Da un nostro lettore: Chi garantisce la conoscenza e trasparenza del mercato?
La scelta, se non è consapevole ed adeguatamente informata, che scelta è?
Apparentemente questo assunto parte da presupposti lontani, ma ne sono numerosi i riscontri e collegamenti nella pratica. Come noto, nella nostra società si confrontano, per quanto riguarda la responsabilità per le cose che non funzionano, due grandi scuole: quella del “non poteva non sapere”, e quella del “poteva non sapere”, probabilmente postulando che sapere o no sia affare personale delle persone che, per convincimento dei cittadini o norma, dovrebbero farsi carico del ruolo di responsabili nei loro confronti.
La dottrina che di fatto prevale è la seconda, con la conseguenza che, per i danni e malversazioni che spesso colpiscono i cittadini, di responsabili, o non ve ne sono, poiché non previsti per legge, o non si individuano, in un polverone di scaricabarili , e, comunque, nulla di solito risarciscono o patiscono quelli che vengono, nonostante tanti ostacoli, alla ribalta.
Insomma, risulta persa la speranza nel ruolo di garanzia dell'”Ordinamento” giuridico, e ciò avviene, oltre che per omissioni e carenze legislative, per l’incertezza di esso. E’ noto, infatti, che esagerata e fuori controllo è la massa di norme che si affollano, si intrecciano e si scontrano sulla testa del “cittadino semplice”, proveniendo dalle più svariate fonti (UE,Stato,Regioni,giurisprudenze), assortite ed a stabilità….variabile; è altrettanto nota l’inefficienza ed inefficacia d’un Sistema Giudiziario con assai scarsi finanziamenti, ma velleitarie pretese di poter con essi, e con procedure antiche, a volte “bizantine”, spaccare il capello in 4 per una giustizia di massa .Vale la pena,allora,almeno pretendere di avere ( e che sia rispettato), il diritto di conoscere tempestivamente i fatti , affinchè ciascuno possa orientare al meglio la propria condotta.
Ma v’è, per esempio, un diritto alla confrontabilità delle offerte nel mercato? Un vero diritto di scelta? Perdersi nella disperata ricerca dell’offerta più adeguata, sicura e conveniente, è assai facile. Un esempio di recente è balzato agli occhi di molti utenti, il caos nelle condizioni in rapporto alle tariffe telefoniche . Non vi sono identici parametri di riferimento per tutti i Gestori della telefonia. La liberalizzazione della telefonia, con la proliferazione delle proposte tariffarie, sta disorientando l’utente, alle prese con una molteplicità di tariffazioni non omogenee nelle condizioni tra i vari Gestori, con scatti al minuto, al secondo, alla risposta, telefoni fissi e mobili; ulteriore confusione deriva da mono, dual, tri band, UMTS, internet più o meno veloce, digitali terrestri, satelliti, IVA inclusa od esclusa, distanze, fasce orarie, schede prepagate di vari colori ed utilizzzabilità, numeri scontati e via almanaccando, ove il consumatore, anche il più smaliziato, finisce per sperdersi. Molti sostengono la scorrettezza, ai limiti dell’illiceità, di tale sistema, con disomogenea e, sostanzialmente, inconfrontabile articolazione, di clausole-tariffe, poiché i vari gestori, con l’ adottare parametri inconfrontabili, inducono i contraenti in errore, procurando a se, anche se pariteticamente agli altri, in una sorta di iniquo sostanziale cartello di inconoscibilità, un danno agli utenti.
Sarebbe opportuno che le Istituzioni disponessero che i diversi prezzi stabiliti dai vari Gestori, si collochino, per quanto riguarda il costo delle comunicazioni tra utenti, nell’ambito di parametri identici (per scatti, fasce orarie, distanze, rapporti tra telefoni fissi e mobili e tra telefoni mobili). Anche guardando ai principi giuridici generali dell’Ordinamento, come noto impostato su due pilastri: il principio di responsabilità, e quello di giustificazione, non appaiono sufficienti giustificazioni, in considerazione della moderna tecnologia, a giustificare parametri diversi per i Gestori, a fronte della reale compromissione degli interessi degli utenti, in quanto a libertà e consapevolezza delle scelte – tutelati fortemente dalle norme giuridiche, anche comunitarie, come l’art 153 Trattato CE o l’art 38 Trattato di Nizza.
Ma non è solo il settore delle telecomunicazioni a proporsi in maniera caotica e comunque non trasparente; anche il settore dei prodotti finanziari o assicurativi è pregnato da una pressochè infinita gamma di clausole diversificate e variamente assortite; siamo arrivati alla cd finanza creativa. Proprio dove la materia è complicata, per molti incomprensibile, la confusione è aumentata dalle diversificazioni, sulle quali appare fondarsi la concorrenza tra gli offerenti. Tanti i nascondimenti: nella vendita di veicoli non viene resa nota la non trascurabile informazione di quanto durerà la produzione del modello, con annesso conseguente crollo della valutazione del precedente.
Siamo arrivati all’assurdo di vedere offrire libri o riviste incellofanati in buste sigillate dichiarate non apribili, forse postulando il concetto che un opera dell’ingegno si compri al buio dell’intelletto, o per il bel colore della copertina, ma anche al proliferare di negozi privi di insegna, o con ragioni sociali a denominazione non identificativa. La paura di una effettiva concorrenza è grande al punto da trascurare anche la fidelizzazione tradizionalmente legata al nome della ditta? Vogliono evitare che il cliente torni e li riconosca? Si vogliono nascondere al fisco? Non si sa.
Al top della non trasparenza troviamo tollerati, per motivi misteriosi, i servizi dell’occulto, vendibili sul mercato, senza contrasto istituzionale e garanzie, ma seguiti a ruota dal mercato dei titoli. Nella confusione si vive tutti male.
Le situazioni descritte rendono sostanzialmente impossibile la scelta consapevole del consumatore -utente, ed ardua la formazione delle offerte commerciali da parte delle stesse imprese, turbando il regime dei prezzi, e non consentendo effettiva e corretta concorrenza tra le aziende di settore, come testimoniato dalla frenetica rincorsa delle proposte nel mercato, alle quali le stesse aziende spesso non riescono a rimanere dietro nell’aggiornamento delle operazioni di gestione, come provato da numerosi reclami di utenti sul tema, che hanno indotto, per esempio, l’ Autorità per le comunicazioni ad emanare la delibera 182-02AGcom per consentire agli scontenti TLC di tentare la conciliazione.
Anche la conoscenza dei prezzi indicativi medi di prestazioni, beni e servizi è pressochè impossibile, poiché, all’ombra di una osannata libertà, meglio definirla licenza, di prezzo, e riservatezza aziendale (non nell’esigere i pagamenti, però), tali indicatori statistici non risultano compilati analiticamente, divulgati e messi in rete da alcuna Istituzione, così i consumatori, ignari, accettano per buone le richieste più esose, che li colgono impreparati ed indifesi, e non possono ringraziare per quelle equilibrate.
Ma, la legge sovviene alle esigenze di trasparenza e conoscenza nel mercato? Fino ad un certo punto. In effetti, negli ultimi anni, specialmente sotto impulso CE, varie leggi, sia pur in ordine sparso ed elusive di esplicitazioni specifiche sul tema, si sono fatte carico di mettere ordine nei mercati, sia nell’interesse di una corretta concorrenza tra le aziende, sia per consentire scelte consapevoli ai consumatori utenti.
Per esempio, ai sensi della Legge 249-97 “L’Autorità,per le garanzie nelle comunicazioni, esercita la sorveglianza sui prezzi praticati e adotta i provvedimenti necessari ad assicurare condizioni di effettiva concorrenza”. La Legge 481-95, che fissa i principi generali cui si ispira la normativa relativa a tutte le authority, stabilisce che “tutte le ragionevoli esigenze degli utenti siano soddisfatte”, che “le authority stabiliscono ed aggiornano la tariffa base, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le tariffe, “che “provvedono a confrontare i costi con i costi analoghi in altri Paesi “, che “pubblicizzano e diffondono la conoscenza delle condizioni di svolgimento dei servizi, al fine di garantire la massima trasparenza, la concorrenzialità dell’offerta e la possibilità di migliori scelte da parte degli utenti”.La legge 508-93, poi, stabilisce che le Camere di commercio predispongano e promuovano contratti tipo tra imprese e consumatori.
Ma certo, la legge che ha posto le fondamenta per la tutela diretta delle scelte del consumatore è la 281 del 1998, la quale prescrive che siano diritti indefettibili del consumatore utente, tra altri, quello alla sicurezza e qualità dei prodotti e servizi, (un obiettivo irrealizzabile se risulta difficile o impossibile sceglierli), ad una adeguata informazione e corretta pubblicità, (e non appare adeguata l’informazione nel mercato, se non è di fatto possibile orientarsi in esso), alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni o servizi, (e trasparenza, nei casi citati non se ne ravvisa a sufficienza), alla elevata garanzia dei diritti ed interessi individuali e collettivi dei consumatori, utenti, alla loro tutela in sede nazionale e locale, (e carente appare una tutela che lasci allo sbaraglio il consumatore-utente in un momento così delicato e problematico come quello della scelta, spesso a fronte di risorse patrimoniali per lui limitate, e dubbia qualità in un mercato che, per diffusa opinione, appare assai poco controllato).
E’ possibile ricavare un diritto alla confrontabilità anche argomentando sul decreto legislativo 74 del 1992, integrato nel 2000 per la pubblicità comparativa, che ha vietato la pubblicità ingannevole diramata da qualsiasi mezzo di comunicazione o anche con la semplice presentazione di un prodotto o di un servizio, come può essere un’etichetta, un manifesto, un tabellone, un depliant, ecc.. Il fondamento della tutela contro la pubblicità ingannevole risiede nell’ articolo 2598 del codice civile,ove
sono elencati i comportamenti da considerare atti di concorrenza sleale; lo stesso articolo dispone che, in ogni caso, effettua una concorrenza sleale anche colui che si avvale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale, idoneo a danneggiare l’ altrui azienda. Nel dettato di questa norma generale venivano tradizionalmente comprese le condotte di concorrenza illecita realizzate attraverso forme di pubblicità ingannevole.
Già in antico si era formato il concetto di dolo buono, per gli inganni trasparenti dei mercanti, come per esempio l’ esagerata lode della propria merce, il vanto della qualità, l’assicurazione della bontà delle cose offerte, contrapposto al dolo malevolo, vero e proprio artificio da vietarsi con legge; ma un mercato di rapporti commerciali semplici com’era quello antico, consentiva al consumatore, con un minimo di avvedutezza, di scorgere il limite con il quale valutare la maliziosa rappresentazione della realtà da parte del venditore; oggi la sofisticazione dei mezzi pubblicitari e la complicazione della produzione e della distribuzione,esige una maggiore tutela del consumatore, per cui, con il decreto legislativo 74, il legislatore ha fissato i parametri da assumere quali criteri base delle discipline della pubblicità, non soltanto( come faceva il codice civile), per tutelare la libertà del mercato, ma, anche a protezione della consapevole e libera determinazione di chi nel mercato assume la veste di utente o di consumatore e, quindi, di destinatario del messaggio pubblicitario.
Per analogia, al disorientamento per la pubblicità ingannevole, può equipararsi quello per carente confrontabilità oggettiva delle offerte. Possono essere citate, poi, le normative che impongono l’esposizione di prezzi e, ove occorre, la loro commisurazione convenzionale a unità di misura, come il d.l.vo 84-2000;ma anche l’art 41 Cost,il quale impone che l’iniziativa economica non sia svolta in contrasto con l’utilità sociale; il d.l.vo 114-98 che impone trasparenza e informazione nel commercio.
E’ un fatto positivo la notizia che l’ Amministratore delegato di IPSOS presenterà il 4 -3- 2004 a Milano una ricerca originale, promossa da FORUM P.A. e IPSOS, sul ruolo della Pubblica Amministrazione come garante della comunicazione e trasparenza del mercato, ma, dato il perdurare di fatto di una vasta confusione, c’è da augurarsi che i consumatori-utenti, ai quali, come ricordato, era stata, anche
comunitariamente, promessa elevata tutela degli interessi, ma che, per molti versi, continuano a vivere in una giungla, prestino attenzione nelle scelte, allo scopo di almeno limitare i danni da scelte già strutturalmente inadeguate, affinché non capiti loro quello che teorizzò Confucio, al quale viene attribuito il motto: chi non prevede cose lontane, si espone a subire disgrazie vicine.
Francesco Battaglia