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Intervista a Vincenzo Ferrari, personaggio poliedrico, calabrese d.o.c. Con il suo impegno di avvocato, docente universitario e ricercatore, contribuisce al progresso delle conoscenze.

Si è cercato e voluto l’incontro con il Prof. Avv. Vincenzo Ferrari, studioso per passione, all’indomani dell’uscita del suo ultimo libro “Nuovi Profili di Diritto delle Assicurazioni – Il Fatto Assicurativo” edito da Giuffrè, non solo per le sue indubbie competenze, ma anche per la sua indiscussa ed apprezzata signorilità.

Dalla lettura del tuo curriculum emerge la figura di uno studioso dalla personalità eclettica, infatti ti interessi a molte cose e svolgi tanti ruoli, anche se operi nello stesso settore, cioè quello del diritto, e quindi, troviamo l’avvocato, il docente universitario, l’autore di saggi e pubblicazioni, il giornalista come redattore del Foro Italiano……

Definirmi anche giornalista mi sembra eccessivo, mi occupo di aspetti redazionali, ma sempre di carattere giuridico, anche se c’è l’elemento dell’attualità, perchè noi redattori del Foro Italiano riportiamo le novità giurisprudenziali, in questo senso forse si può considerare un’attività giornalistica.

Hai mai pensato di cimentarti anche in questa professione? Non sarebbe strano, visto che dal tuo cilindro non si sa mai quello che può uscire fuori…..

A me piace fare tante cose……la monotonia mi infastidisce. Mi hai definito eclettico, non so…, ma fare tante cose lo trovo stimolante, è un modo per vivere anche meglio, altrimenti ci si appiattisce e si diminuiscono le proprie capacità. Sono necessari stimoli di vario genere, a mio parere, per cercare di far fruttare quello che si riesce a produrre, se tale produzione, come tu mi dici, è positiva, e questo mi conforta molto, sicuramente è un altro vantaggio, ma, a me, al di là dei risultati, ciò che piace è impegnarmi nelle cose, poi se i risultati vengono è meglio, ma già il fatto di farle mi soddisfa, perciò ne faccio tante, poi, può darsi che eccedo…e ciò è negativo.

Io credo che ciò possa essere negativo se i risultati non sono buoni, ma non è il tuo caso…….

Ti ringrazio delle tue valutazioni.

Tra tutte le attività che tu svolgi, quale trovi più gratificante?

Innanzitutto, sono tre le categorie in cui si scompongono le mie attività: quella forense, quella universitaria e quella di informazione giuridica come redattore della rivista citata, un’attività, cioè, di studio che non si ricomprende in quella universitaria che è di carattere più accademico e che deve essere orientata a fini didattici. Se è vero che nelle università si deve fare ricerca, anche avanzata, è anche vero che se si eccede in questo fine si può perdere di vista l’obbiettivo principale, cioè quello di formare studenti, e se ciò si verifica, vuol dire che l’università non fa un buon servizio.

Quindi, tu fai la distinzione tra il ricercatore ed il docente……..

Secondo me, un buon docente non può non essere anche un ricercatore, come un buon ricercatore è anche docente. Sono, però, due funzioni diverse, c’è chi riesce meglio a fare il docente e chi, invece, a fare il ricercatore. L’attività del docente io la trovo molto gratificante sul piano personale. Nell’università in cui insegno la frequenza è obbligatoria, però, io non sono molto fiscale nel prendere le presenze, quindi, i miei studenti, se lo volessero, potrebbero disertare le lezioni con una certa facilità, invece, mi gratifica il fatto che siano sempre assidui, le aule sono sempre abbastanza gremite. Poi, è gratificante il colloquio durante o a fine lezione.

Inoltre, all’Università della Calabria il contatto con gli studenti è frequente, infatti, in base all’ordinamento dell’Unical, noi docenti riceviamo gli studenti almeno una volta al mese nei periodi in cui non vi sono corsi ed una volta a settimana, invece, nei periodi dei corsi; quindi, vi è un contatto diretto e, attraverso internet, tutto è più semplice; la gratificazione più grande, poi, si ha quando vengono a sostenere gli esami e quando ci si rende conto che hanno studiato bene sulla base delle indicazioni che gli hai dato. Non è sempre così, ma in linea di massima avviene questo. L’attività del docente è, quindi, un’attività di carattere soprattutto didattico. Io utilizzo la mia attività di ricercatore a fini didattici in modo da dare ai miei studenti non solo una visione schematica delle materie, ma anche orientata alle novità, a quello che si va esprimendo nell’ambito della giurisprudenza o degli orientamenti nuovi della dottrina. Il compito del docente non è quello di fare ricerca avanzata con gli studenti, bisogna sicuramente utilizzare i risultati della ricerca, ma il compito è formativo, mirare, cioè, a far comprendere la materia, poi, tutto ciò che viene a livello di arricchimento e di crescita è un di più.

Pensi che, oltre a fare capire la materia, sia importante anche fare appassionare gli studenti?

Beh… ritengo che questo dipenda molto anche dagli studenti e non solo dal docente. E’ necessaria una motivazione del singolo; il docente non può determinare un interesse che non c’è nello studente; ci deve, comunque, essere un interesse di base e, in tal caso, il docente può aiutare molto lo studente ad andare avanti, ma se quell’interesse non c’è, dubito che qualsiasi docente possa far interessare uno studente fondamentalmente disinteressato.

Credo, però, che sia importante anche come un docente si pone, tu cosa ne pensi?

Io penso che lo studente debba sentirsi accolto dal docente, questo è molto importante, però è sempre un rapporto a due, cioè è necessario che vi sia una partecipazione anche dello studente, in tal caso, se si hanno questi due elementi, da parte del docente e da parte dello studente, il risultato è sicuramente un successo.

Quindi, lo stimolo del docente è importante, nel senso di accoglienza che poi fa venir fuori il positivo, incoraggia…

Sì, crea le premesse perché ci sia un dialogo effettivo, altrimenti ci possono essere tanti sbarramenti e gabbie che possono rendere difficile la comunicazione, la quale presuppone, invece, il superamento di ostacoli e l’instaurarsi di un contatto umano valido. Credo che questo sia essenziale.

Infatti, credo che l’insegnamento implichi una grande responsabilità.

Certo, e bisogna anche sentirlo. Entrare in un’aula dove ci sono centinaia di persone significa anche essere consapevoli della responsabilità che si ha, sapendo che, attraverso il tempo che si trascorrerà in quell’aula, intrattenendosi con quelle persone, ognuna delle quali, peraltro, con una sua personalità, si può contribuire a migliorare la loro vita, tenendo conto che non si parla ad una massa ma a tanti individui e che ognuno sente, recepisce in maniera diversa, quindi, il messaggio univoco che si da’ diventa un messaggio pluralista.

Ma tu hai mai studiato psicologia?

No, anche se sono molto sensibile a questi problemi.

Te lo chiedo perchè condivido pienamente quello che mi stai dicendo.

Mi fa piacere perché so che ti occupi di psicologia…

Sì, per il gusto della conoscenza mi interesso e studio psicologia ed alcuni dati che ho appreso li ritrovo nelle tue parole.

Mi fa piacere, anche se io queste cose le ho sperimentate sul campo, non le ho studiate, ma le ho percepite dall’esperienza.

A proposito di integrazione e accoglienza, che rapporto c’è, secondo te, tra il territorio ed il mondo accademico qui da noi?

L’ università è sempre stata vista un po’ con distacco dal territorio, quando, invece, offre dei servizi che vanno al di là della didattica. Sin dall’inizio, l’università è stata un po’ rifiutata, come tutte le novità che creano sempre un po’ di diffidenza. Ma se il territorio era diffidente nei confronti dell’Università, allo stesso tempo il corpo docente esterno aveva anche un po’ il pregiudizio verso le professioni locali, per cui chi svolgeva la professione di avvocato sul territorio era visto sempre con un po’ di diffidenza.

Secondo te, come mai?

Perché si riteneva che gli avvocati volessero accedere all’Università per un fatto di prestigio, per coronare la loro professione e non per fare didattica. A proposito della funzione forense, io la vedo molto distinta da quella didattica né mi sogno di utilizzare la didattica e, quindi, il titolo di professore a fini forensi, perché so benissimo che sono due mestieri diversi. Pertanto, il fatto che uno sia professore e contemporaneamente avvocato, non significa niente né su un versante né sull’altro. Sono due mestieri diversi. Poi, se uno riesce a farli bene entrambi tanto meglio, anche se è difficile, spesso ci sono professori che non sanno fare bene gli avvocati e viceversa. D’altra parte sono due attività molto impegnative.

Richiedono anche molto tempo.

Sì, infatti, questo è l’aspetto negativo, perché si sacrifica molto tempo, il tempo libero è ridotto al minimo e si hanno poche gratificazioni di altro genere, magari per quanto riguarda la vita quotidiana e i momenti di relax.

E tu come sei organizzato sotto questo profilo?

A dire il vero io sono carente in questo senso perché sto sempre a lavorare. L’aspetto lavorativo è preponderante e so che è un qualcosa di negativo che non posso annoverare tra i miei successi.

E la tua famiglia che dice?

Ovviamente si lamenta perché gli spazi che dedico alla famiglia sono molto ristretti, per cui sotto questo aspetto non posso dire di svolgere un ruolo apprezzabile. Certo, nella vita si fanno delle scelte e per me è stato connaturale fare le scelte che ho fatto. Nel momento in cui si scelgono queste strade non si tratta di attività che puoi svolgere a tempo parziale, è già difficile farle coesistere.

Come vive Enzo Ferrari avvocato?

L’attività forense è pure un’attività interessante, anche se, a proposito di psicologia, non l’ho definita gratificante, a differenza dell’altra…anche se è stata la mia prima scelta. Io mi sono laureato all’Università di Napoli e avevo già scelto, prima di laurearmi, di fare l’avvocato. Per esempio, io non ho mai fatto il concorso in magistratura, anche se ho voluto fare l’esperienza del magistrato onorario, da avvocato, per verificare qual è il punto di vista al di là del banco. L’ho fatto per 5-6 anni nel settore penale, un’esperienza molto interessante, ma quando è scaduto il tempo e mi si voleva proporre una riconferma io ho preferito continuare a fare l’avvocato. E’ un’esperienza da fare, a mio parre, perché se non si sta dall’altra parte non si può capire come si vedono i problemi dall’altro punto di vista. Lo stesso discorso vale per i magistrati, cioè sarebbe importante che anche loro facessero l’esperienza dell’avvocatura. Spesso, accade che l’avvocato consideri il magistrato come qualcuno che sta lì seduto e non riesce a capire i problemi della gente; viceversa, il magistrato tende a considerare l’avvocato come una specie di imbroglione che va lì per confondere le carte e per indurlo a prendere una decisione che se, invece, si potesse prendere solo in base ai documenti, senza l’avvocato, potrebbe essere più giusta. Purtroppo, ci sono questi condizionamenti culturali. A me è capitato di incontrare magistrati che ascoltavano con fastidio certe argomentazioni da cui non volevano farsi convincere. Il magistrato che si fa muovere da un pregiudizio non è un magistrato che fa bene il suo mestiere. Io ho molto rispetto per questa funzione e so benissimo come sia difficile giudicare, ma, poiché ho fatto l’esperienza, credo che per giudicare bene ci vuole equilibrio e poi anche apertura mentale. Se ci si trova di fronte a due tesi contrapposte, non si può decidere sulla base delle proprie opzioni culturali o dei propri convincimenti intimi; bisogna decidere in maniera tecnica, seguendo il processo, in base alle prove e, soprattutto, con la mente sgombra dalle convizioni personali, cosa che diventa sempre più difficile, perché vedo sempre più magistrati condizionati. E allora, fare l’avvocato è interessante perché non significa soltanto andare a perorare le questioni dei clienti, ma anche contribuire all’avanzamento della giurisprudenza e ad evitare che i giudici giudichino secondo i loro pregiudizi. Quindi, è una funzione elevata, importante. Io cerco di fare l’avvocato in questo modo, ma non è sempre gratificante perché il compito non sempre riesce come dimostrano alcune sentenze e, di fronte ad alcuni magistrati, può venire anche un senso di impotenza. Per questo non credo si possa definire questa professione gratificante, ma interessante sì. Forse, l’unico momento di maggiore gratificazione non è tanto vincere una causa, ma vincere l’appello che dica, da parte di un altro giudice, che il primo giudice ha sbagliato e che tu avevi ragione.

Come vivi, tu, l’esperienza di esercitare questa professione a Cosenza?

Ma… su Cosenza il problema non è solo quello del Tribunale. Vivere nel meridione è un problema di per se stesso. Sicuramente, per chi fa l’avvocato a Cosenza le cose sono più difficili rispetto a chi opera in altre realtà economiche, perché in Calabria vi è una realtà economica tale per cui la professione forense non è adeguatamente remunerata. Si lavora molto e si guadagna poco. Ciò riguarda in particolare giovani, ma un po’ tutti, chiunque faccia l’avvocato, anche con esperienza, non viene ripagato dei suoi sforzi ed impegni per come dovrebbe e per come, invece, accade nel nord d’Italia. Questo per ciò che riguarda l’aspetto economico. Sotto il profilo ambientale, c’è il problema di una mentalità criminale abbastanza diffusa che condiziona i rapporti sul piano giuridico e rende ancora più difficile la funzione dell’avvocato. A parte questi aspetti, se consideriamo le realtà circostanti, nel tribunale di Cosenza, tutto sommato, ritengo che la professione forense si svolga abbastanza bene. Non mi sento di definire provinciale il nostro foro, qualunque avvocato, infatti, frequentandone altri vicini, si rende conto di questo.

Attraverso le tue affermazioni, si evince che ti soffermi sugli aspetti

positivi….

Tendo, in effetti, a valutare gli aspetti positivi anziché quelli negativi. Relativamente a Cosenza, se la contestualizziamo in Calabria, senza cioè paragonarla ad altre realtà, come Milano, Firenze ecc, sia come città, sia come tribunale, è molto meno provinciale di altre aree. Poi, ci sono aspetti, nell’ambito strettamente giuridico, che non vanno, come quelli organizzativi e/o altri, che non sono solo territoriali ma riguardano in generale i problemi che affliggono la giustizia.

Argomenti, questi, molto interessanti che sarebbe necessario approfondire, insieme a quello dell’avvocatura ed altri temi importanti, pertanto, se sei disponibile, volevo proporti di incontrarci di nuovo, cosa ne pensi?

Sono disponibile e mi farà piacere.

La Strad@web ringrazia Vincenzo Ferrari, avvocato cassazionista e professore associato di Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università degli Studi della Calabria, nonché autore di numerosi saggi e pubblicazioni, per aver concesso l’intervista.