La rivolta dei colletti bianchi.
Quel giorno il rag. Paolini, appena entrato nel suo ufficio, si accorse subito che qualcosa non andava: l’aria era pesante, le espressioni dei suoi dipendenti non davano adito a dubbi; da un momento all’altro sarebbe scoppiata la “rivolta dei colletti bianchi”.
Il rag. Paolini doveva aspettarselo: i suoi modi non erano certo tra i piú gentili; aveva instaurato un clima di terrore e di nervosismo tra i suoi impiegati; e cosí fu: quella mattina tirava vento di fronda.
Questa locuzione adoperata per indicare che nell’aria aleggia il malcontento delle persone, ma soprattutto un movimento di congiura, di rivolta, ci è giunta – come tante altre – dalla vicina Francia.
Due sono le “storie” di questa locuzione che rimandano a un’unica matrice: l’assolutismo monarchico che culminò in scontri di piazza ai quali presero parte, oltre ai nobili, il popolo e i ragazzi che si distinsero per le loro azioni: usando la fionda lanciavano i sassi contro gli arcieri del re i quali – molto speso – erano costretti a ritirarsi. Dalla fionda (in francese “fronde”) derivò, appunto, l’espressione “tirare vento (o aria) di fronda”, con il significato di congiura, rivolta, opposizione e simili.
L’altra “storia” si rifà a una frase di Bachaumont, giovane consigliere del Parlamento francese che conduceva una politica di opposizione ad Anna d’Austria e al cardinale Mazzarino. Il Bauchamont, sentendo durante una seduta un’asserzione inopportuna di un autorevolissimo personaggio (il duca d’Orleans?), esortò i colleghi a non rispondere alla “provocazione” dicendo loro che occorreva fare “come i monelli che giocano con la fionda (fronde)” nei pressi del colle San Rocco: questi si disperdono non appena vedono le guardie, ma ricominciano quando queste hanno voltato le spalle.
Il Parlamento, quindi, doveva attendere che il personaggio se ne andasse e poi tirare i suoi colpi di fionda.
L’espressione piacque immediatamente e si divulgò con la massima rapidità tanto che fu chiamato “fionda” l’arco di tempo storico della “ribellione” del Parlamento francese e dei principi al governo del cardinale Mazzarino.
Con il trascorrere del tempo la locuzione ha assunto – come abbiamo visto – l’odierna accezione di “opposizione”, “malcontento”, “rivolta” e simili.
Giornalista pubblicista, laureato in “Scienze della comunicazione” e specializzato in “Editoria e giornalismo” L’argomento della tesi è stato: “Problemi e dubbi grammaticali in testi del giornalismo multimediale contemporaneo”). Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collabora con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese” di cui è anche garante del lettore. Ha scritto, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi – Roma.