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Da esaminatore ad esaminato… il prof. V. Ferrari risponde a domande su temi di grande attualità. La valutazione finale, ai lettori.

Continua il dialogo con Vincenzo Ferrari, avvocato cassazionista e professore associato di Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università degli Studi della Calabria, nonché autore di numerosi saggi e pubblicazioni.

La scorsa volta avevamo iniziato a parlare di giustizia e dei problemi ad essa relativi, che non hanno solo una dimensione locale, secondo te, c’è effettivamente la volontà di risolverli?

Ho sempre sostenuto che i problemi relativi ai servizi essenziali, quali per esempio la sanità, richiedono una soluzione perché ciò rientra nell’interesse di tutti. I problemi della giustizia hanno una loro peculiariarità, perché in ogni processo c’è una parte che ha ragione ed un’altra che ha torto. Si può dire, forse semplicisticamente, che se la giustizia è lenta, ciò favorisce la parte che ha torto e svantaggia la parte che ha ragione. Si dovrebbe presumere, quindi, che il 50% dell’utenza interessata al servizio giustizia è favorevole ai processi lenti. Pertanto, il problema di una giustizia più veloce ed efficiente è teorico, perché sul piano pratico, nell’ambito di un processo, chi sa che le proprie ragioni non sono fondate, spera in un processo dai tempi lunghi, e ciò accade sia nel campo penalistico che civilistico: nel primo, perché il fine è quello di ottenere una prescrizione del reato con il trascorrere del tempo, nel secondo, perché con i tempi allungati, un debitore riesce a pagare in ritardo o a non pagare proprio per il mutare delle situazioni.

La crisi della giustizia, quindi, è un falso problema. Gli stessi avvocati possono avere un atteggiamento diverso nei confronti dei vari processi: verso alcuni, sperare in una definizione veloce, verso altri, invece, confidare nei “soliti comodi” tempi. Relativamente alla professione forense, la logica, comunque, non deve essere quella mercantile e commerciale, tale professione, infatti, deve essere svolta non considerando il caso singolo o il singolo cliente, ma instaurando un rapporto dialettico con l’autorità giurisdizionale, deputata a dirimere le controversie. Compito dell’avvocato è quello di convincere il giudicante che la sentenza giusta è quella che si basa sulle proprie ragioni dedotte. Ciò rappresenta l’aspetto interessante della professione svolta, il resto è poco gratificante.

Dalla tua biografia si evidenzia un essere umano proteso all’approfondimento, alla ricerca, secondo te perché è importante curare questo aspetto?

I motivi risiedono nel fatto che l’essere umano è alla continua ricerca di risposte, di verità che sfuggono. Il campo dei miei interessi è il diritto, ma, ritengo che se avessi scelto altri settori, avrei avuto la stessa impostazione. Ciò che è importante per dare un significato all’esistenza umana è ricercare, almeno dal mio punto di vista, atteso che non riesco a dare un senso alla vita di tipo diverso, confessionale o religioso. Per me ciò che conta è la “religione della ricerca”, cioè lo sforzo continuo di cercare, anche nella consapevolezza che, magari, quello che si trova non sarà mai la verità finale, ma ben sapendo che tale atteggiamento rappresenta il sale dell’esistenza. Dalle piccole alle grandi verità.

Secondo i filosofi, c’è un microcosmo e un macrocosmo, nel microcosmo si trova riflesso il macrocosmo, per cui la ricerca del particolare è la ricerca dell’universale, solo che poi non si è in grado di comprendere l’universale appieno e se si fa una ricerca con questo intento, probabilmente l’esito potrà essere fallimentare. Se, al contrario, si cerca di comprendere una piccola verità, un piccolo granello dell’universo, è come aver capito tutto l’universo; ed ogni risultato è un nuovo punto di partenza per un’altra ricerca.

Inoltre, essendo io un relativista, un laico, devo dire che il fatto che non si abbiano dei riferimenti assoluti, non significa che non ci siano dei punti fermi cui ispirarsi. Per esempio, esercitando la professione forense, ho sempre dinnanzi la finalità etica, ecco perché dicevo che è importante svolgere la funzione in un certo modo: se si perde di vista l’aspetto etico, si diventa faccendieri e non si è più avvocati.

Cosa intendi tu per etica?

Intendo delle regole di comportamento che siano improntate alla lealtà e alla correttezza nei confronti degli altri.

E’ un discorso deontologico non solo nei confronti dei colleghi e dei magistrati ma anche dei clienti…

Sì, nei confronti di tutti, anche di se stessi, perché mantenere un’etica professionale significa avere rispetto di se stessi, altrimenti si rischia di mettersi in vendita. Esiste un’etica nel modo di fare l’avvocato ma anche nelle decisioni da prendere. Certe difese, per esempio, io non sono disposto ad assumerle.

A tal proposito, ti è mai capitato di assumere la difesa di situazioni che sono indifendibili, che, cioè, non hanno fondamento né in fatto e né in diritto?

Credo che la cosa più importante per un avvocato è di avere la libertà di scelta. Si possono anche difendere posizioni di per se stesse indifendibili e questo perché chiunque ha il diritto di essere difeso, come stabilisce la nostra Costituzione, però qui entra in gioco anche l’aspetto deontologico, per cui l’etica professionale non consente di difendere in modo da distorcere certe realtà e verità acquisite.

Altrimenti si diventa un “azzeccagarbugli”, di manzoniana memoria….

Proprio così. L’azzeccagarbugli è l’immagine svilita della professione forense. Se vogliamo rimanere in ambito manzoniano, direi che il vero avvocato è Fra’ Cristoforo, è lui che stabilisce le strategie difensive, quale deve essere il comportamento, quello è il vero avvocato e non l’azzeccagarbugli che, tra l’altro, si caratterizza anche per il fatto che difende i potenti ma non è disposto ad andare contro di loro. Questa rappresenta la più grande negazione dell’avvocatura. Uno dei valori più alti, invece, dell’avvocatura è quello di consentire a chiunque, anche al più debole, di combattere il più potente. E, a dire il vero, le difese che assumo più volentieri sono proprio quelle di una parte debole contro una parte forte. Quando difendo una parte forte, mi sento un po’ a disagio, lo confesso, ma se dovessi difendere un forte che fa il prepotente nei confronti di un debole, non accetterei la difesa.

Con questo non dico che, per esempio, un lavoratore ha sempre ragione e il datore di lavoro ha torto; io difendo gli uni e gli altri senza preconcetti, ma non difenderei mai un datore di lavoro che agisca in modo illegale… così come non difenderei un lavoratore che sfrutti la sua situazione di apparente debolezza contro un datore di lavoro che poi non è così forte come si può pensare… perché capita anche questo.

Purtroppo, però, il fenomeno più diffuso, nelle controversie di lavoro, è la protervia con cui i grossi datori di lavoro, come quelli delle grandi aziende, pongono in essere comportamenti illegali nei confronti dei lavoratori, anche se sto notando che nei giudici non c’è molta sensibilità con riferimento a queste situazioni.

Ti è mai capitato che qualcuno si sia rivolto a te per problemi di “mobbing”?

Sì, mi è capitato e devo dire che ci sono casi drammatici in cui si può percepire veramente l’indifferenza assoluta che esiste ai vertici aziendali verso questi problemi, perché chi lavora all’interno di grosse aziende è considerato un numero e quando si ritiene che sia soltanto un fastidio, si cercano mille modi per mandarlo via, tra cui anche il ricorso al mobbing che, pertanto, nella maggior parte dei casi non è un accidente, ma un sistema per mandare via i lavoratori. Poi, c’è chi riesce a reagire adeguatamente… e comunque, attualmente, sono in atto delle modifiche legislative che consentiranno sempre di più alle imprese di liberarsi dei lavoratori scomodi, infatti, si sta un po’ smantellando il sistema delle garanzie storiche del diritto del lavoro. Tuttavia, il ricorso al mobbing è ancora massiccio e non sempre ci si può difendere.

Relativamente alla tua dimensione di autore di libri, mi incuriosisce sapere, come mai hai pensato di focalizzare la tua attenzione verso il settore del diritto assicurativo.

Questo è un settore che mi interessa molto. In fondo, è legato alla tensione per la ricerca di cui abbiamo parlato in precedenza. Ho trovato sempre estremamente interessante il tema del rischio, che è uno dei componenti della vita umana e, quindi, approfondendo questo tema ho scoperto che c’è una distinzione, che si ritrova nella giurisprudenza americana, tra rischio positivo e rischio negativo. Nel nostro sistema forse è stata operata una distinzione più corretta tra rischio e “alea”. Infatti, mi sono anche occupato, in un libro precedente, proprio dell’alea contrattuale e ho sostenuto una tesi innovativa, quella del superamento del contratto aleatorio. Ho sottoposto a critica la teoria tradizionale del contratto aleatorio, sostenendo che gli studi sull’alea contrattuale devono riguardare tutte le fattispecie contrattuali e non solo i contratti propriamente aleatori.

In breve, si può dire che il testo cui ti riferisci sul diritto delle assicurazioni l’ho realizzato insieme ai miei collaboratori, avendo io tenuto per qualche anno l’insegnamento di diritto delle assicurazioni all’Università e, pertanto, ho avuto modo di approfondire queste tematiche del rischio sotto il profilo assicurativo. Anche qui ho elaborato una tesi innovativa intorno al concetto di rischio, come fenomeno che, dal punto di vista assicurativo, viene affrontato con un’operazione economica, diretta, cioè a neutralizzarlo nei suoi effetti negativi. Il rischio, in se e per se, non può essere eliminato, si può tentare di prevenirlo, ma non sempre è possibile. L’assicurazione è sempre un rimedio a posteriori. Quello che ho voluto sottolineare in questo libro è ciò che io chiamo il “fatto assicurativo”. Gli studi tradizionali sulle assicurazioni si dividono in due grandi tronconi: quello delle assicurazioni private e quello delle assicurazioni sociali. Io sostengo, al contrario, che il fenomeno assicurativo è sempre lo stesso, cioè quello, appunto, di neutralizzare gli effetti di un rischio. Quindi, vi sono vari sistemi assicurativi che, però, obbediscono sempre ad una stessa logica. E il messaggio che voglio dare con questa pubblicazione è che bisognerebbe reimpostare gli studi e vedere il fatto assicurativo come l’elemento unificatore. Questo consente anche di evitare equivoci, perché, per esempio, il mercato assicurativo si è così esteso che se si va in banca per investire una somma, si riceve la proposta di una polizza, ma quella non è una polizza assicurativa, perché lì non vi è un rischio da neutralizzare. Pertanto, la mia proposta, sul piano dottrinale, è quella di distinguere i fenomeni assicurativi da altri tipi di fenomeni che si possono anche chiamare polizze ma non sono contratti di assicurazione.

Dunque, il tuo intento attraverso questo libro e i tuoi studi è anche quello di riorganizzazione della materia.

Sì, organizzare la materia ma anche dare un contributo in questo mercato così in espansione in cui ognuno ha a che fare con soggetti che propongono come assicurative delle polizze che spesso non lo sono. Quindi, in questo senso, dovrebbero effettuarsi gli opportuni controlli da parte degli istituti a ciò preposti. Un tema generale che sto affrontando nel diritto privato è proprio quello della difesa dell’individuo non più dallo Stato che schiaccia, ma dal mercato, cosa che è anche più pericolosa. Questa rappresenta, nel futuro, la grande frontiera del diritto privato: tutelare l’individuo, la persona rispetto ad un mercato sempre più pressante e aggressivo. Infatti, quella che dovrebbe essere un’economia di mercato in cui si esaltano le libertà, corre il rischio di diventare, invece, la coartazione delle libertà.

Un’ultima domanda. Presso il tuo studio, qui a Cosenza, ha sede una sezione del Centro Nazionale Studi di Diritto del Lavoro di cui tu sei Presidente. Quali sono le attività e le iniziative di questo Centro?

Il Centro Nazionale Studi di Diritto del Lavoro “Domenico Napoletano” è il più prestigioso Centro Studi di Diritto del Lavoro; si pensi che il Presidente nazionale è l’ex Presidente della sezione lavoro della Corte di Cassazione e fanno parte del direttivo la maggior parte dei magistrati della stessa sezione, oltre ad avvocati prestigiosi che operano in questo settore ed a professori universitari. E’ un Centro che opera da circa venti anni. Domenico Napoletano era un magistrato anche lui della Suprema Corte che ha inaugurato questo Centro a Salerno, dove prima era la sede centrale. Attualmente questa sede è a Roma e fa capo essenzialmente al Centro di Elaborazione Dati della Cassazione, di cui è stato Presidente l’attuale Presidente nazionale del Centro Studi. Le iniziative sono svariate, a livello sia nazionale che locale. Io ho avuto l’onore di ricoprire la funzione di Presidente della sezione di Cosenza che è l’unica in Calabria, al di là della sezione dello stretto, a cavallo tra Reggio Calabria e Messina. Si opera in un’area territoriale piuttosto vasta. Tra le iniziative, per il mese di aprile, si sta organizzando insieme al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, un incontro di studi a Cosenza proprio sul mobbing. Vi sarà l’intervento di numerosi e prestigiosi relatori, tra cui probabilmente il criminologo, prof. Francesco Bruno. Ognuno di loro affronterà un determinato aspetto del mobbing, perché scopo del Centro Studi è quello di dare una visione globale del problema e di fare chiarezza sugli orientamenti giurisprudenziali.

Spero che il giornale che tu rappresenti seguirà l’iniziativa.

Come Web magazine di Informazione, Cultura, Servizi per una società migliore, sicuramente seguiremo questa “strada”……

Bene, allora il prossimo appuntamento è al convegno……

Certamente, grazie Enzo, arrivederci ad aprile.