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…Senza paura di “cadere”.


 

Il segreto del successo – 3 ©

 

“La vita è fatta di rarissimi momenti di grande intensità e di innumerevoli intervalli. La maggior parte degli uomini, però, non conoscendo i momenti magici, finisce col vivere solo gli intervalli”.

Premessa

Mentre, quando ascoltiamo gli altri o riflettiamo sulle nostre valutazioni personali, possiamo anche mascherare le conclusioni cui giungiamo, a meno di non trovarci di fronte ad un esperto in grado di riconoscere anche le sfumature temperamentali, nel momento in cui decidiamo di “aprirci” agli altri ci si scopre, e non ci si può permettere delle false apparenze perché, prima o poi finiremmo per appalesare incoerenze dissimulatrici.

Conclusioni

Se vogliamo dibatterci nell’intricato sistema che risponde al nome di esistenza contemporanea cercando di evitare che, il tutto, si trasformi in “un letto ad una piazza sola”, conviene acquisire gli elementi basilari di una corretta forma comunicativa in grado di mettere alle corde qualunque antagonista molesto.

Applicazioni

Qualunque modalità di comunicazione, alla fine, si riduce a due momenti, che si alternano fra loro: il momento “dell’ascoltare” e quello del “dire”. Ciascuno dei due, si articola in tre fasi:

  1. la prima, che consiste nella ricerca dei dati necessari alla costruzione delle idee da comunicare, e tiene conto della gli elementi acquisiti mediante le varie esperienze di vita e che hanno costituito il data base mnemonico personale.
  2. la seconda, che riguarda l’elaborazione dei dati medesimi, tipiche delle processazioni del pensiero, che porteranno alla realizzazione dei pacchetti psicoemozionali completi (in funzione delle capacità di riflessione e del livello maturativo raggiunto)
  3. la terza, quella della comunicazione, consente di trasmettere ciò che si è deciso di trasportare al mondo esterno, mediante modalità verbali o temperamentali ed è sottoposta a leggi ben precise.

Le leggi della comunicazione

Si possono ricondurre, sostanzialmente, alla corretta valutazione dei riferimenti che riguardano tre “momenti” fondamentali: Identità (o rapporto con se stessi che “assorbe” l’80% del nostro tempo – Basta calcolare tutti i momenti che trascorriamo “da soli” anche in mezzo agli altri); Individualità (rapporto a due, con un altro individuo, che incide per il 15% del nostro tempo); Collettività (rapporto con gli altri, in genere che può arrivare, al massimo, ad impegnarci per un valore pari al 5%). Inoltre, riguardano lo studio e l’applicazione della migliore strategia rispetto alle seguenti “domande”:



  • “Con chi devo parlare?” – (Sulla base della persona con cui dovremo interloquire, sarà necessario adottare una forma di comunicazione adeguata).
  • “Qual è il motivo?” (Per stabilire il ruolo da assumere nel dialogo, a seconda di cosa si deve chiedere o concedere).
  • “Dove avverrà il dialogo?” (Per tenere conto della presenza di eventuali fonti di disturbo).
  • “Quando?” (Per poter valutare l’efficienza dei partecipanti).
  • “Cosa offro in cambio della sua attenzione?” (Per stabilire criteri di motivazione altrui)
  • “Come mi mostrerò?” (Per attuare il sistema migliore di comunicazione).



Abbiamo già osservato in altri lavori sulla comunicazione, che ci si può rivolgere agli altri mediante parole, evidenziando un contenuto (il significato specifico delle parole che si utilizzano durante il discorso) e dei significanti paraverbali (che riflettono tono, tempo, volume e pause del contenuto espositivo).


Nella comunicazione non verbale, invece, si riconoscono il temperamento e la prossemica. Il temperamento indica tutto ciò che può essere osservato quando un essere umano comunica i contenuti delle proprie emozioni ( attraverso una comunicazione diretta, mediante i movimenti, gli sguardi, la mimica, la postura, i suoni ed i rumori prodotti, i messaggi scritti, il silenzio ed altro; attraverso una comunicazione indiretta, mediante il proprio vestiario, il modo di mangiare, i cibi preferiti, il tipo di mezzo di trasporto, la disposizione della casa, l’arredamento, le letture preferite, etc.) e che ne qualifica, in generale, l’umore. La prossemica studia il significato che lo spazio assume nel comportamento sociale dell’essere umano; in qualunque tipo di comunicazione umana si determina un codice delle distanze, in base a parametri che privilegiano criteri di affettività (nell’intimità, da zero ad 1 metro; durante le conversazioni affettive, fra 1 e 2 metri; in caso di ostilità, distanze maggiori), aggressività (dal contatto psicofisico, alla massima distanza d’ascolto) e “professionalità” neutrergica (nel dialogo, 1,5 metri; in riunioni di lavoro, conferenze, etc. si possono superare i 5 metri). Ricordiamoci di mantenere il rispetto di questo spazi, coerentemente col tipo di comunicazione che realizziamo.


Secondo studi di esperti anglosassoni, si è arrivati alla conclusione che, in una qualunque conversazione fra esseri umani: il significato del contenuto incide per il 7%; il significante del paraverbale incide per il 38%; il non verbale incide per il 55%.

Qualunque modalità decidiamo di adottare, l’importante è rendere più efficace la comunicazione interpersonale ed in che modo affrontare le principali difficoltà nelle relazioni pubbliche, in quei rapporti umani, cioè, caratterizzati da una sistematica continuità con un gruppo di individui uniti da interessi comuni.


Per essere dei buoni comunicatori, si deve essere in grado di racchiudere, all’interno delle proprie capacità, tre anime ben distinte: quella dei filosofi “che dialogano fra loro”, quella dei teologi “che spiegano ai loro allievi” e quella dei predicatori “che parlano alle masse”. Averroé (Ibn Rushd) filosofo medievale.


Questa utile raccomandazione evidenzia la necessità di saper essere flessibili, attenti ad una acquisizione delle istanze altrui (mediante l’ascolto delle necessità e delle aspettative) e capaci di una revisione organizzativa delle proprie decisioni (mediante riflessioni per migliorare la propria gestione).

Comunicare significa, in sostanza, trasmettere ad altri ciò che è proprio, mettendolo in comune. Ogni relazione interpersonale, quindi, deve mirare ad ottenere dal chi ci ascolta, stima, consenso e collaborazione. Il tutto, ovviamente, mediante un dialogo basato su reciproca comprensione, fiducia e cooperazione. Teniamolo presente!

 

“Le avversità possono essere delle formidabili occasioni” (Thomas Mann).

 

3 – CONTINUA…

 

Proponiamo, a questo punto, un estrapolato dell’intervista di Catena Fiorello a Maurizio Costanzo, “Guru” della comunicazione e persona di indubbio successo, pubblicata nel libro “Nati senza camicia”- Baldini & Castoldi Editori – MILANO 2003.



Maurizio Costanzo, classe 1938, inizia la sua carriera nel 1956 a “Paese Sera”; nel 1978 dirige “La Domenica del Corriere”. Attualmente scrive per autorevoli quotidiani e settimanali nazionali. Dal 1962 è autore radiofonico e televisivo. Nel 1976 (conduce con successo in Tv “Bontà loro”, alla quale seguono tra le Altre “Acquario” e “Grand’Italia”. Nel 1987 inizia l’appuntamento quotidiano con il Maurizio Costanzo Show. Dalla stagione 1996-97 conduce Buona domenica, di cui è anche autore. Con Alberto Silvestri è ideatore e interprete della prima sit-com italiana: Orazio. Direttore di Canale 5 dal 1997, dal 1999 è presidente di Mediatrade (società del gruppo Mediaset che si occupa di fiction televisiva.). Nel maggio 2000 costituisce una società con Alessandro Benetton, presente su Internet, con lo scopo di aiutare le aziende a gestire la propria comunicazione di immagine, chiamata “Maurizio Costanzo Comunicazione”. Nel settembre 2002 inaugura per RTI il Laboratorio di Comunicazione e di Nuovi Contenuti, volto non a ideare nuovi programmi televisivi che tutti i network Danno già all’attivo, ma a sperimentare forme di ibridazione tra contenuti e linguaggi diversi. Direttore artistico del Teatro Parioli di Roma dal 1988 sono state rappresentate dodici sue commedie. Ha scritto quattro Film (tra cui Una giornata particolare diretto da Ettore Scola con Marcello Mastroianni e Sophia Loren). Ha scritto romanzi e saggi legati all’attualità. Ha vinto due premi Saint Vincent: nel ’70 per il giornalismo radiofonico e nel ’77 per il giornalismo televisivo. Nel 1988 vince il Premio Campione per il giornalismo. Sino a oggi gli sono stati assegnati 15 Telegatti. Professore a contratto, dal 1995, nella cattedra di Teoria e Tecnica del linguaggio radiotelevisivo presso il dipartimento di Scienze della Comunicazione della Facoltà di Sociologia all’Università La Sapienza di Roma.

 

Signor Costanzo, vuole presentarsi da solo senza le consuete domande di rito? Trovarmi davanti a un giornalista come lei mi imbarazza un po’.

Perché mai? Comunque, mi chiamo Maurizio Costanzo. Sono nato il 28 agosto 1938, Vergine ascendente Sagittario. Sono figlio unico, mia madre si chiamava Iole ed era casalinga, anche se prima di sposarsi aveva lavorato e mio padre si chiamava Ugo ed era impiegato di gruppo C al ministero dei Trasporti ma, essendo antifascista in vent’anni non ha fatto nemmeno un passettino in avanti nella sua carriera, non ha avuto nessun riconoscimento.

Posso chiederle cosa vuol dire essere impiegato di gruppo C?

Vuol dire che, pur essendo impiegato non avrebbe fatto mai carriera, che non avrebbe mai avuto poteri dirigenziali. Mio padre era impiegato all’ufficio concorsi, ma non era il tipico impiegato, era un uomo che amava la vita, spiritosissimo, aveva molti amici e con loro si divertiva alla maniera di Amici miei! Insomma amava stare in compagnia, è morto che io avevo 21 anni. Mia madre invece è morta che ne avevo un po’ di più, 38-40. Sai che penso sempre a mio padre? E sono passati più di quarant’anni, questo per dirti quanto forte fosse il legame tra me e lui, anche se proprio quando è morto cominciava a instaurarsi un rapporto vero, più profondo, perché a 21 anni hai più consapevolezza e maturità per vivere certi rapporti.

I suoi inizi?

Io ho iniziato a lavorare a 17 anni, dopo aver preso la maturità classica: ho cominciato a “Paese Sera” come volontario. Ho sempre voluto fare il giornalista, possibilmente radiofonico e occuparmi anche di teatro. Pensa che, con un finto microfono in mano, leggevo le commedie di Goldoni. Io sono nato a Roma, da genitori romani, nonni paterni abruzzesi, invece la nonna materna era marchigiana, ma l’ho conosciuta poco, e il nonno materno friulano, di Spilimbergo. Quando ero ancora al liceo, collaboravo a un quotidiano che si chiamava “Giustizia”, una cosa poco importante ma pur sempre un’esperienza e, in seguito, con “Italmondo”, un’agenzia giornalistica. Ricordo ancora come capitai a “Paese Sera”: tutto fu possibile perché mia madre, nel suo ultimo lavoro, aveva conosciuto Felice Chinaldi (che era un grande giornalista di quella testata) e gli chiese se poteva darmi una mano. così andai a fare il volontario, che significava non prendere una lira, ma fu un’esperienza meravigliosa che ancora oggi ricordo con gioia. Quello è stato l’inizio, poi ho lavorato al “Corriere Mercantile” di Genova, redazione romana, poi fui assunto alla Mondadori, cori cui ho collaborato per dieci anni. Nell’arco di quei dieci anni però ho cominciato a fare l’autore per la radio, arrivando a scrivere un programma radiofonico tutto mio che si intitolava Canzoni e nuvole, condotto da Nunzio Filogamo: era il 1962.

Lei è cresciuto in una famiglia che non era poverissima, ma nemmeno agiata…

Ai miei tempi si desideravano tante cose. ma tutte semplici e vere. Si viveva in maniera dignitosa e con grossi sacrifici e ricordo che quando ho cominciato a fare questo mestiere, visto che il posto di lavoro non era proprio sotto casa, se prendevo l’autobus a piazza San Silvestro non potevo prendere un caffè e viceversa. Però non posso dire di ricordare una grossa infelicità per queste privazioni..

Quanto ha puntato sulla cultura, quando ha iniziato?

Molto. E ho insistito per trasmettere questo valore anche ai miei figli. Se tu sei abituato a leggere ogni tanto una poesia, se sei abituato a leggere un bel libro ma anche i giornali, riesci a capire meglio le cose. Di una cosa sono certo, che l’ignoranza non aiuta nella vita.

Cosa ricorda di quello che le hanno insegnato i suoi genitori?

Risposta: Di mio padre ricordo una cosa fondamentale che poi mi ha accompagnato tutta la vita e cioè il ricordo di un uomo che a 20 anni, per fatti parapolitici, non ha potuto fare carriera, malgrado si trovasse in un ufficio che, penso io, proprio per essere l’ufficio concorsi, avrebbe potuto dargli una mano ad approfittare di certe occasioni. Lui mi ha insegnato soprattutto questo, a non approfittare e mantenere alta la dignità. Ci fu un episodio che mi è rimasto molto caro: mio padre si trovava in chiesa con altri invitati al matrimonio di un cugino, e portava nella tasca del cappotto un giornale di sinistra; quando lo videro, fu invitato a toglierlo dalla tasca o a uscire. Non ci pensò due volte e uscì dalla chiesa.

E sua madre?

Mi ha insegnato una cosa che mi è rimasta ben impressa : “Male non fare, paura non avere”.

Dal momento che lei incontra gente di tutti i tipi, da cosa distingue i nati ricchi da quelli che si sono fatti da sé?

Da certe risposte, da certi atteggiamenti. In genere chi si è fatto da sé, chi ha sudato, è meno arrogante, chi nasce ricco potrebbe avere modi diversi nell’approccio, nel parlare, nell’imporsi, nei toni, anche se va detto che oggi i ricchi sono più occultati, meno desiderosi di farsi vedere, direi, in una parola sola, “discreti”. Io, però punto la mia attenzione sulla sensibilità altrui, piuttosto che sulle capacità economiche.

Lei sa che chiamarsi Maurizio Costanzo, vuol dire anche attirare amici poco sinceri, approfittatori, arrampicatori, e quant’altro. Questo non le fa mai venire voglia di poter essere un anonimo signor Rossi?

Sono ventisette anni che faccio questo lavoro e mi presento con questa faccia. Ormai non potrei tornare indietro… è indubbio che la cosa falsi un po’ i rapporti. Lo riconosco.

Si possono avere buoni rapporti di lavoro senza mai ferire gli altri?

Ci mancherebbe.

Qualche volta, però, può capitare di far torto a qualcuno, no?

E perché? Prima o poi lo riceveresti indietro.

Lei ritiene corretto legarsi in maniera smisurata agli oggetti?

No. Io mi lego molto alle persone perché quelle per me contano più di ogni altra cosa.

Se dovesse perdere tutto cosa farebbe?

Ricomincerei. D’altronde, mi è già successo a 40 anni. C’è stato un parascandalo in Italia e io casualmente mi ci sono trovato dentro, ma ho ricominciato da capo.

Cosa ha provato in quel momento?

Ero arrabbiatissimo, soprattutto con me stesso, per non essermi accorto in tempo di essere stato messo in mezzo, di essere stato truffato.

È dura ricominciare, vero?

Se hai una professionalità hai sempre delle possibilità. Almeno così è stato per me.

Lei è un uomo di successo… o siete lei e il suo gruppo ad avere successo?

Siamo un gruppo. Piccolo però.

C’è stata una gioia grandissima e inaspettata nella sua vita?

Sì, quella di riuscire a fare piano piano le cose che mi piaceva fare.

Secondo lei un uomo senza denaro è un uomo senza… .

Un uomo senza denaro è un uomo che si preclude alcune possibilità perché è costretto a correre dietro ai soldi. In questo modo, non può certo sviluppare altre possibilità che necessitano di un ambiente sereno in cui non bisogni scervellarsi per trovare il pane quotidiano. Spesso, la fantasia è bella e vivace se vive nel superfluo.

Un ragazzo che nasce in un paese, lontano dalle gran di città, che chance ha?

Ha più forza di me. Io sono convinto che si debba avere capacità sviluppate e molta forza di volontà. Non esistono geni incompresi, io questo lo ripeto da sempre. Prima o poi si arriva. Se lo si vuole veramente. Anch’io, vedi, sono nato “senza camicia”.

Cosa le succede quando guarda indietro?

Io non guardo mai indietro, non ho questa abitudine. E aggiungo che non penso spesso neanche alla morte. sono molto proiettato in avanti, il giorno che guarderò indietro sarà finita. Gli esami non finiscono mai, e poi la fatica non è arrivare al successo ma mantenerlo.

Anche quando si è Maurizio Costanzo?

Sì, anche nel mio caso. Questo successo te lo devi saper tenere e, per farlo, devi avere molta umiltà. Il mio insegnamento è questo: mettersi in discussione. Continuamente, costruttivamente.


 


G. M. – Medico Psicoterapeuta