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Spesso, soltanto ruggine sul taglio d’uno splendido acciaio.


 

Colloqui “riservati”

 

Caro dottore, è da un po’ che avrei voluto parlarle di qualcosa che mi rende la vita molto difficile: il senso di colpa.

Si sente in colpa per aver commesso qualcosa di particolare?

Riguarda gran parte delle cose che faccio, è tutta la vita che avverto di avere questo condizionamento!

È possibile che lei non conosca chiaramente il concetto ed il significato del senso di quello di cui stiamo parlando. Si è mai chiesta cos’è il senso di colpa?

Sentire di aver provocato un danno.

Si dice che il grande Albert Einstein, a proposito della bomba atomica, con un po’ di rimorso, abbia esclamato: “Se solo l’avessi saputo, avrei fatto l’orologiaio”. Effettivamente, il senso di colpa si avverte ogni qualvolta ci si ritiene responsabili di aver provocato un danno. Nella sua vita, quali danni ha prodotto e a chi?

Col termine danno posso riferirmi anche ad un disagio che ho prodotto ad altri.

Tra disagio e danno c’è una bella differenza! Essere responsabile di una lesione alla mano perché le ho concesso incautamente di maneggiare un petardo, è diverso che, invece, averle fatto fare anticamera per un quarto d’ora, prima di riceverla! Se permette… sono due cose differenti!

E non può accadere che un effetto del mio comportamento, a seconda delle condizioni del soggetto che lo riceve, è vissuto bene o male e, in considerazione di ciò, io possa sentirmi in colpa?

“Nulla può far danno a un uomo in gamba, né in vita né dopo la morte” (Socrate).

Cosa significa?

Che potrebbe essere un problema dell’altro, più che una sua carenza comportamentale.


La paura di generare fastidi negli altri, comunque, spesso mi blocca.


“È meno dannoso sbagliare nell’agire che essere indecisi e tergiversare sempre” (Baltasar Graciàn).

Per difendermi da situazioni simili, finisco col tenere a distanza anche le persone a me più care.

Diciamo che, con questo sistema ha cercato di proteggere se stessa e gli altri. Se è vero che ogni qualvolta ci sentiamo potenzialmente pericolosi per gli altri, dovremmo evitare di frequentarli, è altresì importante riuscire a rendersi conto della realtà in cui ci troviamo.

Cioè?

Evitiamo pregiudizi nei nostri stessi confronti. Verifichiamo l’effettiva validità di quello che stiamo pensando o, per contro, i limiti critici: ma siamo onesti con noi stessi.

Non è che io sono tendenzialmente rigida nei miei comportamenti?

Può darsi. È vero che, nel dubbio, è meglio evitare di far danno… ma è altresì necessario darsi da fare per chiarirsi le idee nel più breve tempo possibile.

Si… ma, con la rigidità come la metto?

Partiamo dal presupposto che la rigidità è un sistema di protezione che l’essere umano, in genere, attua quando sente di non essere capace di adattarsi a nuove condizioni; quindi, per principio, è un sistema protettivo corretto. È ovvio che, migliorando se stessi, si diventa meno rigidi. In sostanza si riesce ad aumentare la capacità di adattamento.


Come mai, in me, è così forte la resistenza al cambiamento?


Da quello che mi ha raccontato, lei è partita da una condizione oggettivamente difficile. Fin da bambina, l’hanno convinta di non valere nulla. Di conseguenza, nel profondo del suo animo, si sente in difficoltà per carenza di solidità adeguata a riuscire a rispondere agli eventi difficili della vita; se fosse convinta dell’esatto contrario, cioè di essere valida, solida, non sarebbe rigida, ma andrebbe incontro alle novità per progredire più velocemente. E’ chiaro?

Sicuro?

Chi ha paura di osare è come se fosse già morto! (Bob Marley)

Sono preoccupata…

“Al mondo non c’è coraggio e non c’è paura, ci sono solo coscienza e incoscienza. La coscienza è paura, l’incoscienza è coraggio” (Alberto Moravia).

Come mai sembra che queste preoccupazioni si stiano acuendo proprio ora?

È solo perché, ora, ha smesso di nascondersi dietro la maschera di una sicurezza posticcia, utilizzata, in realtà, per controllare la manifestazione delle emozioni positive e negative, di ogni genere: in questo modo nemmeno lei percepiva le proprie sensazioni, vivendo, sostanzialmente, in maniera “amorfa”. Oggi si sente disponibile e “forte” al punto tale da non usare più trucchi nemmeno con se stessa; quindi percepisce delle sensazioni come le dovrebbe vivere ogni essere umano trovandosi nelle sue condizioni: a volte con un “subbuglio” di manifestazioni “entropiche”. Non si crucci più di tanto, è un percorso obbligato e fisiologico, che porta ad uscire dallo stato di crisi.

A seguito delle sue spiegazioni della settimana scorsa ho ridimensionato il mio atteggiamento di rifiuto verso i miei genitori; mi ha spiegato che, modificare dentro di me gli insegnamenti (conflittuali) che loro mi hanno trasmesso, non significa “tradire” il mio rapporto affettivo nei loro confronti.

In effetti, nel momento in cui trasforma i contenuti di una o più idee, sostituisce solo la componente neutrergica (quella strutturale), lasciando intatto (anzi, rinforzando, a volte) l’elemento affettivo che la lega alla persona che le ha trasmesso il messaggio che, nel suo mondo inconsapevole, sta “ridiscutendo”.

Sì, proprio a seguito delle riflessioni scaturitemi dalle sue spiegazioni ho avvertito venire meno quell’ostilità che avevo dentro, ho sentito un investimento maggiore di affettività.

E’ quello che ci aspettavamo… e dov’è il senso di colpa?

Il senso di colpa c’è…ora gliene parlo!

L’altro giorno, mi sono recata a casa dei miei genitori. Sono riuscita a farlo non senza difficoltà, però.

Come mai?

Per via del fastidio che provo nei loro confronti, che fa seguito alle tante angherie subite nel passato. In pratica, una vera idiosincrasia!

E quindi?

Il senso di colpa è nato quando, giunta a destinazione, mi sono resa conto del fatto che loro, in realtà sono stati molto più affettivi del solito. Risultato, mi sono angosciata averli tenuti a distanza in questi anni quando, pur cambiando apprendimenti (da parte mia) non ci sarebbe stato nulla di strano a frequentarli un po’ di più…

Un attimo. Non è che si sono comportati in quel modo non perché fossero migliori di quello che lei credesse, ma perché lei è stata diversa e, quindi, ha creato i presupposti per un miglior dialogo?

In effetti… quindi, è corretto concludere che io non ho sbagliato a sfuggire i miei familiari perché, in questo modo li ho salvaguardati dalla mia ostilità nei loro confronti?

Il suo sistema, tempo fa, era quello di scontrarsi con loro, per creare il distacco che serviva per proteggersi. In una fase successiva, man mano che ha analizzato il rapporto con loro, da questo scontro è passata ad un isolamento, come elemento di attesa “costruttiva”. Oggi può prendere in considerazione l’idea di una frequentazione direttamente proporzionale alla sua maturazione interiore. Come vede è un’evoluzione, non è un’involuzione.

Però questa evoluzione mi ha portata a prendermela con me stessa.

Perché non ha consapevolizzato il processo in atto.

Quindi, niente sensi di colpa?

Ascolti, loro sono gli stessi di sempre perché coi loro disturbi mantengono una condizione basilare di equilibrio, all’interno del loro caos mentale; chi sta cambiando è lei. Quindi è lei che può relazionarsi meglio. Allora, non ha sbagliato a creare l’isolamento, così come non sbagliava a scontrarsi, sbaglierebbe oggi a contrapporsi violentemente. Domani non ci sarà più bisogno nemmeno di creare un distacco perché riuscirà a frequentarli (magari con moderazione) senza danneggiarsi.

Quindi è stato normale provare quei sentimenti.

E’ stato logico.

…E poi mi sono chiesta anche come costruire con loro un dialogo, mica si scambia solo affettività, bisogna parlare di qualcosa.

Certo, ma una cosa alla volta, man mano che matura, si creeranno dei presupposti sempre più concreti per discutere anche e, soprattutto, di altro.

Io inizialmente mi ero sentita rinata dopo le ultime spiegazioni, tanto che avevo avuto la sensazione di non riconoscermi più proprio perché avevo cambiato posizione. Poi. Però, ho sentito scombussolamento e sensi di colpa…

Effettivamente è rinata, però non sa dare ancora tutte le spiegazioni. Quindi, per abitudine, si ritiene colpevole.

Il senso di colpa quindi non ha senso. Man mano che metabolizzerò il fastidio smaltirò le varie tensioni che accumulo quando penso di agire in maniera difforme da quello che loro si aspetterebbero da me?

Un certo fastidio latente, non potremo escluderlo. Il senso di colpa non troverà posto per via del fatto che sta diventando una persona nuova del tutto. Il senso di colpa era il risultato di questo elaborato di pensiero: siccome io la penso diversamente su determinati argomenti rispetto a ciò che mi è stato insegnato, mi sento una cattiva persona.

Ma è il fatto di stare spesso in conflitto che mi fa sentire stanca?

Se è vero che i conflitti stancano, è anche vero che, ognuno di noi, possiede un campo di azione mentale vastissimo. Anche se esiste un conflitto in una zona periferica te ne accorgi solo se vai a pescare quel pensiero, quell’elaborato relativo al dato in conflitto. E’ come quando un Hard Disk ha un problema, un cluster rotto. Il problema si manifesta se un file è stato memorizzato in quella parte di cluster rotto. In questo momento, molti di noi hanno, in diverse zone dell’organismo delle infiammazioni, ma non è che queste impediscano di fare una vita normale. Puoi avere un’infiammazione alle articolazioni di un dito della mano perché hai mangiato male oggi con la forchetta, alle vie respiratorie perché il virus del raffreddore ha preso il sopravvento, puoi avere un’infiammazione alle articolazioni dell’anca perché sei stata seduta troppo, ma non è che questo ti impedisce di vivere e di pensare perché altre zone del tuo organismo funzionano bene. L’organismo non “gira” in equilibrio in ogni settore. La stessa cosa accade per la mente. Ci sono zone in conflitto, zone più tranquille, zone con conflitti in via di risoluzione, zone in cui stanno nascendo dei nuovi conflitti; non è tutto in conflitto, altrimenti si crea una marasma a seguito del quale si che determina una fuga dalla realtà e… diventi Napoleone Bonaparte o l’Arcangelo Gabriele.

Il senso di colpa è un meccanismo che si apprende: su che apprendimenti si fonda?

Su messaggi che supportano affettività ambivalente, in grado di generare conflitti.

Ma come contenuto, che tipo di apprendimenti lo creano?

Quelli che creano frustrazioni di tipo; ad esempio decisioni da prendere, in merito a scelte di vita (lavoro, affetti, ricerca di autonomia evolutiva, etc.) condizionate da apprendimenti morali, legami affettivi, etc. L’unica possibilità di uscirne, consiste nell’imparare a distaccarsi dal modo di pensare che si fonda su come gli altri vorrebbero che noi fossimo. Rispetto al passato, oggi lei comincia a privilegiare se stessa e, paradossalmente, affiorano più sensi di colpa. Prima privilegiava gli altri e puniva se stessa con molti disturbi psicosomatici. Oggi si occupa maggiormente di assecondare le proprie istanze e quindi produce sensi di colpa perché si ritiene cattiva. Gradualmente, anche questa situazione migliorerà.


E la mia formazione religione, come ha inciso?


Mia figlia Mariarita, fino a 6 anni, era razionale e fredda nelle sue emozioni. Ricordo che, a chi le chiedeva “Dove si va quando si muore?”, rispondeva con tranquillità “Dicono che i buoni vanno in cielo e i cattivi all’inferno, ma, in realtà, vanno tutti sotto terra”. Da quando ha cominciato a frequentare ambienti parrocchiali, si è riempita di conflitti emozionali.

Ma perché ha permesso che si inquinasse?

Perché, da una parte la religione alcuni messaggi corretti li trasmette (solidarietà, etc.)…

E dall’altra?

È stata lei a chiedere di iscriversi all’azione cattolica, per non sentirsi diversa dalle sue compagne di classe.

E cosa succederà?

Che continuerà a fare una vita normale, con alti e bassi, lontano dalle potenzialità naturali, ma non emarginata, in questa fase di vita, in cui è necessario un confronto stretto con chi la circonda.

E poi?

Farà tesoro dei miei esempi di vita improntati alla coerenza e al necessario distacco scientifico, pur con la capacità di emozioni intense… ma poco conflittuali. “A ogni singolo filo d’erba è destinata almeno una goccia di rugiada” (Proverbio cinese).

E la mia ansia, come la controllo?

L’ansia non va controllata, va scaricata, altrimenti ti “scoppia” in mano.

E come si fa?

Ne parleremo in un altro momento.

Va bene. Un ultimo aforisma?

“Spesso, il rimorso è soltanto un po’ di ruggine sul taglio d’uno splendido acciaio” (André Suarès)

 


G. M. – Medico Psicoterapeuta