E’ bene far valere i propri diritti, rischiando di non essere capiti, o subire delle scelte “socialmente utili”? E inoltre, come si “costruisce” un lavoro che piace? Questa settimana, fra l’avvocato e lìanalista, si tira “al bersaglio grosso”!
Buongiorno “doc”, quest’oggi ho bisogno di affrontare delle problematiche che, forse ti sembreranno di poco conto ma che mi creano non pochi conflitti:
- Le scelte da operare nella vita, a partire da quelle che si è costretti a compiere tutti i giorni;
- La ricerca e la costruzione di un lavoro gratificante e realizzante.
Buongiorno a te “avv”, sono pronto!
Cosa accade quando si prendono delle scelte e poi ci si accorge di avere sbagliato senza avere la possibilità di tornare indietro?
Per favore, evitiamo toni così fatalistici: chi è in grado di affermare che, effettivamente, non si può tornare indietro?
Ti faccio un esempio. Una persona, di domenica mattina, avvertendo stanchezza da stress è in dubbio se partire per il mare, per la montagna o addirittura restarsene in città. Valuta che potrebbe servigli stare all’aria aperta per rilassarsi e si avvia verso la montagna; strada facendo, però, si accorge di avere sbagliato scelta e trascorre male la giornata.
Scusa, la premessa già non va, perché se si avverte non dico stanchezza, ma poca disponibilità, non si prende in considerazione proprio la domanda “vado al mare o in montagna”? allora per stare bene e riposare è indispensabile il mare o la montagna? E chi non c’è mai stato non si rilassa mai?
Ma se uno tra l’andare e il non andare, sceglie di andare lo stesso e poi si accorge che non ha energia sufficiente, torna indietro?
Torna indietro oppure si ferma a metà strada e si riposa.
E se una persona sceglie di partecipare controvoglia a qualcosa che aveva preso sottogamba, per esempio ad una riunione?
Lascia la riunione.
E lascia una riunione di lavoro?
Metti che ti viene un infarto: non lasci la riunione?
Ma l’infarto è un impedimento grave.
E’ un impedimento sociale, per cui viene accettato. Ed il produrre malessere non è un impedimento grave? E’ meno accettato perché non è un elemento che ti fa rischiare la vita! Qui interviene la protezione che bisogna avere della propria identità: quindi si “deve” dire una bugia per difesa ed allontanarsi dalla riunione, accusando, magari, un forte mal di testa o una colica. In questo modo, socialmente, viene accettata la tua motivazione e tu ti proteggi e te ne vai. Non è che nella riunione si stabilisce della tua vita o della tua morte.
E se senza la mia presenza viene pregiudicato l’interesse di un cliente? Ad es. io oggi avevo mal di testa, non me la sentivo di andare in udienza, ma ho preso un’aspirina e ci sono andata lo stesso.
Ci sono delle valutazioni che si fanno lì per lì, perché poi se si rimanda un impegno, lo si deve assolvere in un altro momento; e allora si può anche decidere di fare quell’ulteriore sforzo per poi mettersi a riposo tutta la giornata. Dipende dall’importanza dei propri impegni ricordando che, comunque, la priorità va assegnata alla tutela di se stessi…e basta!
Nel caso dell’udienza in non ho la facoltà di rinviarla.
In questo caso ti sforzi e per la volta successiva programmo meglio il tuo tempo e la tua energia per evitare di essere così stanca, ma sempre che tu abbia dell’energia per riuscire ad andarci. Se tu avverti di non averne non ci vai. Se tu avessi un attacco di appendicite, andresti? O piace o non piace al giudice o al cliente, non ci vai.
Però così non si rischia di trascurare il proprio lavoro?
Se un professionista tutela se stesso, è in grado anche di elaborare strategie processuali molto più valide, prevenendo, gestendo meglio, organizzando.
Quindi, comunque si può tornare indietro quando si è scelta una strada. Io pensavo che scegliere una strada significasse non poter più tornare sui propri passi.
Perché tu vivi secondo concezioni fatalistiche che ti portano a credere che tutto dipenda dal destino, che ogni avvenimento sia ineluttabile e che contro il fato nulla possa la volontà o l’azione umana.. ricorda che la vita non è una roulette russa dove, se ti va male, parte il colpo di pistola e per te è finita!
Mi devo abituare a trovare soluzioni che siano accettate pure dagli altri, perché io non posso dire, per esempio, che l’atmosfera che si “respira” in un dato ambiente mi dà fastidio per cui intendo andarmene.
Certo, non sarebbe capito.
Passiamo al secondo argomento che mi “angustia”. Come si può fare per realizzare un’attività lavorativa soddisfacente se una persona si rende conto che il proprio lavoro ha degli aspetti da rivedere?
In una società matura questo si fa programmandosi fin da piccoli, dando spazio a ciò verso cui si sente più disponibilità. Dovrebbe essere un lavoro che privilegi la neutrergia, l’aspetto creativo, l’aspetto mentale. Se, invece, si sono fatte già delle scelte che si ritengono non essere più utili, allora bisognerà operare, da una parte, per mantenersi col vecchio lavoro, da un’altra, per studiare ed acquisire le competenze necessarie per mettere in atto una nuova attività più gratificante e remunerativa.
Ma questo richiede molto tempo ed impegno. Come si fa a conciliare le due attività se sono magari lavori completamente diversi?
Dipende dalle scelte globali che si sono operate fino a quel momento. Tu, ad esempio, te lo puoi permettere perché non sei sposata e non hai figli. Se avessi avuto già uno o due figli ed un partner con cui relazionarti, molto difficilmente avresti potuto trovare, con figli piccoli, il tempo e l’energia necessaria per pensare di cambiare lavoro; avresti dovuto aspettare che i figli avessero raggiunto, almeno, la maggiore età.
Ma io mi trovo in una fase in cui ancora nemmeno col mio lavoro ho ottenuto una situazione accettabile di realizzazione: dovrei aumentarlo (per incrementare le entrate) ma, al tempo stesso, ridurlo (perché non mi piace). In questa fase di stallo, come faccio a pensare di cambiarlo?
Stai studiando anche per stabilire quali sono gli aspetti positivi del lavoro che fai, gli aspetti di consulenza, gli aspetti comunque di tutela del diritto, della giustizia. Non è completamente negativo il tuo lavoro.
Ma a me, infatti, non piace “l’attività in giudizio”. Studiare i casi, fare consulenze non è sgradevole. Gli incontri/scontro con giudici aggressivi e colleghi scorretti, che fanno cose che io, forse ingenuamente, non riesco ad immaginare e tanto meno a prevedere, come ad esempio, l’allegare ad un fascicolo di causa arbitrariamente documenti o perizie senza la regolare autorizzazione, confidando nella distrazione di giudice e controparte: è questo che mi fa rifiutare il “sistema”!
Questo non vuol dire che tutto il lavoro di avvocato sia svolto così.
No, però c’è una parte, forse una buona parte, di soggetti che operano così.
Ma non li conosci tutti, come fai a dire “una buona parte”?
No, questo non lo posso dire. Posso riferirmi solo a quelli che ho incontrato.
E comunque, anche se ci fosse solo una piccola parte a lavorare onestamente, tu potresti relazionarti con loro.
Torniamo all’argomento che mi sta più a cuore: spiegami meglio come si fa a trovare un lavoro che sia gratificante, specie se una persona ad una certa età ha già fatto un percorso di studio ed ha già iniziato un’attività lavorativa, per cui non può decidere di chiudere tutto e cambiare completamente attività lavorativa. E inoltre, Come si fa a conciliare la ricerca di un lavoro appagante con l’esigenza di mantenersi economicamente, senza vivere con frustrazione il lavoro che si fa?
Come ti ho già detto prima, dovrebbe essere una ricerca fatta per tappe, partendo possibilmente dal periodo scolastico, per impostare degli studi che poi portino ad avere competenza sempre maggiore nel settore prescelto. Questa è la crescita corretta. Sovente accade, invece, che una persona, dopo la laurea, si accorga che il lavoro che aveva costruito non è di suo gradimento. In questo caso, se la persona in questione se lo può permettere economicamente, si può rimettere a studiare e pian piano costruire un altro lavoro; se, invece, ciò non è possibile, come accade nella maggior parte dei casi, è necessario ricordarsi che, prima di realizzarsi, bisogna sopravvivere. Quindi è necessario lavorare per mangiare, per appagare i bisogni indispensabili e, pian piano, cercare di modificare il lavoro che si sta facendo per appagare anche i bisogni primari di autostima e di autoaffermazione, che non è una cosa impossibile, a meno che uno non lavori nel settore funerario!
D: Però se una persona vive con frustrazione il lavoro che fa, dove troverà la spinta per prepararsi ad un altro lavoro?
Partiamo dal principio che nessun lavoro in assoluto è gradevole, ma può diventarlo sulla base delle motivazioni per cui lo scegli e, soprattutto, dell’impegno richiesto. Abbiamo detto l’altra volta che qualunque lavoro può diventare pesante, anche il migliore del mondo, così come anche lavori pesanti possono essere resi più vivibili con una buona strategia operativa. L’elaborare delle strategie che consentano di migliorare la qualità della vita all’interno di un lavoro che non piace ma che si è scelto per errore di valutazione, ci porta a migliorare la nostra personalità, perché ci rende flessibili ed adattabili; di conseguenza, migliorando le capacità elaborative, riusciremo a cercare ed a guardare meglio intorno o per migliorare quello che stiamo facendo, o per edificare, pian piano, mattone su mattone, un nuovo sistema di vita. Nel passato io avrei voluto avere disponibilità economiche per abbandonare completamente (e velocemente) il lavoro che svolgevo all’interno di una clinica privata operante nel settore della riabilitazione psicosociale e neuromotoria, e dedicarmi esclusivamente allo studio, onde riuscire a raggiungere più velocemente un traguardo da specialista. Questo non è stato possibile. Oggi ti dico che comunque è stato un bene, perché l’esperienza che ho maturato, attraverso l’applicazione in un lavoro che non gradivo, mi ha consentito di acquisire quei dati che mi danno la possibilità di fare valutazioni migliori oggi, che altrimenti non avrei potuto avere. Sarei stato un uomo teorico, da laboratorio, ma poco pratico. Quando io descrivo i sistemi per vivere meglio, cerco di essere molto pratico, tenendo conto del tempo storico e, quindi, della Società in cui viviamo. Come avrei potuto farlo, non essendo avanti negli anni e senza esperienza? Avrei potuto scrivere in linea teorica, ma poco attinente con le reali esigenze dell’essere umano contemporaneo. Quindi crescere all’interno del proprio lavoro per implementarlo o cambiarlo, ci consente di migliorare. Altrimenti, lasciare di botto un lavoro per inserirsi in un’altra attività potrebbe rappresentare una fuga dai problemi, senza nessuna garanzia che poi l’eventuale nuovo lavoro ci piacerà certamente.
Ma c’è alla base l’esigenza indispensabile che è quella di creare e mantenere un’autonomia economica.
Sì, certo.
Perciò la cosa opportuna è trovare il modo per rendere il più gradevole possibile il lavoro che si fa.
Se poi consideri tutte le implicanze di tipo psicologico che il lavoro di avvocato ha, ed i margini di miglioramento che offre, potresti anche cambiare idea sulla necessità di cercare altro. E’ chiaro che se lavori esclusivamente con persone che non sanno apprezzare le tue capacità mentali ma vogliono solo una sorta di garanzia che le loro cause verranno vinte, l’aspetto psicologico gratificante non lo potrai realizzare.
Ma, infatti, io penso che il rifiuto verso il lavoro che faccio sia pure dovuto al fatto che io ho operato in un sistema che non mi ha dato molte gratificazioni personali…
Penso che per oggi possa bastare!
Sono d’accordo, anche perché, questa volta mi hai “messo alla frusta”; ci rivediamo la prossima settimana.
Puntuale, “doc”!
Come sempre, “avv”!