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Appena conclusa l’attuale guerra militare in Iraq, ne sta cominciando un’altra, forse non meno spietata, sul fronte politico etnico e culturale, per assicurarsi il controllo del martoriato paese mesopotamico. Una guerra per procura, condotta soprattutto fra diversi ambienti governativi americani, che vedrà opposti gruppi e figure iracheni. La figura al momento più indicata come futuro leader dell’Iraq è l’ex banchiere e cittadino britannico Ahmed Chalabi, da diversi giorni volato nella parte meridionale del paese per coordinare le Libere Forze Irachene. Capo del principale gruppo di opposizione, l’Iraq National Congress (Inc), e sponsorizzato dal gruppo che fa riferimento al vice presidente Dick Cheney e al boss del Pentagono Donald Rumsfeld, Chalabi gode di fiducia negli ambienti governativi a Washington. Educato negli Stati Uniti, nato in una benestante famiglia della classe dirigente irachena, fuggi all’età di 13 anni con i suoi da Baghdad, dal 1992 cerca di rovesciare Saddam, organizzando l’Inc, un’umbrella organization sotto il quale si ritrova una pletora di gruppuscoli e partitini anti-baathisti.

Fuori dal Pentagono, però, Chalabi gode di cattiva fama.

Nel 1989 sarebbe scappato dalla Giordania dopo il crack della sua Petra Bank. L’accusa? Peculato aggravato, che lui rigorosamente rifiuta nonostante la condanna in absentia. Neanche gli altri principali gruppi di opposizione, dai due rami dei curdi agli ex-ufficiali dell’esercito baathista, lo riconoscono. Il suo principale rivale è l’ottantenne Adnan Pachachi, ex ministro degli Esteri iracheno (1965-’67), baathista prima maniera, nonché ambasciatore iracheno all’Onu in due (1959-’65, 1967-’69). Pachachi assomiglia a un doroteo di fanfaniana memoria. Ha saputo adattarsi negli anni per sopravivere. Di origine sunnita, ma laico di formazione politica, da anni vive con la famiglia in esilio negli Emirati Arabi.

Di fatto è il consigliere politico dello sceicco Zayed bin Sultan Al Nahyan, l’unico dei leader arabi di aver avuto il coraggio di esprimere, in tempi non sospetti, l’augurio della deposizione di Saddam.
Da qualche settimana, l’arzillo ottantennne si è dato molto da fare. Ha fondato un partito politico, ha rilasciato eloquenti dichiarazioni su ogni aspetto del futuro dell’Iraq, e fa di tutto per farsi raccomandare da Kofi Annan, che ricopre di elogi. Ma nessun paese arabo vorrà mai essere amministrato da un uomo vicino alla Cia. Secondo un sondaggio lanciato dall popolarissimo www.Iraq.net, il sito Internet di riferimento della vasta diaspora (5-6 milioni) irachena, il candidato più popolare (21% dei voti) per una provvisoria presidenza dell’Interim Iraqi Authority è invece l’ex generale delle forze di Saddam Najib Salhi, capo fondatore del Free Officers and Citizens Movement, che raggruppa buona parte dei fuori usciti del regime di Saddam (Salhi ha eseguito gli ordini di Saddam fino al 1995).

Ma la figura di gran lungo più presentabile resta l’intellettuale Kanan Makiya, anch’egli esule dai tempi del golpe baathista del 1958. Autore di quattro importanti libri sulla vita irachena sotto Saddam, Makiya ha dedicato la propria vita alla lotta per la liberazione del suo paese. E’ il principale autore e coordinatore del documento di cento pagine sul “dopo Saddam” accettato da tutti Non più socialista da tempo, questo colto liberal ateo e pro-palestinese che piace tanto ai “neo-conservatives” degli ambienti Halliburton, basa tutta la sua filosofia politica su due concetti cardine, per il Medio Oriente rivoluzionari:

1) “Battere la pratica politica della crudeltà”.

2) “Basta con la lagna: è tutta colpa degli americani!”.

Makiya ha alleati potenti: piace alla parte dell’amministrazione Bush e convince gli altri gruppi dell’opposizione per il suo signorile distacco dai giochetti di potere. E sarebbe perfetto per il ruolo di primo presidente intellettuale di un paese arabo.

Gianluca Ion

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