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Dalle dichiarazioni del dott. Alfonso Rende, autore del libro “Gli edifici privati di interesse culturale – La normativa di tutela”, scaturiscono interessanti considerazioni sulle funzioni attuate dallo Stato, mediante l’attenzione riservata a tali beni, considerati la “base imprescindibile” del nostro Bel Paese.


 

Attraverso il colloquio con un giovane scrittore, studioso per passione, emergono gli aspetti culturali e sociali che lo Stato persegue con i Beni Culturali, testimonianza dell’immenso patrimonio storico-artistico italiano.

Come nasce, in generale, l’idea di scrivere un libro, e, nello specifico come è nata in te?


Io ho iniziato a studiare l’argomento, ripreso poi nel mio libro, quando ho scritto la tesi di specializzazione all’Università di Napoli. Sono, infatti, specializzato in Diritto Amministrativo e Scienze dell’Amministrazione.

Il professore che mi seguiva era docente di legislazione urbanistica e mi ha lasciato libero di scegliere un tema. Tra i tanti temi, ho scelto questo per un motivo molto soggettivo, perchè la mia famiglia è proprietaria di un palazzo antico del ‘700. Spesso capita così. Con la forma mentis del giurista, si cerca di sistemare, dal punto di vista giuridico, un qualcosa che abbiamo. Quindi, mi sono orientato verso qualcosa che mi poteva interessare e, poi, mi sono sempre piaciuti questi palazzi antichi, che stanno sparsi qua e là tra i monumenti, testimoni del passato. E’ nata così… unendo l’utile al dilettevole ho preparato la tesi sugli edifici privati di interesse storico di cui non sapevo nulla, perchè ciò che avevo studiato era solo un paragrafo di un manuale. E, invece, ho scoperto che c’era molto materiale, quindi, ho iniziato una prima sistemazione dell’argomento a livello universitario. Quello che mi è sembrato il punto essenziale era dimostrare che questi beni sono il tipico esempio di come sia possibile tirare fuori dalla proprietà la funzione sociale. Essi realizzano proprio ciò, sono beni appartenenti a privati, ma possono avere un’utilità per tutti. Poi, ho conosciuto il prof. Romano, che è il Direttore del dipartimento di Arti che abbraccia anche la materia della legislazione dei beni culturali ed al quale ho portato la mia tesi di specializzazione. Da qui sono partito e da qui è nata l’idea del libro. In effetti, poi ho riscritto tutto. Forse, se non avessi compilato quella tesi, non avrei mai trovato l’ispirazione. Certe volte è così nella vita. Da questo lavoro è uscito fuori un qualcosa che ho fatto vedere a persone competenti, che mi hanno incoraggiato, sostenuto. Infine, ho incontrato il Dott. Giacinto Marra, direttore editoriale della casa editrice Rubbettino, che mi ha espresso la sua intenzione di pubblicare il mio libro, perchè ci credeva, nonostante fosse un libro di tipo scientifico, per cui non era pensabile che si sarebbero potute vendere milioni di copie.

Ma aveva letto la tesi?

No, aveva letto la bozza del libro. La casa editrice Rubbettino è autorevole, visto che è una delle poche case editrici internazionali calabresi, tra le altre cose, molto interessata alla branca scientifica.

Prima d’ora non avevi mai pensato di scrivere?

Ogni tanto l’idea di scrivere un romanzo l’ho avuta, ma è una cosa troppo difficile. Se non avessi avuto, infatti, come base la mia tesi di specializzazione forse non avrei scritto questo libro.

Non escludo, comunque, di riuscire a scrivere prima o poi un racconto.

Cosa si vuole trasmettere, di solito, con un libro, in particolare, tu cosa hai trasmesso?

Si cerca di esternare la propria visione del mondo, di esprimere le proprie sensazioni. Si cerca di farlo, secondo me, quando non si è tanto bravi con le parole, per cui si prova a scrivere ritenendo che il mondo esterno possa comprendere, capire. In questo modo, si riescono a trasmettere i propri pensieri.

Quindi, alla base, ci può essere anche una motivazione psicologica che spinge a scrivere, cioè, lo scrittore adotta questa forma di comunicazione.

Si, io mi sono sempre espresso scrivendo. Ritengo che si abbia più tempo per ragionare, per dire la parola giusta, mentre nel linguaggio parlato, spesso, non si ha molto tempo per riflettere e, pertanto, le parole possono non essere pensate.

Quindi, il romanzo o, comunque, l’opera che poi si traduce in uno scritto, secondo la tua visione, consente una maggiore riflessione.

Sì…consente di esprimere al meglio quello che si ha nella testa, che si ha nel cuore.

Torniamo al libro. Perchè questo titolo? Come si spiega il collegamento tra interesse culturale ed edifici privati?

L’ interesse culturale è qualcosa di cui sono dotati tantissimi palazzi nel nostro Paese. Pensa che i 2/3 di tutto il patrimonio artistico mondiale si trova in Italia. Infatti, esistono ben 40.000 edifici di interesse artistico, storico e culturale. A volte, ci sono beni che non hanno niente di particolarmente bello, ma sono pezzi della storia, come, per esempio, la casa di Alessandro Manzoni, che tramanda ed insegna qualcosa agli altri.

Alla presentazione del tuo libro si è detto che “per bene culturale si intende tutto ciò che è testimonianza di civiltà”. Che si vuole intendere con questa frase?

Questo è un concetto che è nato nel dibattito tra gli esperti d’arte. Il primo testo in materia risale alla Commissione Franceschini del 1964, che ha avuto il compito di riformare tutta la normativa relativa ai beni culturali, di interesse artistico e storico. Si cercava, quindi, di dare una definizione al concetto di bene culturale che non è un concetto giuridico. Negli ultimi testi, si è fatto riferimento a qualsiasi testimonianza materiale avente valore di civiltà, che, pure essendo un concetto abbastanza vago, consente di capire cosa bisogna salvare del passato e, cioè, tutto ciò che contribuisce al progresso della società attuale e che può servire come insegnamento.

Come fotografia anche della storia di un popolo, che si dipana nel corso degli anni…

Si fa, infatti, riferimento, al concetto di storicità. Uno degli elementi da considerare è il fattore tempo per definire bene di interesse culturale. Infatti, non può essere considerato tale un bene che non esista almeno da 50 anni. Per esempio, un bene dei primi del ‘900 o del 1950 già può essere bene culturale, se, ovviamente, però, ha una serie di altre caratteristiche, per cui va salvato da tutto il resto, perchè gli viene riconosciuta una certa preminenza.

Per riassumere, quali requisiti deve avere un bene per potersi definire culturale e per godere della relativa tutela?

La normativa attuale che, poi, è mutuata in gran parte dalla Legge del 1939 n. 1089 utilizza un duplice criterio: da una parte, elenca tutta una serie di categorie di beni che possono definirsi di interesse culturale, dall’altra prevede la possibilità di far rientrare in queste categorie altri beni da tutelare, purchè siano testimonianza di un certo grado di civiltà.

In definitiva, il compito di individuare tali beni è lasciato al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, attraverso un accertamento tecnico.

Un altro degli elementi da considerare, oltre a quello accennato, è l’estetica, cioè il gusto della maggioranza o di una minoranza colta, che ha particolari strumenti per distinguere il bello da ciò che non lo è.

Quindi, non è una categoria facilmente individuabile e circoscrivibile…..

No, non lo è. Infatti, va preso anche in considerazione il concetto della rarità e del “sommo pregio”, cioè del valore evidente del bene, anche in termini economici. Ciò può ulteriormente contribuire all’individuazione di tali beni. Ultimamente c’è stato un allargamento di tale categoria, si va da una tutela massima riservata ai beni di “somma importanza” fino ad arrivare ad una tutela meno intensa. Per esempio, per sottoporre a vincolo i beni di un privato si parla di “interesse particolarmente importante”, in ragione del fatto che il diritto di proprietà deve essere limitato il meno possibile.

Per esempio, facendo riferimento al palazzo di proprietà della tua famiglia, per quali motivi può essere considerato bene di interesse culturale?

Quel palazzo, come tanti altri in Calabria, non è stato sottoposto a vincolo, ciò significa che la sovrintendenza non lo ha ritenuto di interesse culturale di particolare importanza. I motivi sono vari, innanzitutto non si può vincolare tutto, inoltre i mezzi per effettuare gli accertamenti da parte degli organi preposti sono limitati, infine, sono anche altri i fattori che incidono, non ultima una certa causalità ed anche incongruenza. A Cosenza, per esempio, del palazzo Sersale, uno dei palazzi più belli della città, e non solo, si è sottoposto a vincolo solo la lastra di marmo con lo stemma della famiglia, ma non il palazzo, perchè nel 1916 si aveva ancora molta paura di incidere sulla proprietà privata, perché tutelare un bene da parte dello Stato, riconoscendogli il connotato di “bene culturale”, significa porre dei vincoli, cioè delle limitazioni all’esercizio pieno dei diritti che discendono dall’esserne proprietario.

Dal dibattito risalente alla Commissione Franceschini, è emersa la considerazione che la conoscenza di un palazzo porta alla conoscenza di un popolo. In che modo si realizza ciò?

Ogni nazione è caratterizzata da un suo gusto architettonico, da una determinata tipologia di palazzi, opere che testimoniano l’iter e il grado di evoluzione di una determinata società, la sua cultura, le abitudini.

Quindi, è anche attraverso l’ osservazione di questi monumenti che poi si può cogliere la storia di un popolo.

Si. Infatti, della Roma Medievale, per esempio, è rimasto pochissimo sul piano dei beni culturali, perchè sicuramente quel periodo è stato uno dei più bui per il popolo romano.

Quali sono le funzioni strategiche che lo Stato Italiano attua attraverso la tutela dei beni culturali ed a cui tu fai riferimento nel tuo libro?

La tutela dei beni culturali, insieme alla materia della sicurezza ed a quella della politica economica, è uno dei settori in cui si esplica la potestà esclusiva dello Stato. La tutela relativa ai beni culturali è considerata la base imprescindibile del nostro paese, che non sarebbe tale senza beni culturali. In Italia si viene per le bellezze artistiche e storiche.

Secondo te, il nostro Paese si caratterizza anche per aspetti diversi da quello strettamente storico-artistico-culturale?

L’Italia, secondo me, rappresenta un insieme di vari elementi essenziali che lo rendono uno stato importante che non guarda solo al passato. Inoltre, è la quinta potenza economica del mondo, nonostante le sue dimensioni ridotte. C’è, infatti, un forte spirito imprenditoriale, abbiamo delle industrie importanti, oltre ad essere un paese educato al senso estetico, all’arte.


Per ritornare all’argomento principale, che funzione esplica il vincolo che lo Stato attua nei confronti di questi beni?

Nei nuovi testi non si parla più di vincolo, ma di “dichiarazione di interesse particolarmente importante” da cui discendono una serie di limiti alle normali facoltà riconosciute al proprietario che, di solito, si esplicano attraverso la proprietà privata. Per esempio, nel caso di alienazione di uno di questi beni, lo Stato esercita un diritto di prelazione, per cui può comprarlo allo stesso prezzo previsto per un qualsiasi altro acquirente.

Questa dichiarazione-vincolo, come emerge dal tuo libro, quindi, si ricollega anche alla funzione sociale…..

Sicuramente, questi limiti, infatti, servono a garantire meglio la funzione sociale di questi beni, anche se l’articolo 42, 2° comma della Costituzione parla di questa funzione come di un qualcosa che è immanente a tutti i beni, a tutte le proprietà pubbliche e private.

Quindi, per funzione sociale bisogna intendere qualcosa che può essere messo a disposizione di tutti, per conoscere, comprendere, riflettere anche e migliorarsi.

Certo.

La riforma dell’art. 117 della Costituzione, da te citata e che, riguarda anche le competenze delle Regioni, come si collega alla tutela dei beni culturali?

Si ricollega al fatto che lo Stato avendo riservato alla sua esclusiva competenza tale materia, di fatto ha sottolineato la preminenza del settore dei beni culturali nell’ambito delle sue attività. Ciò dovrebbe essere il segnale di una maggiore garanzia e attenzione verso queste materie, anche se, da sempre, si è inteso dare loro importanza attraverso le norme di cui all’articolo 9 della stessa Carta Costituzionale che prevede la tutela del patrimonio artistico e culturale.

Nel tuo libro è messo in evidenza che la tutela verso tali categorie di beni affonda le sue radici nella storia. Da quando, effettivamente, lo Stato, in Italia, nelle sue varie forme, si è preoccupato di garantire, attraverso norme, tale tutela?

Le prime forme di attenzione dello Stato verso i beni culturali possono farsi risalire alle origini del diritto romano, tracce di tale tutela le riscontriamo nelle XII Tavole. Dal 1500 in poi, si registra da parte dei governanti un impegno organico verso questo settore. Infatti, è nello Stato Borbonico ed in quello Pontificio che la tradizione normativa in tema di beni culturali si presenta più complessa e articolata, non è un caso, infatti, che papa Leone X sia stato il primo a creare la figura del Soprintendente e ad investirne Raffaello Sanzio. Nel 1820, inoltre, vennero istituite a Roma ed a Napoli le Commissioni di Belle Arti con il compito di supplire all’assenza di una legge statale. I criteri che, comunque, sottostavano a tali forme di tutela erano di natura selettiva, nel senso che si individuavano fisicamente i beni e ad essi si dava protezione, attraverso il vincolo. Nel corso degli anni, però, si è passati da questa individuazione fisica del bene alla creazione di categorie, allo scopo di evitare che dietro qualsiasi elencazione di beni ci potesse essere qualche mancanza. Tale impostazione è culminata poi nella legge 364/1909 che, finalmente, ha riconosciuto come sue destinatarie tutte le cose mobili e immobili di interesse storico, archeologico o artistico, svincolando l’azione della tutela dalla preventiva catalogazione delle qualità del bene. Infine, pietra miliare, nell’ambito della normativa riservata a tale settore perché segnale di una progressiva evoluzione, è la legge 1089/39, che rappresenta il risultato del potenziamento e dell’estensione dell’azione statale in questo settore. I dettami di tale legge sono stati ripresi dal Codice Civile del 1942 (art. 839) nelle norme a tutela dei beni d’interesse storico ed artistico, dalla Costituzione repubblicana che rappresenta una testimonianza storica della più significativa assunzione, da parte dello Stato, di responsabilità sull’intera materia.

In cosa si esplica, praticamente, il “vincolo”, oggi “dichiarazione di interesse particolarmente importante” da parte dello Stato, nei confronti degli edifici privati?

Si esplica, per come ho detto prima, in tutta una serie di limiti da parte del proprietario nell’uso del suo bene, tale uso non deve essere “incompatibile” con le finalità sociali e strategiche che lo Stato attua attraverso questi beni, inoltre, se il sovrintendente dà una serie di prescrizioni, queste devono essere rispettate, per esempio in riferimento ad un edificio non si potranno cambiare gli infissi, spostare i mobili, imbiancare le pareti ecc. e, poi, si dovrà procedere obbligatoriamente ai lavori di conservazione e restauro secondo le direttive della Sovrintendenza o, nei casi più importanti, direttamente dell’Amministrazione Generale del Ministero dei Beni Culturali. In “cambio” di questi limiti, sono previsti una serie di incentivi fiscali-economici che hanno lo scopo di rendere accettabili i “sacrifici” a carico dei proprietari.

A proposito di questi beni, tu dici che è necessario “mantenerne la fisicità, ma non devono essere intoccabili, al contrario devono essere utili e funzionali”, vuoi spiegare meglio quest’affermazione?

E’ una riflessione che discende anche da ciò che pensano molti critici, uomini di cultura, scrittori con la passione dell’arte, come Umberto Eco, il quale sostiene che non bisogna isolare questi beni da tutto il contesto, farli diventare dei monumenti, con gli orari di visita, ma, diversamente, bisogna continuare a farli vivere, inventarsi una nuova funzione da dargli, renderli utili per la società, per esempio il Colosseo è sicuramente un monumento, ma ciò non esclude che al suo interno si possano celebrare delle manifestazioni, spettacoli, sempre nel pieno rispetto dell’opera monumentale, altrimenti diventano dei monoliti.

Quindi, attraverso quest’utilizzo si realizza la funzione sociale sottolineata dal legislatore ….

Certo.

Nel libro, ad un certo punto tu sostieni che “il potere pubblico, purchè autenticamente democratico, è il miglior garante del pluralismo sociale”, che si esplica anche attraverso “cose d’interesse storico, artistico, antropologico, indispensabili per la formazione di una coscienza libera”, perché e in che modo si realizza ciò che tu affermi?

L’arte “buona” è sempre stata libera, espressione di spiriti liberi, non c’è creatività se non c’è libertà di esprimersi, in questo senso è necessario un regime democratico, che assicuri ciò e che, quindi favorisca ogni attività riconducibile all’uomo. Le massime testimonianze dell’arte, soprattutto di quella figurativa, rappresentano un patrimonio prima culturale e dopo artistico, in grado di far riflettere, di arricchire chi ad esse si accosta.

In occasione della redazione del tuo libro, credo che ti sarai documentato su molte opere e ti sarà capitato di visitare palazzi, edifici storici e monumentali, cosa hai pensato mentre passeggiavi in questi posti trasudanti storia?

In effetti ho fatto sia l’uno che l’altro, ciò che mi ha colpito sono stati alcuni scritti di tipo archivistico, testimonianza del fatto che tali edifici fino a 100 anni fa erano brulicanti di gente, abitati da famiglie patriarcali costituite da 40-50 componenti. Quello che ho pensato, durante le mie visite, in questi luoghi è il contrasto esistente tra il silenzio di oggi che li avvolge ed il chiasso di un tempo. Ho cercato di immaginare le voci degli abitanti, delle donne sempre in casa, indaffarate nelle loro incombenze, degli uomini che tornavano stanchi dal lavoro, insomma un piccolo mondo. La casa, infatti, a quei tempi era una società, tanto diversa da quelle di oggi, abitate da famiglie nucleari.

Qual è stato l’edificio che ti è piaciuto in particolar modo?

Sicuramente il Vittoriale, dimora particolarissima di Gabriele D’Annunzio, sia per la bellezza della struttura che per il suo contenuto, per gli oggetti, per il colore rosso della cucina. Visitandolo ho pensato come attraverso una casa, un edificio, si possa individuare una persona, cioè in una casa la persona lascia traccia di sé. Le mura, gli edifici parlano della storia di un popolo, di coloro che li hanno abitati, proprio per questo sono opere da tutelare.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Mi piacerebbe collaborare all’interno dell’università, ambiente ideale per la nascita di nuove idee, massima fonte di stimoli attraverso il confronto con altri giovani studiosi. Inoltre, l’Università della Calabria è un patrimonio non ancora molto valorizzato, importante veicolo di sviluppo per la Calabria. Sono, comunque, molto soddisfatto del mio lavoro di segretario comunale, dirigo tre piccoli comuni. Prima di lavorare qui, in questi comuni, ho lavorato al nord, e sono stato criticato per la mia scelta di lavorare in luoghi definiti “arretrati”, ma è necessario contribuire al miglioramento, questa almeno è la mia visione. Mi interesso, poi, di politica e credo che continuerò a farlo anche in futuro.

Bene, ciò che c’hai illustrato sicuramente può aumentare le conoscenze su ciò che è considerato un aspetto fondamentale dell’Italia e su cui oggi si potrà riflettere un po’ di più.

Io ringrazio te e La Stradaweb, a presto.

Maria Cipparrone

Si ringrazia il dott. Alfonso Rende per l’intervista concessa in esclusiva a La Strad@, web magazine.