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Cellule che pensano, farmaci che “interferiscono”: cosa dovrebbe sapere chi “cura”?


A spasso verso un futuro migliore

Caro dottore, vorrei iniziare con un paio di domandine facili facili: qual è il rapporto tra psiche e corpo? “Quando” e “dove”, comincia la vita, in un essere umano?

Rispecchia parametri di linearità energetica. Noi sappiamo che viene convenzionalmente definita psiche quella parte dell’energia che si trova nell’essere umano, la quale non si aggrega a formare strutture solide. Per quanto riguarda il nostro organismo, noi sappiamo che è composto di apparati, di organi, di tessuti; ogni tessuto ha una struttura cellulare, ogni cellula è dotata di vita propria, con una sua capacità di stabilire le attività per cui è stata addestrata, nel primo periodo di vita, a cominciare dall’accrescimento embrionale. Quindi, dentro ogni cellula c’è vita: nel suo citoplasma, con i vari organuli, che consentono la sopravvivenza cellulare, ma soprattutto all’interno del nucleo della cellula stessa, dove è sistemato il DNA, che è un deposito di informazioni dinamiche, nel senso che non rimangono stabili, ma cambiano sulla base delle esperienze di vita e di tutte le informazioni che proverranno dal contesto circostante. Il DNA è una grande molecola, composta, quindi, da molecole più piccole; come sappiamo, secondo la chimica ogni molecola è composta da atomi dentro cui c’è movimento energetico, quindi c’è vita, vita autonoma sganciata, in un certo qual modo, da quelle che possono essere le stimolazioni del mondo esterno, perché le particelle che compongono l’atomo, cioè gli elettroni, i protoni ed i neutroni, sono dotati di un movimento continuo, anche se incostante, che si modifica sulla base di eventuali sollecitazioni interne ed esterne. Allora possiamo concludere che la vita comincia all’interno degli atomi, grazie alle informazioni che le microparticelle hanno ricevuto, di base, nel momento in cui si è costituito l’universo, che consentiranno loro un certo tipo di movimento (e che si misurano in termini di lunghezza d’onda, di frequenza e di rotazione, principalmente), che verranno modificate in base agli apprendimenti che arrivano da fuori della cellula, per cui le strategie, i dialoghi, gli elaborati cellulari, avvengono negli atomi che sono contenuti nel DNA di quella cellula stessa dove, possiamo affermare, che si trovi attività psichica.

Quindi c’è un organo direttivo in ogni cellula?

C’è un’attività in grado di consentire meccanismi di elaborazione e riflessione in ogni cellula, grazie alla quale la cellula esplica una vita propria ed una strategia operativa, oltre che di sopravvivenza. Poi, tante cellule costituiranno un apparato, e tante cellule, scambiandosi le informazioni tra loro, saranno in grado di compiere un lavoro maggiore, formeranno un’entità pensante più complessa.

Lei diceva che il loro funzionamento, poi, è condizionato dal mondo esterno. Può spiegarmi meglio?

Sì, sulla scorta delle informazioni che arrivano dal mondo esterno, cambia il loro modo di agire. Se è necessario produrre più cellule immunitarie a seguito di un’infezione, la strategia cellulare si orienta in maniera opportuna, perché aumenta la duplicazione. Come sappiamo, l’organismo è composto da tre grandi strutture fondamentali: il sistema nervoso, l’apparato endocrino e quello immunitario, che dialogano tra loro. Quando si dice che “dialogano tra loro”, s’intende affermare che ogni cellula di questi tre grandi apparati, produce delle sostanze che vengono inviate nell’organismo, producendo delle risposte. Quindi, c’è una collaborazione continua, anche se incostante, che consente di mantenere e di ripristinare degli equilibri, sulla base di quella che è la reale esigenza e di quelle che sono le condizioni del momento.

Che rapporto c’è tra tutte queste unità pensanti, diffuse e quella che è stata sempre considerata unica, che dovrebbe avere sede nel cervello?

La complessità degli elaborati, perché è chiaro che una cellula immunitaria, ad esempio, riesce a produrre degli elaborati meno complessi di una cellula della corteccia cerebrale o dell’ipotalamo o di altre zone cosiddette “nobili”; però, tolto questo, ogni cellula è in grado di pensare. Apparentemente solo i globuli rossi sono privi di questa possibilità perché non contengono DNA, dal momento che, quest’ultimo, ruberebbe spazio all’emoglobina, che lega l’ossigeno da distribuire nei vari tessuti. È come se il globulo rosso venisse istruito sul lavoro da fare e poi venisse privato del suo cervello pensante. Probabilmente rimangono delle tracce, come in un ipotetico midollo spinale, in questa cellula, la quale prende ossigeno dai polmoni e lo rilascia nelle cellule, alle quali, poi, sottrae anidride carbonica per rimetterla in libertà, di nuovo, a livello degli alveoli polmonari. Tranne queste cellule, tutte le altre sono dotate di DNA, quindi di un centro di accumulo e di elaborazione dati.

Allora, se funzionano così le cose a livello cellulare, ognuno di noi, quando ha un disequilibrio, nella mente o nel corpo, è in grado di risolverlo da solo?

Certo, è una cosa che accade continuamente.

In proposito, mi sembra che quando il disagio sia limitato alla psiche, possa essere risolto più facilmente rispetto a quando riguardi anche il corpo. E’ un mio pregiudizio?

Il malessere corporeo è creato da disfunzioni un po’ più complesse rispetto a quelle responsabili di un disagio psicologico, perché si tratta di modificare delle strutture solide nella composizione anatomica e nel funzionamento, mentre un disagio psicologico è il risultato di conflitti di elaborati che “offuscano” i normali elaborati, senza creare danni anatomici.

E per risolvere?

Questo è un lavoro che si può fare da soli o con l’aiuto di uno psicoterapeuta che abbia competenza di fisica delle particelle e di personalità, in grado di fornire quei messaggi che servono per ripristinare l’equilibrio. Un problema organico è un po’ più difficile da risolvere proprio perché ha creato dei danni nella struttura di un organo o di un apparato, ma comunque è sempre (o quasi) ripristinabile un recupero funzionale. In genere ci pensa l’organismo. Quando questo non accade vuol dire che si sono determinate delle condizioni psicofisiche di alterazione “eccessiva”, allora si può intervenire con mezzi esterni.

Quindi, a determinate condizioni, occorre un intervento esterno, anche se, in teoria, esiste la possibilità di ripristinare le cose da soli?

Se tecnicamente ci si rende conto che è possibile un autorecupero, è meglio non intervenire con fattori esterni, perché, comunque, si porterebbero dietro, degli effetti collaterali. Un farmaco è un’interferenza, un’operazione chirurgica costituisce un’interferenza, che può anche essere di media o di grande entità, tanto che, dopo un “passaggio” in sala operatoria, un organismo ha bisogno di un tempo di recupero.

Io verifico che anche se assumo qualche compressa contro il mal di testa, il mio organismo avverte un rifiuto contro una sorta di “invasione”.

Guardi che anche dopo l’assunzione di farmaci c’è bisogno di un tempo di recupero. Gli unici farmaci da assumere senza rifletterci molto sono i salvavita, in condizioni di rischio, come quelli che aiutano a superare una crisi infartuale, quelli che aiutano a sciogliere i grumi di sangue in un’ischemia cerebrale, oi che risolvono una crisi ipertensiva severa. Tante altre categorie farmacologiche, se si vivesse in maniera più logica e se i medici fossero istruiti, preparati e formati a dialogare anche con l’aspetto psicologico, potrebbero essere ridotti nell’assunzione o, addirittura, eliminati nel tempo!

Ma i medici non conoscono l’aspetto psicologico?

Quello psicologico è un aspetto che soprattutto l’area medica conosce poco o niente perché, a torto, viene ritenuto un discorso molto più vicino alla filosofia che ad un “pragmatismo” terapeutico. Questo modo di pensare, ovviamente, è sbagliato e pericoloso perché la manifestazione patologica in un distretto corporeo, deriva sempre da una disfunzione generalizzata del metabolismo e, siccome il corretto andamento di quest’ultimo si determina a seguito anche di dialoghi fisiologici e funzionali del sistema nervoso e del sistema immunitario, ecco che è spiegata l’importanza di osservare l’essere umano nella sua interezza, nella sua complessità, per poi eventualmente decidere un intervento localizzato e mirato al punto dove si è formata la disfunzione o il danno organico, ma sempre tenendo d’occhio, per il recupero corretto, la complessità dell’aspetto psicoorganico, soprattutto per evitare recidive, oltre che per consentire un recupero più rapido e completo.


G. M. – Medico Psicoterapeuta

Si ringrazia Erminia Acri per la formulazione delle domande e la stesura del dattiloscritto