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PROFUMI, STORIE E LEGGENDE DI CALABRIA.

Al visitatore occasionale, la Sila appare come una vasta distesa adagiata su di un acrocoro che si sviluppa per un’altezza media di 1200 m. sul livello del mare e per un’estensione di circa 75.000 ettari, ove innumerevoli ed incantevoli scorci paesaggistici ne moltiplicano il fascino e dove il faggio si alterna al pino e l’abete si erge con un’eleganza nordica, quasi a rivendicare una nobiltà arborea fatta di tronchi vertiginosamente slanciati, dritti come fusi, splendidi nel loro verde cupo, mentre il muschio smeraldino ne impreziosisce i rami e i fusti.

Ma per meglio godere questo spettacolo unico della natura, che non ha pari riscontri nel mondo, bisogna che ogni mezzo di trasporto, dall’automobile al fuori strada, sia lasciato in sosta, col motore spento per più giorni, affinché non si turbino i mistici silenzi dei boschi, i cui rami sembrano risuonare antiche melodie, che il vento modula, quasi toccasse gli infiniti tasti di una misteriosa arpa eolica.

Nonostante l’opera devastatrice dell’uomo, la Sila è riuscita, fino ad oggi, a preservare, negli anfratti più inaccessibili delle sue giogaie, sprazzi di flora incontaminata; e ciò, grazie, soprattutto, all’opera di difesa del Corpo Forestale dello Stato, che si prodiga nel salvare e recuperare questo territorio, nel quale spicca la più caratteristica espressione della flora silana : il “Pino Loricato”, oltre che concorrere, in tal modo, a garantire quell’habitat di cui necessita la fauna del nostro altipiano.

E così, dal lupo allo scoiattolo, dal nibbio alla pernice, dal daino alla lepre e per tutto quel brulicante mondo animale che si libra nel cielo o si nasconde in sotterranee gallerie del terreno, oggi è possibile ancora rivivere un mondo fiabesco che rappresentò, nei tempi remoti, il fiore all’occhiello della nostra regione.

La caratteristica di questo altopiano, però, è da ricercare nel suo posizionamento geografico: infatti, la Sila si estende nella parte centrale della Calabria, quasi affiancando e superando in altezza la parte terminale dell’Appennino calabro, facendo da spartiacque tra il mar Tirreno e lo Jonio, beneficando degli effluvi d’aria salso – iodata dei due mari, che si amalgamano con il profumo delle resine delle nostre conifere; ne risulta una salubrità d’aria unica al mondo, tanto che, intorno agli anni 20 del secolo scorso, la “divina” Greta Garbo vi dimorò un’intera estate per curarsi una forma di sofferenza respiratoria, su consiglio dei suoi medici curanti d’oltre atlantico.

Ma è nell’Eneide di Virgilio che la Sila viene esaltata per aver fornito il miglior tipo di pino, la cui struttura resinosa era la più adatta per il fasciame delle navi romane, perché risultava inattaccabile dalla salsedine marina.

E Roma si era già impadronita della terra dei Bruzii fin dal 204 a. C., durante la seconda guerra punica, perché i nostri antenati parteggiarono più per Annibale che per i Romani; e per tenere costantemente a freno lo spirito d’indipendenza, ma anche per sfruttare la ricchezza boschiva dei Bruzii, vi distaccarono un nutrito presidio militare che si protrasse anche nell’età imperiale.

A riprova di ciò, basterebbe por mente ai toponimi delle varie località silane.

Già il termine “Sila” deriva dal latino “silva”(=bosco), ma ritroviamo altre denominazioni latine che caratterizzano località come “Silvana Mansio” , che è la volgarizzazione dell’espressione latina “manere in silva”(=restare nel bosco); e che dire, poi, della frazione silana prospiciente il lago Arvo che ha nome “Lorìca”? In effetti, l’occupazione militare romana di cui sopra si stanziò, per oltre due secoli, in una fascia montana che da Lorìca scende giù, fino alle porte di Cosenza, in quella località oggi più nota come Aprigliano, così denominata, forse, dal nome di un console chiamato Aprilianus.

Per verità, la lòrica era l’armatura del legionario romana, fatta di strisce di cuoio rivestite di lamine che coprivano il busto del soldato dalle ascelle all’addome, che ci piace immaginare fosse appesa ad una pertica, nei pressi dell’attuale lago Arvo, ad indicare la zona militare romana il cui accesso era vietato severamente; ma alla fantasiosa leggenda di quest’insegna corrispondono elementi di verità storica se è vero che l’attuale comune di Aprigliano (Cs) è costituito da una serie di frazioni, alcune delle quali ricalcano termini latini; infatti le contrade “Corte”, “Grupa”, “Vico”, “Guarno”, “Agosto” possono riferirsi, rispettivamente, ai termini latini: “Cohors” ( la coorte ), “Gruma” ( il punto d’incontro di 4 vie, al centro dell’accampamento militare), “Vicus” ( il quartiere più distante ove erano sistemati magazzini ed officine), “Praesidium” (volgarizzato nel termine medievale di guarnigione) “Augustus” ( luogo ove era posta, forse, la tenda del rappresentante imperiale); e tuttora, nello stradario di Aprigliano, permangono intitolazioni come “discesa di Nettuno”, o, ” Via dei Romani”.

Oggi, la Sila ha perduto quell’aureola di bosco fatato e fantastico dei tempi andati; le sue belle contrade, gli ameni colli, le sterminate pinete sono percorse da strade e superstrade che ne hanno inciso i fianchi come ferite insanabili; e se a ciò aggiungiamo l’abusivismo edilizio, non più circoscritto nelle località di Camigliatello e Lorìca, ben pochi sono rimasti, ormai, quei luoghi suggestivi per flora e fauna, che furono rifugi prediletti di briganti, ma che offrirono, anche, sostentamento a pastori ed ai loro armenti di bovini ed ovini.

Eppure, ancora rimangono luoghi ove è possibile incantarsi nei silenzi armoniosi delle pinete, o assistere, all’alba, al primo raggio di sole che gioca a rimpiattino fra le muschiate cortecce degli alberi, o passeggiare sul tumido verde dei prati che si liberano, a stento, della delicata coltre dell’ultima neve di marzo. Questo tesoro impagabile della natura, ancorché depredato, violentato ed insozzato dall’incivile comportamento dei barbari invasori domenicali, riesce, da millenni, in ogni anno, ad approntare quegli spettacoli di colori incantevoli che costituiscono l’aspetto più splendido della Sila: Il Parco Nazionale di recente istituzione è riuscito nella tutela di un ambiente che è una rara eredità del passato, da consegnare alle generazioni future, ma dipende soprattutto da noi difendere ed onorare un territorio di inestimabile pregio ambientale che ancora custodisce il nostro lontano passato.

Giuseppe Chiaia ( preside )