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Un’aria di antico “sempiterno” accompagna i ricordi di un filosofo contemporaneo…“con lo sguardo che volge alle colline circostanti, sotto un grappolo di stelle luminose”.

Verso il vespro passavamo sempre da Ernesto per comprare qualche esportazione con filtro. Cinque a testa bastavano per la serata. Dopo alcune passeggiate lungo il corso ci recavamo da Geniale che aveva una botteguccia vicino al ponte, a metà strada fra la casa del dottore Caferri e quella di don Peppe.

Amavamo quel posticino, io ed Alfonso in modo particolare, perché ci permetteva di fumare in santa pace ed al riparo dagli sguardi indiscreti dei soliti ficcanaso.

Geniale, che noi chiamavamo Skoglund per via delle perfetta somiglianza col famoso calciatore dell’Inter, ci accoglieva con molto piacere e noi lo trovavamo intento a riparare scarpe d’ogni tipo e che poi, a lavoro ultimato, sistemava in bell’ordine e coi nomi dei clienti, su delle mensole riposte in parallelo in un angolo del suo bugigattolo.

Non c’era la luce elettrica in quella stanzuccia e quando non ci vedeva più accendeva una candela, la cui fiamma proiettava sulle scolorite e umide pareti le nostre sagome ed i nostri profili.

Era bello fumare in quell’atmosfera così complice e fiabesca e anche Geniale estraeva una sigaretta dal suo pacchetto di Bis, che egli apriva dal fondo e non dalla parte superiore per evitare la probabile dispersione di tabacco. Fumavamo per semplice passatempo. Il vizio sarebbe venuto più tardi. Purtroppo.

Ci raccontava sempre fatti di quando era emigrato in Svizzera o di quando, in gioventù, se la spassava con donne belle e formose.

A quei tempi queste cose si facevano con molta arte, accortezza e discrezione, senza la spavalderia, la tracotanza e la strafottenza dei giorni d’oggi.

Noi avevamo diciassette, diciotto anni e ascoltando quelle storie restavamo a bocca aperta e con gli occhi sgranati e ammiravamo il suo bel parlare, così preciso e dettagliato da farci dilettare la mente e restarne estasiati. Era stato allievo di Zazà, gran maestro di calzoleria, e di lui diceva di vantarsene moltissimo mentre cuciva le suole dopo averle fatte stare in ammollo in un recipiente di terracotta adagiato sul lato destro del deschetto.

Di tanto in tanto vedevamo scendere per la via del ponte alcune donne con catini di zinco pieni di brodaglia dirette ai porcili dell’Aricella e con dei sacchetti di crusca e sempre col sorriso sulle labbra. Salutavano allegre e poi scomparivano al di là della curva per poi ritornare serene e soddisfatte parlottando della cena che dovevano preparare per i loro mariti e i loro figli. Si fermavano un po’ sulla soglia della bottega e Geniale inventava per loro dei simpatici discorsi, solo allo scopo di farle divertire e distrarre prima che ritornassero alle loro faccende serali.

Napoleone, la guardia municipale, ritornando dal lavoro ( abitava lì vicino, nel largo detto dell’Ospitale ) raccontava, non senza incespicare, ma con la solita simpatia, qualche barzelletta e poi rientrava a casa, dimenandosi a zig-zag a causa di qualche bicchiere in più … bevuto insieme agli amici nella pittoresca cantina di Caterina.

Don Guido suonava il pianoforte e le note del suo … Barbiere di Siviglia riempivano l’aria sul calar della sera, proprio mentre in chiesa terminava la funzione del Rosario.

Sul ponte gli ultimi passanti sembravano ormai delle ombre vaganti e i ragazzini già giocavano a nascondino, scomparendo veloci fra i vicoli di San Giuseppe e della bellissima e romantica piazzetta della Praca.

Gli orti, illuminati dalla luna, diventavano rifugio dei tanti gatti randagi e i bar, con le loro lampade al neon, erano bocche di luce sul corso deserto e semibuio.

Il paese si preparava al silenzio della notte, mentre noi fumavamo l’ultima sigaretta. Dovevamo rincasare, per poi uscire di nuovo dopo cena e passeggiare ancora in attesa di un altro giorno, di un altro mattino senza sorprese.

Geniale spegneva la candela, dopo essersi tolto il grembiule e aver riposto sul deschetto i suoi attrezzi da lavoro.

Girava la cigolante chiave di ferro nella scricchiolante serratura della porta, ci salutava molto cordialmente e da vero amico, mentre noi volgevamo lo sguardo verso le colline circostanti, un po’ tristi e melanconiche sotto un grappolo di stelle luminose.

Mario Pucci