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Da una recente ricerca, emerge la necessità di un riposo programmato durante i turni sanitari notturni.


 

News – 5

Chi scrive ha svolto, tra le varie sue attività lavorative in ambito medico, anche quella di guardia notturna in ambienti clinici, per molti anni. Sulla propria pelle ha sperimentato, quindi, gli effetti dell’assenza di sonno prolungata nel tempo. Per consentire ai sanitari di mantenere un buono standard di efficienza qualitativa, è consuetudine la concessione di una stanza dove potersi riposare (quando la situazione lo consenta, ovviamente) mentre ciò, di solito, non è previsto per il personale paramedico. Si finisce, quindi, con l’andare incontro a due variabili situazionali:

  • la prima, che finisce col determinare l’assenza di controllo medico perché, di fatto, le decisioni più immediate devono essere assunte (con l’aiuto del buon senso e dell’esperienza) da chi, in quel momento si trova sul posto e cioè il personale infermieristico;
  • la seconda, in cui, per forza di cose, non riposa nessuno perché anche il medico è sempre operativo durante il turno, col rischio di non avere a disposizione la necessaria lucidità decisionale in caso di emergenze protratte e ripetute.

Come affrontare al meglio, dunque, il lavoro notturno in ambienti delicati e di elevata responsabilità come, appunto, quelli clinici?

Dei brevi cicli di sonno (alternati fra i vari componenti dell’equipe, ovviamente) aiutano considerevolmente medici e infermieri del turno di notte a sentire meno sonnolenza e stanchezza e quindi a svolgere decisamente meglio le prestazioni che ci si aspetta da loro. Lo afferma uno studio condotto presso la Stanford University School of Medicine e pubblicato sulla rivista Annals of Emergency Medicine. come afferma Steven Howard, coautore dello studio nonché professore associato di anestesia a Stanford: “Concedersi un sonnellino è una maniera molto efficace ed economica di migliorare la qualità del proprio lavoro”


Lo studio ha valutato il beneficio di una pausa – pennichella su medici e infermieri del turno di notte dell’ospedale Veterans Affairs Palo Alto Health Care in California. Sono stati coinvolti 49 volontari (25 medici e 24 infermieri) ai quali era stato assegnato il turno di notte, dalle 19:30 alle 7:30. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi: un gruppo di controllo i cui membri hanno lavorato senza interruzione per tutto il turno, ed un gruppo di sperimentazione i cui membri hanno potuto riposare mezz’ora, a metà turno, verso le 3:00 del mattino.

Alla fine dell’orario di lavoro, alle sette e mezzo del mattino, tutti sono stati sottoposti ad una serie di test: una simulazione di guida di 40 minuti, un test di memoria scritto di 10 minuti, una simulazione al computer dell’inserzione di un catetere endovenoso periferico e un questionario idoneo a misurare gli stati d’animo come rabbia, confusione, fatica, tensione e depressione.

Il gruppo di sperimentazione ha riportato una minor diminuzione nella qualità delle performance, un minore livello di affaticamento e un inferiore grado di sonnolenza. I membri di questo gruppo, inoltre, hanno completato più rapidamente l’inserzione del catetere endovenoso e si sono dimostrati più attenti e prudenti nel test di guida. Esattamente l’opposto dei risultati ottenuti dai membri del gruppo di controllo, che hanno mostrato evidenti (e pericolosi) limiti di efficienza operativa.

“Stare in piedi per più di 24 ore ha gli stessi effetti dell’ubriacarsi” – spiega Howard – “caffeina e nicotina possono mascherare i sintomi della sonnolenza, ma dormire per pochi minuti, a cicli ripetuti, restituisce davvero parte del sonno perduto”. Al momento i ricercatori di Stanford stanno realizzando, presso lo stesso ospedale, un progetto di sonnellini-programmati per cercare di risolvere il problema, almeno per quanto riguarda medici e infermieri.

Attualmente, i turni di notte sono assegnati e svolti, senza un criterio che preveda pause. Inoltre, chi viene sorpreso a schiacciare un pisolino in sala infermieri, corre il rischio di essere perseguito a norma di regolamento interno. Eppure, chi non preferirebbe essere curato da persone perfettamente lucide piuttosto che da chi… “ha la palpebra che cala”?

 


Dr. Giorgio Marchese – Docente di Fisiologia Psicologia c/o la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia ad Indirizzo Dinamico – Roma 2006