se non le trovano, le creano” (George Bernard Shaw).

In genere, per ottenere dei buoni risultati è necessario determinare gli obiettivi che ci interessa raggiungere (lavoro, relazioni sociali, legami affettivi, etc.) e individuare, successivamente, la migliore strategia applicativa. Inoltre, il metodo che consente una buona realizzazione, non può non tener conto dell’analisi del contesto ambientale in cui ci si troverà ad operare, in maniera da prevedere margini produttivi e aspetti di difficoltà. Il modo migliore di procedere, a questo punto, consiste nel sintonizzarsi con le esigenze degli altri, mostrando credibilità, coerenza, correttezza.

“Una volta deciso che la cosa può e deve essere fatta, bisogna solo trovare il modo” (Abraham Lincoln).

Meritocrazia?

Il nostro Paese sembra essere caratterizzato da una forza lavoro (soprattutto fra i giovani) con pochissima ambizione e voglia di mettersi in gioco e in discussione. Sembra, semmai, che vi sia un maggior interesse verso un lavoro soddisfacente (in termini di remunerazione) o, quanto meno, privo di rischi di alcun genere, piuttosto che nei confronti di un’occupazione motivazionalmente fuori dal gregge. Purtroppo siamo in presenza di pochi elementi che vanno alla ricerca di un sistema lavoro dove ciò che conta è il merito e l’eccellenza: sono gli studenti che da un paio d’anni hanno ricominciato a iscriversi alle facoltà scientifiche e i giovani imprenditori che pensano soprattutto per i mercati (e le fabbriche) lontano dall’Italia.

È davvero migliore un mondo in cui la discriminazione dipende dal merito? È veramente desiderabile una Società nella quale, come nelle derivazioni anglosassoni, i differenziali salariali tra coloro che lavorano sulla frontiera della tecnologia e i “comuni mortali” si allargano a vista d’occhio?

La risposta dipende evidentemente dai valori in cui ciascuno crede. Anche se, per qualcuno, è legittimo obiettare alla discriminazione fondata sul merito, questo resta comunque un parametro di gran lunga più dignitoso di quello basato su elementi a noi tanto cari, quali il censo, le conoscenze politiche… e così via. Sosteneva Denis Diderot che, al contrario di quello che si pensa, il desiderio di migliorare non è il prodotto della volontà ma, semmai, la volontà (e, con essa, la motivazione) è il prodotto della voglia di andare “oltre”.


Ogni popolo è maturo quanto è matura la sua scuola?

L’umanità ricorda tanti personaggi che hanno consentito all’arte, alla filosofia, alla cultura di dominare, che hanno costruito grandi città e realizzato grandi opere. Alessandro Magno fece dei Greci il popolo egemone e del Greco la lingua universale. Eppure, quando morì, si festeggiò perchè era morto il tiranno. Questi episodi si sono ripetuti nella storia. Galileo, l’inventore della scienza moderna, è stato arrestato e processato da accademici ignoranti e retrivi. Winston Churchill ha portato la Gran Bretagna alla vittoria, ma i mediocri hanno esultato alla sua scomparsa. Ogni volta che un grande uomo è all’opera, la storia c’insegna che profittatori, predoni, ipocriti, invidiosi, aspettano solo il momento di “saccheggiare” ciò che ha costruito. questo avviene anche nelle imprese familiari dove i figli, sovente, “dissolvono” ciò che ha creato il padre. Le persone egocentriche non capiscono i “portatori sani” di ideali fuori dal comune. Esse pensano solo a se stesse, al proprio guadagno ed al proprio interesse. Oggi non usano le armi ma si servono di “manovre” politiche e speculazioni economiche. Quale rimedio è ipotizzabile? Il miglioramento della Scuola, per “formare” identità mature, capaci di capire che, in un “ambiente” ottimale, si vive “positivo”!


Molte sono le possibilità di sbocco e “imbocco” lavorativo: basta imparare ad osservare le sacche di bisogni inespressi e inappagati, valutare la propria attitudine e la propria disponibilità e, ovviamente, poter contare su un consulente (per esempio un counselor psicologico) in grado di poter spiegare come orientarsi nei meandri dell’economia reale. Il resto viene da sé

Giusto per riportare alcuni esempi di figure in grado di poter lavorare e produrre reddito divertendosi, si sotopongono all’attenzione le seguenti categorie:

  • Personal trainer – Wellness
  • Chocolate shopper;
  • Mercante d’asta su E bay;
  • Sommelier;
  • Esperti di bambini in grado di svolgere il compito di educatori anche per i genitori;
  • Personal shopper (colui il quale è in grado di condurre i turisti in giro per i punti nevralgicamente interessanti sul piano degli acquisti… e non solo);
  • Vintage (esperti in grado di valorizzare capi d’alta moda dismessi ma ancora in buone condizioni);
  • Restauratore
  • Wedding planner (organizzatori di matrimoni da sogno);
  • Blogger (esperti in grado di gestire e proporre il nuovo di dialogo globalizzato);
  • Collaudatore di videogiochi;
  • Artigiano per mestieri in estinzione;
  • etc;


Si dice che il desiderio è il prodotto della volontà, ma in realtà è vero il contrario: la volontà è il prodotto del desiderio. Denis Diderot


E invece?

Sono interinali, impiegati a termine, collaboratori turnisti, part-time, stagionali e parasubordinati, uniti sotto il segno dell’instabilità. Vivono così moltissimi lavoratori atipici, un esercito di 3,5 milioni di persone solo in Italia che rappresenta il 15 per cento degli occupati, secondo gli ultimi rilevamenti dell’Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori).

Questo comune denominatore (che riguarda l’operatore di call center e l’operaio, il ricercatore e l’infermiere, la commessa e l’impiegato) ha una doppia faccia. Per alcuni l’incertezza del lavoro atipico è un trampolino di lancio, un motore per la crescita professionale, uno stimolo a fare meglio; la maggior parte dei lavoratori, invece, vede la precarietà come una minaccia che si può trasformare in una morsa in cui resta schiacciata l’intera esistenza.

Flessibili o precari?


“In alcune professioni è insita una certa instabilità. Chi sta nel mondo dello spettacolo, i liberi professionisti o chi fa lavori creativi generalmente è attrezzato a gestire l’incertezza dal punto di vista cognitivo. Queste persone sanno viverla in modo positivo, perché alla base hanno una forte motivazione: la realizzazione di se stessi attraverso il lavoro”. Secondo Sebastiano Bagnara, psicologo cognitivo del Politecnico di Milano, i flessibili veri e propri occupano l’estremo positivo della scala degli atipici. “Ci sono individui dotati di grande equilibrio emotivo, capaci di fare tesoro delle difficoltà, con una forte propensione al cambiamento e che si trovano a loro agio in condizioni flessibili”, aggiunge Stefania Pizzini, psicologa del lavoro ed esperta di orientamento professionale presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. “Sono persone dotate di resistenza alla frustrazione, capaci di valorizzare la proprie competenze”.


All’altro estremo della scala degli atipici ci sono quei lavoratori che si sentono più precari che flessibili. Quelli che fino a 10-15 anni fa consideravano normale il posto fisso e vivevano la situazione attuale con estremo disagio perché “svolgono spesso un lavoro in un sistema sociale rigido che impone delle regole flessibili”, spiega Bagnara. Per sistema sociale rigido si intende un mondo in cui chi ha un lavoro saltuario fa fatica ad accendere un mutuo, a trovare una casa in affitto, a comprare un’automobile, a pagare un’assicurazione previdenziale. Inoltre i tempi elastici del lavoro flessibile spesso cozzano con un sistema organizzato secondo orari rigidi, per cui diventa difficile persino fare la spesa o pagare una bolletta.


“Ogni uomo ha un suo compito nella vita, e non è mai quello che egli avrebbe voluto scegliersi” (Hermann Hesse).


Sull’orlo di una crisi di nervi?

Gli esperti di psicologia e medicina del lavoro sono concordi nel definire le condizioni di lavoro flessibili “a elevato potere stressogeno”. Flessibilità, infatti, non significa banalmente che un individuo cambia tanti lavori nella propria vita, intervallati da periodi di disoccupazione. Cambiare continuamente lavoro vuol dire anche cambiare luoghi e nucleo sociale di riferimento, abituarsi a contesti nuovi, rinunciare a una divisione regolare dei tempi di lavoro e di svago, rivedere continuamente le aspettative sul proprio futuro, tutte condizioni che generano stress.

Una vita da precario

Quando il posto di lavoro non offre garanzie, tutele e prospettive, tutte le altre sfere dell’esistenza possono risentirne. La sensazione diffusa tra i precari è quella di vivere, e non solo di lavorare, da precari con l’impossibilità di pianificare il futuro e il ripiegamento forzoso sul presente, che ostacola i progetti anche elementari sulla propria vita.

Manuale di sopravvivenza per lavoratori precari

Coltivare le relazioni sociali. (per combattere il senso di isolamento in cui si cade per autosvalutazione); non sottovalutarsi (per partito preso!); Imparare ad essere intraprendenti (non aspettare che le soluzioni arrivino dall’alto); Non avere paura di chiedere aiuto;

“Quando ti morde un lupo, pazienza. Quello che secca è quando ti morde una pecora” (Arthur Bloch).

 


Daniel Kahneman, premio Nobel 2002 per l’Economia, in questa intervista esclusiva rilasciata a “Incontri”, periodico edito dal gruppo bancario Banca Popolare dell’Emilia Romagna, illustra le proprie teorie, spiega la ragione delle scelte fatte ed esprime tutto il suo scetticismo di fronte alla generale convinzione che il denaro può donare la felicità. Insieme allo Psicologo David Schkade, ha elaborato un’interessante teoria: la “focusing illusion”.

Nel 2002 ha ricevuto il premio Nobel, assegnato dalla Banca di Svezia per l’Economia. Nato nel 1934 a Tel Aviv, Palestina, ha insegnato a Princeton, Harvard e in altre fra le più prestigiose università americane, riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori scienziati cognitivi ed esperti dei processi decisionali. Stiamo parlando dello psicologo Daniel Kahneman, di recente in Italia per tenere una conferenza magistrale a Genova, durante la quarta edizione del Festival della Scienza. In questa speciale occasione, il Nobel, poco propenso a concedere interviste, ha voluto fare un’eccezione per “Incontri”.

Professor Kahneman, perché ha scelto di intraprendere gli studi in psicologia?

Da ragazzo, sono stato per molto tempo indeciso fra filosofia e psicologia, fra capire cos’è il pensiero e, invece, come si pensa. Alla fine ho scelto la psicologia: un episodio accaduto nella mia vita mi ha fatto comprendere che quella era la mia strada. Era il 1942, l’Europa era in fiamme ed io mo trovavo nella Parigi occupata dai nazisti. Io sono ebreo e come tanti altri, ero ricercato dalle SS: un giorno, in strada, ho incrociato una pattuglia tedesca. Un soldato si stacca dal gruppo e viene incontro a me, gridando delle parole che non ho compreso. Tremando, ho pensato che dai gesti volesse rastrellarmi; temevo avesse visto la stella gialla sotto il mio maglione. Il soldato, con fare minaccioso, si avvicinò a me, mi guardò, poi aprì il portafoglio, dandomi dei soldi. Da quel giorno, ho capito che studiare psicologia mi avrebbe aiutato a non cadere più così in inganno come in quel lontano giorno di guerra.

Lei ha ricevuto il premio Nobel per l’Economia nel 2002: che cosa può insegnare la psicologia all’economia?

La psicologia e le scienze cognitive possono aiutare moltissimo gli studiosi che vogliono comprendere i meccanismi che guidano l’economia attuale. Gran parte della teoria economica attuale si basa su di una modellizzazione matematica delle decisioni degli agenti economici: è la cosiddetta teoria dell’homo economicus. Ogni individuo viene pensato come un decisore “razionale”; sotto certe condizioni, ogni agente economico ha come obiettivo ultimo la massimizzazione della propria utilità, una misura a metà fra economia e filosofia morale che si traduce quantitativamente come un ammontare di denaro. In questi modelli, non vengono considerati né sentimenti, né altre considerazioni etiche o morali: è solo la massimizzazione della propria ricchezza personale a guidare gli agenti economici. Il problema è che, nella realtà, le cose non stanno affatto così: il denaro gioca un ruolo importante in economia ma non è l’ultimo né l’unico metro di decisione per ogni individuo. È esperienza comune che le persone si comportano in modo non totalmente logico, né coerente nel loro agire e queste variabili non sono state a lungo prese in considerazione dalla scienza economica, con il risultato che spesse volte la teoria non ha un diretto risconttro con la realtà che ci circonda.

La visione delle scienze cognitive ha, quindi, cambiato l’approccio ai problemi economici?

Si, questa è la mia speranza. Si pensi, ad esempio, che alcune discipline economiche si sono sviluppate proprio come costola delle scienze cognitive: su tutte, la più famosa è la finanza psicologica. Un’analisi psicologica dei comportamenti degli individui può infatti essere molto utile per spiegare come mai si formano periodicamente alcune “bolle speculative” sui mercati finanziari. Se gli indici di un mercato azionario mostrano “trend” costantemente al rialzo, l’investitore comune sarà più facilmente invogliato ad acquistare titoli senza una razionale valutazione dei rischi connessi a questo tipo di investimento: il risultato speso è un moltiplicarsi di queste scelte non coerentemente logiche e lo scoppio di crisi finanziarie, come il famoso “venerdì nero di Wall Street”.

Professore, spesse volte, per misurare la felicità di un popolo, si sceglie di misurare il suo grado di ricchezza: è daccordo?

No, parte dei miei studi si è focalizzato proprio su questo punto. Spesso si pensa che la felicità dipenda dalla riccheza materiale. È vero che alcune forme di indigenza particolarmente odiose possono creare seri problemi ad un individuo, eppure la felicità non è proporzionale al reddito: si può essere relativamente poveri e molto felici e ricchissimi ed intimamente infelici. Ho svolto molta ricerca in questo campo e le posso fare un valido esempio. Sono pronto a scommettere che tutti saremmo felici di vincere un milione di dollari ad una lotteria: i primi giorni si può essere esltati e pienamente appagati. In seguito, però questa forte emozione cala fino a svanire totalmente: si ritorna così allo stato d’animo che è più consono alla nostra personalità. Questo percorso è stato riscontrato in molti casi: la vera felicità è quindi altro e i soldi, come altri “feticci”, non sono altro che esempi di quelle che ho definito “focusing illusions”.

Cosa sono le “focusing illusions”?

Sono state introdotte da me ed altri psicologi proprio per spiegare questi tipi di comportamenti. Molte persone pensano che la ricchezza materiale dia la felicità e fanno di ciò una ragione di vita: in questa ottica il denaro non è altro che un’illusione sulla quale essi si focalizzano e che giustifica ogni altra loro azione. Le faccio un altro esempio: negli Stati Uniti è credenza comune che in California si stia meglio e si viva meno stressati. Abbiamo così condotto delle ricerche e ne è emerso che i californiani non si considerano così fortunati: il loro livello di felicità è nella media di quello americano. Il sogno di trasferirsi in California per vivere meglio è una “focusing illusions”.

Come si studia effettivamente il grado di felicità di un individuo?

Le mie ricerche si basano su delle indagini campionarie presso una popolazione. Si chiede ad una serie di individui di rispondere a dei questionari dove, essi, devono comparare il livello di felicità in quel particolare momento. Queste domande vengono reiterate nel corso della giornata e sono abbastanza semplici: dove sei? Che cosa stai facendo? Qual è il tuo stato d’animo? Si creano così dei campioni di esperienza su cui ragionare e su quali costruire empiricamente delle teorie.

Professore, si può imparare a essere felici?

Non è facile. La psicologia positiva si propone espressamente di insegnare a rivolgersi verso il benessere. Allo stesso modo, lo fa anche una guida spirituale come il Dalai Lama, seguendo ovviamente altri canali. Tuttavia, non sono personalmente convinto di questi approcci nel lungo periodo.

Come affrontare nel modo adeguato e corretto la paura di non essere in grado di sostentarsi economicamente?

È qualcosa di semplice e complesso al tempo stesso perché, riguarda innanzitutto il rapporto con se stessi quindi con quello che il mondo esterno ci mette a disposizione, questo si collega anche con le paure derivanti dalla perdita di un lavoro o dalla paura che consegue la sensazione di non sentirsi capaci di costruire un lavoro; bisogna vedere di stabilire cosa a noi piacerebbe fare nella vita quindi mettersi in condizione di prepararsi nella maniera più adeguata e più completa possibile, come terzo passaggio fare in modo che il mondo esterno venga messo a conoscenza della nostra presenza, di quello che sappiamo fare e della nostra capacità attuativa, a monte di tutto ciò e cioè quando scegliamo cosa ci piacerebbe fare sarebbe opportuno operare una valutazione che si chiama indagine di mercato durante la quale riusciremo a stabilire come interfacciare le nostre abitudini, la nostra capacità, le nostre scelte con ciò che il mercato richiede; a questo punto non bisogna far altro che andare e cooperare, come disse qualcuno: “Lazzaro, alzati e cammina” soddisfacentemente; i risultati non possono non arrivare, perché quando ci prepariamo nella maniera adeguata non dovremo far altro che verificare quello di cui siamo capaci anche in maniera creativa senza programmarlo ossessivamente ma, provando il piacere di inventarlo volta per volta perché non saremo su di una base di superficialità ed improvvisazione negativa ma, saremo legati a principi che hanno a che fare con la creatività, con il piacere di stupire noi stessi per il bisogno di sentire che stiamo facendo qualcosa per cui valga la pena vivere, è tutto collegato e chiaramente, come elemento finale avremo un risultato che sarà legato a corresponsioni economiche di tipo oltremodo soddisfacenti perché non può essere altrimenti. Sono le regole di quel mercato che governa il rapporto fra esseri umani ed il dialogo con se stessi e che si chiama economia cioè la corretta gestione e distribuzione di mezzi e di risorse in maniera adeguata, in grado di rispondere a quelle che sono le richieste legittime; come vedete ci sono molte assonanze ed associazioni fra il mondo dell’economia reale e quello della fisiologia perché noi siamo calati all’interno di un contesto, di un sistema che non può prevedere pezzi sganciati ma che evidenzia un tutt’uno con diverse propaggini che si integrano, per tornare alla domanda di prima, come una placca motrice all’interno di un muscolo, cioè come le terminazioni nervose all’interno di quei tessuti che poi consentiranno il movimento di un arto.

 

Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno, insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita” (Proverbio Cinese).


“Lascia stare tutto quello che non vedi: è inutile fissarsi, andare con lo sguardo oltre alle montagne del quadro che hai davanti. Se vuoi vittoria avrai vittoria, se vuoi sconfitta avrai sconfitta, ma poi il destino in naftalina mai… non chiuderlo in soffitta! Lascia stare tutto quello che non vedi: è inutile fissarsi e andare con lo sguardo oltre ai marciapiedi solcati dai passanti. Se vuoi ragione hai ragione a proseguire col tuo istinto, ma non cambiare direzione, vai avanti… sempre dritto. Primo giorno di lavoro già un reclamo e sono fuori, il tavolo svuotato dagli oggetti inutili; torna la giacca nell’armadio e si può far la scommessa che non riuscirò a ricambiare tutto l’amore che mi hai saputo dare. Lascia stare tutto quello in cui non credi, è inutile fissarsi andare con lo sguardo oltre alle pareti dei muri che hai davanti. Se vuoi ragione hai ragione a proseguire col tuo istinto ma non cambiare la benzina mai, nel mezzo di un tragitto, o ti saboterai da sola un brivido e poi te ne pentirai… Che masochismo è il tuo? E’ un meccanismo autodistruttivo, dai che arrivo… Lascia stare tutto quello che non vedi e togliti quei guanti finchè non c’è una legge che te lo vieti, appoggiati ai miei palmi. Se vuoi ragione hai ragione a proseguire col tuo istinto, ma non cambiare la benzina mai nel mezzo di un tragitto” (Lascia stare – Samuele Bersani).

Non sia di altri chi può esser di se stesso (Paracelso).

 

Bibliografia

  • F. De Petris – Kahneman: non basta essere ricchi per conquistare la felicità – Incontri (periodico del gruppo bancario Banca Popolare dell’Emilia Romagna)
  • D. Cipolloni, M. Scanu – Generazione Mille Euro – Mente & Cervello n° 39 Marzo 2008
  • G. Marchese – I disturbi della personalità – Web Magazine La Strad@
  • G. Marchese – Quell’emozione chiamata paura – Web Magazine La Strad@
  • G. Marchese – Colpiti dallo stress! – Web Magazine La Strad@
  • G. Marchese – Ansia e attacchi di panico – Web Magazine La Strad@
  • G. Marchese – La paura della morte – Web Magazine La Strad@
  • G. Marchese – Ambizioni, legittime aspirazioni – Web Magazine La Strad@
  • G. Marchese – Un mondo perfetto – Web Magazine La Strad@
  • G. Marchese – Quello cha più conta – Web Magazine La Strad@
  • G. Marchese – Meritocrazia? – Web Magazine La Strad@

 

G. M. – Medico Psicoterapeuta

 

Si ringraziano Giovanna Conforti, Lina Gentile e Maria Mazzuca per la collaborazione offerta nella stesura del dattiloscritto.