La legge è “perfetta”… è qualcos’altro che “distorce”!
Non ce ne voglia l’avvocato che qualche tempo fa, su queste stesse colonne, ha sapientemente esposte le norme per l’accesso alla professione di giornalista, schematizzandone i passaggi fino a rendere chiarissimo tutto il percorso; che poi tanto complicato non è, almeno sulla carta.
L’avvocato lo diceva impervio, ma certamente, e questo lo diciamo noi, non per il raggiungimento dei requisiti che quelle norme richiedono, che non sono poi la fine del mondo, ma perché diventare giornalisti e’ quasi impossibile, senza che la colpa sia proprio della Legge, dallo stesso avvocato definita piuttosto arretrata.
La Legge e’ perfetta, invece, perché quasi tutte lo sono, checche’ se ne dica. Vediamo un po’ se e’ vero, cominciando dall’inizio.
Giornalista, secondo la più classica accezione, e’ chi, per professione, scrive per un giornale, ossia per una pubblicazione a stampa, recante principalmente notizie; ma pure commenti, articoli od avvisi.
Accezione classica, perché pare non sia più così, nel senso che giornalisti non sono solo quelli della carta stampata e soprattutto non sono più le notizie a costituire quel principalmente, ma i commenti, espressi seduti a tavolino, ovvero spaparanzati sulle poltrone del dibattito televisivo od arrampicati sugli sgabelli del dibattito radiofonico; in vari modi, dalla riflessione ponderata all’elucubrazione; gratis, per stipendio o per ricchi cachet, dipende dalla competenza, dalla moderazione o dalla tronfietà del giornalista che, in quanto tale, può intervenire su tutto, dalla medicina allo sport, dalla cucina al nucleare, dal giurassico alle guerre stellari.
Poveri giornalisti di un tempo ( poveri realmente, icasticamente, come direbbe un qualche giornalista forbito, che non conosciamo, ma sicuramente esiste, nella categoria), che dovevano riempire il quotidiano di notizie da riportare con completezza di esposizione e stile, dopo una caccia estenuante con la sola arma misteriosa dell’intuito, senza alcun fuoco di copertura di Agenzie o supporti logistici di telefoni, telefonini, fax, E-Mail e via discorrendo!
Quelle doti, completezza di esposizione, stile (buona scrittura la definivano una volta, quando i refusi erano solo errori nella composizione tipografica) ed intuito, non costituiscono più i requisiti essenziali per accedere al percorso tracciato dalla Legge o, almeno, non vengono richieste.
C’è dell’altro, oggi; una connotazione diversa della professionalità, come diverse sono le esigenze da soddisfare. Non più notizie, bensì commenti e riflessioni indotte sulle notizie.
Quindi non più giornalismo, bensì linea editoriale, ovvero adattamento della notizia ad un significato utile e particolare, ad ogni costo; altrimenti, se proprio la notizia non si presta, un discreto silenzio. Con mestiere, una dote diversa dalle succitate, che non si possiede innata né si acquisisce nella redazione di un giornale o sul campo, a caccia di notizie. Sicuramente non lì; dove, non so!
“Caro signor Zanfini, Lei con la sua lettera dimostra di avere parecchie corde al Suo arco, cioé buone doti per riuscire e questo aumenta in me il rammarico di doverLa deludere subito. Perché ho le mani legate, a questo proposito, anzitutto dal bilancio del “Giornale” per cui non possiamo fare miracoli e poi dalle norme sindacali che mi pongono divieti inderogabili. Il nostro organico e’ completo e, naturalmente, intangibile. Lei non sa quanto mi costi scriverle queste cose, ma un elementare dovere di coscienza me l’impone. La saluto molto cordialmente”.
Questo, allo Zanfini, l’aveva scritto un tal Montanelli, Indro, in una lettera di ventisei anni fa’, discreta, allusiva, forbita, profetica e puntuale: non avendo mai imbroccata la linea giusta, non sapendone l’arciere la direzione, tutte le frecce scoccate con quell’arco sono andate a vuoto e la professione, lo Zanfini, non l’ha mai raggiunta.
Ma la Legge, una cosa seria, almeno quella, non c’entra.
Antonio Zanfini