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Il nostro legislatore riconosce, nella separazione, un assegno di mantenimento a favore del coniuge che non abbia adeguati redditi propri.

Ai fini dell’attribuzione dell’assegno assume rilievo l’attitudine al lavoro del richiedente, intesa non come generica capacità o come astratta possibilità di occupazione, ma come effettiva e concreta possibilità di svolgimento di una attività, specifica e retribuita.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 18920 dell’11 dicembre 2003, con cui ha ritenuto giustificata la riduzione dell’assegno di mantenimento perchè la beneficiaria non si era data sufficientemente da fare al fine di trovare un lavoro retribuito.

Nel caso esaminato dalla Corte, era stata pronunciata la separazione personale dei coniugi, con condanna del marito a corrispondere alla moglie, a titolo di contributo per il mantenimento della stessa, un assegno mensile di lire 1.500.000.

L’importo di tale assegno era stato ridotto dalla Corte di Appello a £.1.000.000, in considerazione del fatto che la moglie, in ben undici anni di separazione, non aveva trovato alcuna occupazione per sua insufficiente attivazione.

Impugnata le sentenza della Corte d’Appello davanti alla Corte di Cassazione, quest’ultima ha confermato la decisione del giudice d’appello.

L’assegno di mantenimento, quindi, presuppone l’effettiva impossibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, alla luce di ogni fattore oggettivo e soggettivo.

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