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Premesse fondamentali.


 

Il segreto del successo – 1 ©

 

Motivazione, programmazione, organizzazione e, sicuramente, un corretto approccio comunicativo. Uniti ad un buon rapporto con se stessi basato su legittime aspirazioni di miglioramento, costituiscono le basi del successo nel lavoro, negli affetti e nella vita di tutti i giorni. Inizia una serie di lavori per aiutarvi in questo programma di realizzazione costruttiva proponendovi, inoltre, estrapolati del libro di Catena Fiorello “Nati senza Camicia”: interviste che ripercorrono le tappe salienti di personaggi famosi che hanno costruito il successo da soli, usando al meglio le proprie capacità.


“Ogni mattina, nella savana si sveglia una gazzella. Sa che dovrà correre più veloce del suo predatore, se vorrà continuare a vivere. Ogni mattina, nella savana, si sveglia un leone. Sa che dovrà correre più veloce della sua preda, se vorrà continuare a vivere. Che tu sia leone o gazzella, l’importante è che cominci a correre!”(proverbio africano)

Il significato profondo di questo aforisma, si rispecchia in quella sorta di angoscia esistenziale che ogni essere umano, fin dal momento della sua evoluzione in Homo sapiens, ha iniziato ad avvertire come esigenza di impegnare il tempo a disposizione ricercandone il senso, nella realizzazione di tre obiettivi fondamentali: un’applicazione lavorativa qualificante, degli affetti sinceri e un po’ di tempo libero per ricaricarsi e migliorare la dimensione di persona non sottoposta a vincoli compromissori. Il tutto, ovviamente, nell’adattamento verso il mondo esterno, mediante l’integrazione nel contesto geografico di appartenenza, in funzione del periodo storico in cui si è trovato a vivere, per ciò che riguarda etica (norme di comportamento in un ambito specifico) e morale (insieme di regole che consentono di stabilire ciò che è giusto da quello che è sbagliato, .nel grande scenario della vita).

Ognuno di noi, può inquadrare la propria esistenza, come una sorta di incarico “naturale” che offre delle opportunità con “mandato a termine”, all’interno di uno spazio temporale variabile e indefinito. A queste condizioni, è giocoforza concludere che, qualunque sia l’indirizzo verso cui decliniamo il nostro sguardo, sarà opportuno impegnarsi al meglio possibile, per evitare rimpianti.

Ecco perché si tende ad ottenere il successo in ciò che decidiamo di realizzare, a prescindere dall’ambito delle competenze in cui ci si trova ad operare. Il problema, però, nasce dal fatto che, a seconda dell’ambiente in cui si cresce (e che costituisce il modello di riferimento inconsapevolmente responsabile della formazione del carattere di ogni individuo) si cerca di ottenere dei risultati apprezzabili mediante due strade, una corretta e l’altra no:

  • La legittima aspirazione di realizzarsi in qualcosa;
  • La deleteria ambizione di acquisire “potere contrattuale”, blandendo chi sta intorno e carpendo la sua fiducia.

Ostacoli sul cammino…

Uno dei problemi più angosciosi che ciascuno avverte, fin da piccolo, consiste nella paura di non essere accettato dall’ambiente in cui si trova ad operare. In genere, si combatte una simile situazione con l’instaurarsi (inconsapevole) di condizioni caratteriali compensatorie, che spaziano da meccanismi aggressivi (arroganza, boria, snobismo, etc.) a tentativi di “fuga” (timidezza, senso di inadeguatezza, etc.) culminando, a volte, nell’accettazione di ruoli passivi e gregarizzanti, in cui si è disponibili a tutto, pur di “sentirsi” parte di un gruppo e non farsi estromettere. Raramente, si affronta il problema “prendendo il toro per le corna”, cioè individuando in che modo gli altri possano interessarsi a noi e a quali condizioni di utilità corretta, siamo disponibili ad intersecare l’integrità e la dignità del nostro modo di essere con i gusti e le aspettative dell’ambiente di riferimento.

Integrazione nell’adattamento.

Alla base di qualunque obiettivo che consenta l’appagamento di bisogni e desideri, esiste la necessità di instaurare relazioni interpersonali in grado di consentire l’inserimento nell’ambito operativo, fatto di scambi continui. Inoltre, è bene ricordare, preliminarmente, che ogni essere umano ha necessità di comunicare con gli altri (e con alcuni in particolare) perché, in tal modo, dà sfogo alle emozioni generate dalle riflessioni più o meno consapevoli. Si tratta quindi di proporre argomentazioni che si trovino sulla stessa lunghezza d’onda dell’ascolto altrui, per diventare appetibili all’interesse del mondo esterno.

Cosa significa dialogare?

Conversare (parlare e ascoltare nel rispetto reciproco) su argomenti che attirano la nostra attenzione e nei confronti dei quali (possibilmente), avere un minimo di preparazione, con persone che valutiamo essere di una qualche utilità o da cui non è possibile accomiatarsi in tempi brevi. Quando ci si scambia impressioni frutto di considerazioni ponderate, si realizza ciò che va sotto il nome di ragionamento.

Prima di trovarci in presenza di persone con le quali vogliamo intrecciare rapporti di collaborazione, sarà utile cercare di “prepararsi” all’incontro, sviluppando caratteristiche di base quali, ad esempio, chiarezza, autorevolezza e sicurezza manifesta (ma non ostentata). Inoltre, dopo aver operato una ricognizione mentale orientata ad individuare il target degli interlocutori, sarà essenziale porsi domande del tipo: “Da dove inizio? Perché dovranno rispondermi? Cosa racconto? Cosa “leggeranno” nel mio modo di pormi?


Ma è proprio necessario parlare con gli altri?

Il nostro cervello dialoga principalmente con se stesso. Il numero di connessioni stabilite in tal senso risulta, infatti, essere enormemente maggiore rispetto alle vie di ingresso (in ricezione) e di uscita (verso il mondo esterno). Per una precisa legge di Natura, l’attività psiconeurologica si realizza in maniera direttamente proporzionale al flusso di informazioni acquisite (che costituiranno il database della nostra memoria, da cui attingere per “assemblare” le idee). Inoltre, il risultato degli elaborati prodotti, genera complessi emozionali che, in un modo o nell’altro, vanno trasmessi al mondo esterno per evitare pericolosi fenomeni di tensione e “sovrasaturazione” (sotto forma di ansia, etc.). Nasce da qui l’esigenza di realizzare il meccanismo della comunicazione col mondo esterno, intesa come “trasmigrazione di energia che, partendo dal dialogo con se stessi (prevalentemente inconsapevole), si veicola in maniera bidirezionale, verso ciò che ci circonda.


Elementi da considerare

Il termine “successo”, viene dal latino sub cedere e contiene l’idea fondamentale di “muoversi, andare”. Nei dizionari della lingua italiana, identifica l’effetto ultimo in un susseguirsi di fatti, in un’attività dall’esito favorevole.

“Le persone che riescono, in questo mondo, sono quelle che vanno alla ricerca delle condizioni che desiderano e, se non le trovano, le creano” (George Bernard Shaw).

In genere, per ottenere dei buoni risultati è necessario determinare gli obiettivi che ci interessa raggiungere (lavoro, relazioni sociali, legami affettivi, etc.) e individuare, successivamente, la migliore strategia applicativa. Inoltre, il metodo che consente una buona realizzazione, non può non tener conto dell’analisi del contesto ambientale in cui ci si troverà ad operare, in maniera da prevedere margini produttivi e aspetti di difficoltà. Il modo migliore di procedere, a questo punto, consiste nel sintonizzarsi con le esigenze degli altri, mostrando credibilità, coerenza, correttezza.

 

CONTINUA…

Proponiamo, a questo punto, un estrapolato dell’intervista di Catena Fiorello a Nerio Alessandri, 45 anni, fondatore della Technogym azienda leader mondiale nella progettazione di attrezzature e servizi per il wellness e la riabilitazione, pubblicata nel libro “Nati senza camicia”- Baldini & Castoldi Editori -MILANO 2003.



La realizzazione delle prime attrezzature per le palestre, direttamente nel garage di casa, frutto dell’entusiasmo per lo sport, della passione per la meccanica, del grande amore per la progettazione e il design. Attualmente, la tua azienda è una fra le trenta aziende dove si lavora meglio, al mondo. Nel 2000 diventi fornitore esclusivo dei Giochi Olimpici e Paraolimpici di Sydney, squadre sportive come la Ferrari, il Milan, l’Inter, l’Aiax, il Barcellona e, nell’America’s Cup, il gruppo Prada. Come nasce la tua scalata al successo?


Sono nato nel 1961 e provengo da una famiglia contadina. All’età di 19 anni mi sono diplomato come perito meccanico a Forlì. Il mio primo lavoro è stato come progettista designer di un’azienda leader in Romagna, di packaging nel campo della frutta. A 22 anni, “ovviamente” contro il parere dei miei genitori, ho deciso di mettermi in proprio, pur avendo raggiunto un buon inquadramento nell’organico. Sono partito dall’osservazione che, a quei tempi, non esisteva la cultura del wellness nelle palestre e ho sfruttato le mie competenze nel campo della meccanica individuando (grazie ai dati acquisiti mediante interviste a molti istruttori professionisti) i bisogni emergenti cui non si riusciva a far fronte per carenza di offerta. Studiando la fisiologia del movimento e abbinandovi le mie competenze meccaniche sono riuscito a costruire attrezzi che rispettassero la biomeccanica.

Hai fatto tutto da solo?

Da solo, accettando una sfida. Già da tempo, nella mia officina, mi dilettavo a realizzare evoluzioni e novità disponendo delle attrezzature necessarie e trascorrendo in tal modo molte sere della mia vita e quasi tutto il mio tempo libero. Così, facendo fare qualche pezzo a un fornitore amico e a un carpentiere, ho messo insieme alcuni attrezzi da ginnastica che poi ho portato nella palestra che frequentavo, riscotendo molto apprezzamento. Sotto precise richieste del mio istruttore, completai una intera linea di prodotti. La voce si sparse immediatamente e così ricevetti molti altri ordini. Nel frattempo io continuavo a lavorare come dipendente, quindi mi dedicavo alla mia passione solo il sabato, la domenica, la sera, la notte, in ogni momento libero. Decisi di licenziarmi quando l’azienda iniziò un periodo di cassa integrazione e coinvolsi 4 o 5 colleghi di lavoro. All’età di 22 anni, quindi, il 5 maggio 1984, decisi di fare il salto, il grande salto, prendendo un piccolissimo capannone di 100 mq e iniziare questa avventura. Oggi abbiamo 40.000 mq e 800 persone, siamo presenti in 60 Paesi, abbiamo allestito 27.000 fra centri fitness, wellness e di riabilitazione, con 15 milioni circa di persone che regolarmente utilizzano le nostre attrezzature in questi club tutte le settimane. Siamo diventati la prima azienda in Europa e la seconda nel mondo. La forza, il motore della crescita e dello sviluppo è stata l’innovazione a 360 gradi. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, abbiamo sempre innovato: nel prodotto, nel design, nella funzionalità, nella facilità d’uso, nell’estetica e nella visione. Questo ci ha dato la possibilità di proporre, non solo un prodotto che pure veniva considerato migliore rispetto a quello di altri, ma un’esperienza completa. Spinto da questa idea di volere realizzare un sogno, avevo momentaneamente abbandonato molte cose, amici, hobby. La determinazione mi faceva lavorare giorno e notte, saltavo il sonno, e magari stavo anche due notti senza dormire, ma non me ne accorgevo neppure, non sentivo la stanchezza, perché l’entusiasmo era talmente forte e l’adrenalina era a dei livelli che poteva venire giù anche un ciclone che non avrei avuto certamente paura. La forza, in questo senso, mi aiutava. E quando mia moglie, sfinita, si addormentava io lavoravo su di lei, progettando macchinari adatti alle sue misure.

Ma questo tuo desiderio era legato principalmente a un riscatto economico o c’era dell’altro?

Io volevo semplicemente realizzare un sogno: diventare imprenditore, indipendentemente dall’aspetto economico, che sarebbe stato conseguente. Bisognava fare dei prodotti di qualità, innovativi, belli e molto attraenti e, soprattutto, che potessero migliorare la qualità della vita delle persone. Tutte le volte che ho rincorso il successo, non ci sono riuscito. Quando, invece, ho sempre cercato di “migliorarmi” è arrivato anche il successo. Il tutto con molta curiosità e umiltà. Pensa che, all’inizio, non avevo neppure il telefono e, per rapportarmi con i clienti e con i fornitori, andavo in una cabina pubblica.

Però, se un ragazzo del Sud volesse emularti, magari avrebbe molte difficoltà ad ottenere una linea di credito, a livello bancario. Di fronte a situazioni del genere, tu cosa ti sentiresti di consigliare per “rincuorarlo”?

Partendo dal principio che si incontrano difficoltà per ogni cosa si voglia fare, nella vita, io non mi sono arreso di fronte a nulla, pur avendo paura: ho applicato metodo e determinazione, valutando i rischi con molta attenzione. Io ho sempre considerato gli ostacoli, come delle opportunità per migliorare se stessi. Ho cominciato con la politica dei piccoli passi, investendo pochissimo in soldi e moltissimo in tutto il resto. È importante, nel perseguire un obiettivo, che tutte le energie vengano convogliate per la sua realizzazione dell’obiettivo: Questo si chiama approccio imprenditoriale.

Oltre al fiuto, al cervello e a tutto il resto, negli affari c’è anche la morale, però: tu come te la cavi su questo?

Questo sistema si accompagna, almeno per me, anche a un impegno sociale. Chi fa impresa, ma non solo, deve sempre considerare l’aspetto sociale. Noi da diversi anni portiamo avanti un progetto chiamato “Technogym per il sociale”. Ogni volta che facciamo un prodotto o che conquistiamo un nuovo mercato insieme ai miei collaboratori, oppure quando facciamo un passo avanti in termini di prodotto, mercato, organizzazione, immagine, comunicazione, eccetera, è come fare un figlio: ogni linea nuova è un figlio, ogni mercato è un figlio. Abbiamo uno slogan che dice “I capolavori sono fatti di dettagli, sono i particolari che fanno la differenza”. Questo comporta che l’innovazione, intesa come approccio, ci porta a dire che “se una cosa funziona è obsoleta”. Intendo dire che, se hai raggiunto il massimo risultato, è già vecchio, quindi devi essere pronto a modificarlo. Tutto sommato, quindi, è un po’ la logica del paradosso.

È un po’ la tua filosofia, quella di metterti in discussione tutti i giorni?

È proprio così. non avremmo creato la Technogym, altrimenti.

Si può restare onesti, facendo l’imprenditore?

Credo che l’onestà e la trasparenza siano i migliori e più importanti ingredienti del gioco di squadra. Non tutti la penano come me perché, in Italia, non esiste ancora la cultura del successo ottenuto per propri meriti.. Mi spiego meglio: per me un affare inteso come business ( cioè, “creazione di valore”) passa attraverso un approccio scientifico che si basa sulla metodologia, sulla competenza, sull’innovazione, sulla tecnologia e sul sistema di comunicazione che viene dato a questo insieme di cose che si chiama “prodotto”. Bene, si lancia un prodotto di qualità sul mercato, lo si comunica correttamente affinché qualcuno ne percepisca il valore e sia disposto per questa ragione a pagare una somma di denaro, a fronte della quale lui deve avere un beneficio, e questo si chiama “ritorno dell’investimento”. Oltre a questo, il mio concetto di imprenditore è quello di creare un modello culturale. Questo vuol dire che fare impresa significa assumersi l’onere di creare e sviluppare una cultura, una cultura di tipo aziendale, fatta di uomini, persone motivate, immagine, posizionamento, tecnologia, know-how, rapporto con il territorio, rapporto con i clienti e i fornitori. E un concetto olistico, che nel mio caso parte da un garage per arrivare a essere leader nel mondo. Però, dietro a tutto questo, c’è il rapporto con le persone, perché si può innovare, si può diventare marker leader solo attraverso la valorizzazione delle risorse umane. Il mio sogno è che tutte le persone che lavorano con me siano o possano diventare, ognuno per il proprio ruolo, le più brave di tutto il mondo. Valorizzazione delle risorse umane significa dare due cose: professionalità e farle sentire protagoniste all’interno di un sistema dove chiunque può dire: “Io sono importante perché riesco a vedere concretizzarsi, grazie al mio operato, il progetto comune; il mio lavoro non è un’illusione”. L’obiettivo è lavorare divertendosi. Questo è il mio concetto di valorizzazione delle risorse umane. Ma tutto ciò è solo possibile all’interno di una cultura dove ci devono essere dei valori chiari e condivisi, che sono il rispetto, il senso di appartenenza, l’assunzione di responsabilità, l’umiltà, la passione, l’orgoglio, l’onestà, il gioco di squadra e il coraggio. Insomma dobbiamo trovare risposte adeguate a domande del tipo: “Perché esistiamo?” e, soprattutto, “Come esistiamo?”

Da quel famoso garage a oggi, Nerio Alessandri, proprio in termini personali, che cosa ha guadagnato e che cosa ha perso?

Ho guadagnato in esperienza e maturità. Non ho più il tempo di prima, ovviamente ho sacrificato gli affetti… ma sto recuperando.

Quanto sono importanti la cultura e i titoli di studio, per il raggiungimento di obiettivi importanti?

Vediamo di differenziare le due cose. Per me cultura è tutto quello che ti rimane dopo aver dimenticato tutto quello che hai letto, scritto, imparato, incontrato. I titoli di studio, pur importanti, non sono fondamentali per fare l’imprenditore: si può avere fatto la terza media o solo la quinta elementare ed essere il più bravo imprenditore del mondo.

Come definiresti “un imprenditore”?

L’imprenditore è una persona che ha capacità di intuire, di anticipare, di prevedere, di immaginare, e poi di motivare, di far sì che tutta l’orchestra suoni la stessa musica.

Il fatto che i tuoi figli non abbiano sperimentato il bisogno, ti dispiace un po’? Pensi che il fatto di nascere in famiglie non ricche aiuti comunque nella vita…

Moltissimo. Comunque, per rispondere alla prima domanda, io cerco di far sì che i miei figli crescano comunque con un modello educativo simile a quello che ho avuto io, per non perdere l’attitudine a guadagnarsi da vivere.

C’è stato un giorno in cui hai capito di essere diventato ricco?

Non ho mai posto troppa attenzione a questo aspetto. Più che essere ricco mi interessa arricchirmi, e c’è una grossa differenza. Arricchirmi significa aggiungere alla mia cultura personale, alle cose belle, alle cose importanti, conoscenza ed esperienza. Ad esempio, dietro una bella casa c’è uno studio di progettazione (con tanto gusto per l’arte, la cultura e la storia), così come una macchina importante mi affascina per la tecnologia intrinseca che rappresenta. Lo stesso vale per qualsiasi cosa faccia, anche per un viaggio. Non scelgo un albergo perché è di lusso o meno, lo scelgo perché ti permette di vivere una “certa” esperienza.

Cos’è per te la vacanza?

Andare al lavoro: io sono in vacanza tutto l’anno, capisci?


Perché hai la fortuna di fare un lavoro che ti piace.


Risposta: Bravissima, è questo il concetto. In una sola parola, io ricerco il wellness. Cioè, stare bene con se stessi per star bene con gli altri, sentirsi autorealizzato, poter dire “riesco a dare un senso alle cose che si possono fare”, attraverso l’autostima, attraverso l’entusiasmo, attraverso quell’energia positiva che ti spinge tutti i giorni verso qualcosa da realizzare.

I tuoi genitori che cosa ti hanno insegnato che non hai mai dimenticato e che vorresti poi insegnare anche ai tuoi figli? Che cosa ti è rimasto?

Mi hanno insegnato molte cose fondamentali e, soprattutto che, dal nulla, non viene niente!

“Continua ciò che hai cominciato e forse arriverai alla cima, o almeno arriverai in alto ad un punto che tu solo comprenderai non essere la cima” (Seneca).

 

 


G. M. – Medico Psicoterapeuta