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Questa settimana, vi presentiamo il copione di una toccante rappresentazione interpretata dalla compagnia teatrale dei detenuti della Casa Circondariale di Cosenza



Carissimo Avvocato Marchese, ho ricevuto la sua lettera e la ringrazio per l’attenzione data a me ed ai miei compagni. Ho il piacere di informarla che Venerdì Santo abbiamo portato in scena: ”La Pasqua”. Si tratta di un lavoro in due atti, scritto, ancora una volta, da me. C’erano molte personalità della politica presenti ed anche giornalisti. C’era presente il Magistrato di sorveglianza. C’erano le televisioni. Sono rimasti tutti contenti, in particolar modo, della recitazione dei miei compagni, che, come al solito, mettono molto impegno e passione nella attività interpretativa. Colgo l’occasione per inviarle, scusandomi per la veste tipografica, il copione del: ”Sogno?… Chissà!” Vedrò, in seguito, di poterle fare avere altre cose che ho scritto. Voglia per ora accettare i miei più cordiali saluti, mentre le rinnovo i miei ringraziamenti.

Cosenza 05/04/2002 Enzo Simonetti


P.S. I miei compagni le scriveranno molto presto.

SOGNO? CHISSA’…!

ATTO UNICO

DI

ANTONIO VINCENZO SIMONETTI

Personaggi

Il Medium

Arcibaldo, maggiordomo del Medium.

Ernesto, giovane che va a consultare il Medium.

Spiriti grigi

Il Fantino

Il Cantante rock

Il Principe

L’Attore

Il Politico

Lo Stilista

Il grande finanziere

Un tipo normale, spirito.

Si apre il sipario. La scena è lo studio di un medium. Il medium è da solo, con i suoi pensieri. Entrano Arcibaldo, il fido maggiordomo tutto fare, ed un giovane, Ernesto.

Arcibaldo: Maestro, questo giovin signore desidera consultarvi

Medium: Vieni, mio giovane e curioso figliolo, accomodati. E dimmi, cosa posso fare per te?

Ernesto si volge, e guarda Arcibaldo, dubbioso.

Medium: Non temere, per la presenza di Arcibaldo. E’ il mio maggiordomo. Mi è fedele. E’ riservato. Pertanto parla. Ti ascolto.

Ernesto: Ernesto è il mio nome. Sono giovane ed onesto. Ho un lavoro. Fra un mese contrarrò matrimonio, ecco perché son qui da te. Maestro, mi dicono che sei un grande mago. Che il futuro degli uomini, per te, non ha segreti. La fortuna è una tua schiava, e chi si rivolge a te, ed ottiene il tuo aiuto, non ha più problemi.

Medium: Mago non sono. Oscura mi è la nobile arte di preparar pozioni, filtri ed amuleti. Mai fui iniziato a consultare i testi arcani, per cui, nei secoli, si ricordano i nomi di Merlino e Morgana. Sono medium. Evoco il mio spirito guida che, benevolmente, predice, a chi chiede il mio aiuto, quale sarà il suo futuro, quanto e se dovrà soffrire, come agire per raggiungere la felicità.

Ernesto: Maestro, svelami cosa mi attende.

Medium: Poiché curioso tu sei, soddisferò il tuo desiderio. Arcibaldo, lasciaci soli. Tu, mio giovane amico, siediti e osserva.

Arcibaldo lascia lo studio, il Medium ed Ernesto si siedono al tavolino. Il Medium accende tre candele. Si concentra. Si attenuano le luci.

Medium: Spirito, potente spirito, mio conforto, mia guida, ti prego, raggiungimi. Dalle profondità dei cieli, io, tuo umile amico, ti chiedo di scendere. Vi è bisogno di te, immensa saggezza, perciò ti evoco, ti chiamo, ti imploro.

Compare uno spirito, tutto vestito di grigio, in tenuta di fantino.

Medium: Come mai ti trovi qui, chi sei?

Fantino: Tu mi chiedi, come mai sono qui, e chi sono? Mi trovo qui, perchè tu mi hai evocato, per quanto riguarda la seconda domanda, ti rispondo subito. Ero un fantino, anzi, IL FANTINO. E se la tua memoria non fosse così corta, ti ricorderesti di me. Per oltre venti anni, la stampa e la televisione, hanno riportato, puntualmente, le mie vittorie. Da Roma a Parigi da Londra a New York, negli ippodromi più famosi del mondo, ho vinto tutto. Sapessi come era inebriante, il sibilare del vento, fra le svolazzanti criniere al galoppo, Il dilatarsi delle froge, al rotear del frustino. Il divorar le distanze. Quanti articoli in prima pagina! Quanti servizi nei telegiornali! Quante foto sui rotocalchi! Certo, alcuni, ironizzavano sulla mia bassa statura. Sulle mie gambe, corte e un po’ storte. Sul mio naso aquilino. Fui ricevuto da regnanti, le dame più nobili, gli uomini più potenti, le donne più belle, venivano ad ossequiarmi. Facevano a gara ad invitarmi alle loro feste sontuose, ad offrirmi denaro, a sedurmi. Gli alberghi più esclusivi mi volevano loro ospite. La mia vita era un turbine, di gran premi, di feste con fiumi di champagne, di viaggi, e sembrava non dovessero finire mai. Poi non più vittorie, niente più successo, non più denaro. Niente più inviti, la solitudine, l’oblio. Senza famiglia, né casa, né amici.

Medium: Ti ho evocato, spirito, perché dicessi a questo giovane, che destino avrà. Cosa l’attende nel futuro.

Fantino: Non so quale sarà il suo futuro. So, invece, quale è il mio presente e quale sarà il mio eterno presente. Vago senza fine, in un grigiore informe e senza contorni. Esso non ha inizio, né fine. Tutto è silenzioso, così grave e greve, che lo sento addosso, quali fosse una cappa di piombo. Fammi guardare, sicché io possa rimirare, seppur fugacemente, i colori di questa stanza, prima di ritornare nel mio eterno, immutabile ed infame mondo grigio.

Medium: Poiché non vuoi, o non sai rispondere, va, lasciaci, torna nel tuo mondo

Lo spirito va via muto, con un sospiro

Ernesto: Maestro, ma…

Medium: Taci, fammi evocare… (ripete la formula)

Entra in scena uno spirito, tutto grigio. E’ un cantante rock.

Cantante: Perché evocato mi hai? Perché non hai rispettato il mio riposo? Sappi, mortale, poiché ho fretta che fui un cantante con milioni di fan. Fui arrabbiato, trasgressivo, aggressivo perfino. Sulle corde tese ed elettriche trasmettevo rabbia, rifiuto, con la band assordavo le pletoriche folle osannanti. Incitavo a sopprimere le regole, da ribelli, ad andare per piazze. Tutto è marcio, tutto deve cambiare, era il motto dei versi che, con voce roca, cantavo. Grosse moto, simbolo di libertà, sulle quali, haimè, veloce sfrecciavo, eran il mezzo per vivere di corsa. Alcool, moto, costumi impossibili, riempivan la mia vita, il mio credo. Alcool, moto, inducevo i giovani a comprare ed usar. Li spingevo a viver di corsa, non al domani, certo, pensare. E, di corsa, ironia della sorte, contro una quercia, che, come sai, mortale, albero sotto il quale, gli antichi, si riunivan a pregare, andai a sbatter, a finir la mia vita. Ora vado, torno al mio mondo, silenzioso, grigio ed informe, quasi meglio del rumore assordante, che compagno della vita mi fu. Solo dirti una cosa io voglio, che l’umana stoltezza, grazie ai furbi legati al lucro, al guadagno, celebra il nome che porto, ancora compra i mie dischi. Ho i miei fans. Addio.

Lo spirito va via, il Medium ed Ernesto lo guardano meravigliati. Il Medium ricomincia ad evocare. Entra in scena uno spirito, tutto vestito di grigio. Le sue vesti testimoniano la sua nobile nascita.

Principe: Chi osa chiamarmi?

Medium: Nobile signore, io ti ho evocato. Chi sei?

Principe: Il tuo linguaggio è forbito. La qualità e la ricchezza delle tue vesti, aberranti, per gusto, testimoniano che nasci da nobili lombi, seppure ti accompagni a sì plebee presenze. Inclinati, con riverenza, dinanzi a Sua Altezza Serenissima, Marziale, Rodolfo, Ignazio, Guglielmo, Edoardo, Filippo, Quaranta – Tartufi, Principe di Rocca Bruna, Duca di Fonte Fria, Marchese di Monte Marello. Alla mia nascita, con decreto paterno, per tutto il mese il contado, la città ed i paesi, il volgo e i nobili vassalli, hanno festeggiato. Fiumi di sidro, di vino, di birra, armenti interi da arrostire, furon dati alla gente. Ebbi nutrici ed ancelle innumerevoli, colti precettori ed insigni maestri d’arme. Lessi gli autori greci e latini, fui educato all’arte del comando, ma cari a me furono più il fioretto e la spada. Passeggiai per giardini profumati e dai mille colori, con i fidi levrieri a precedermi e con uno stuolo di cortigiani a seguirmi. Danzai con le più nobili dame, nei saloni più ricchi e più belli, la quadriglia, la promenaide ed il minuetto. Cacciai in boschi impenetrabili e nelle radure più nascoste, orsi e cervi. Ebbi donne del popolo, dalle forme procaci e dalle mani nodose. Conobbero il mio talamo, nobili e vezzose fanciulle, fragili e delicate, dalle fattezze eteree. Su tutto, amai il clamore dei campi di battaglia. L’ansimar dei cavalli, le urla degli uomini. L’acre odore del sangue che si fonde al sapore salato del sudore, alle grida di morte. Alla gloria. Allietarono le mie serate di inverno, dinanzi al fuoco, musici ed aedi, cantando le mie virtù e le mie gesta. Ora dimmi, mortale, ho soddisfatto la tua domanda?

Medium: Nobile Principe, grande, anzi immenso sei stato. Ti ringrazio delle tue risposte, sì soddisfacenti, ma, ti prego, puoi dirci cosa attende il giovane amico? Quale sarà il suo fato?

Principe: Ti ho detto come in vita tutto ebbi. Come la gloria inseguii. Posso dirti, che oggi, la mia tomba, opera di artisti insigni, è preda di ortiche e ramarri, mentre io vago, in un grigio informe e senza fine. Nessuno io vedo, avverto, solo, lo struscio di altrui presenze, e vago, vago, per il mio eterno presente. Ora ti lascio, poiché il rimpianto, non fa che aumentar la mia pena. Addio.

Il Principe va via

Ernesto: Maestro, perché non risponde nessuno? Perché non fai qualcosa?

Medium: Taci ed osserva, giovane scarso di fede. Imperscrutabili sono i disegni. Immense le forze che ci circondano. Osserva ed impara. In silenzio.

Il Medium riprende ad evocare. Compare uno spirito, grigio, è un attore.

Attore: Eccomi, chiamato, son giunto. Chi è che mi vuole?

Medium: Anima pia, io ti ho evocato. Chi sei?

Attore: Attore famosissimo, io fui. La ribalta ed il set, la mia casa. Amleto, Riccardo, Romeo, i miei personaggi più cari, in teatro. L’impavido aviatore, il grande ammiraglio, il prode guerriero degli spazi siderali, il solitario cavaliere della frontiera, senza macchia e senza paura, quelli che resi eterni nelle sale cinematografiche di tutto il mondo. Generazioni di spettatori hanno sognato, specchiandosi nei personaggi. L’Oscar vinsi negli U.S.A., a Los Angeles. Premiato, più volte, fui a Cannes, Venezia, Berlino. I fans sgomitavano per vedermi e per un autografo, sulla croisette ed al lido. I produttori pagavano cifre enormi per scritturarmi. I registi alzavano paena al cielo, perché recitassi nei loro films. I giornalisti più famosi bramavano intervistarmi. I fotografi in voga, volevano immortalare sulla loro pellicola, ogni istante della mia vita. Ero ospite d’onore negli spettacoli televisivi più seguiti. Anche i pubblicitari inseguivano il mio agente, e spendevano somme da capogiro, perchè propagandassi le loro merci e prodotti. Ho avuto sei matrimoni, mai una moglie, mai una casa, mai un cammino. Ho peregrinato tra les suites più esclusive, le sale per VIP degli aeroporti, i ristoranti a la pàge. Mi sono accompagnato a donne viziose, a giovani, ma vecchie dentro, modelle, in cerca di pubblicità e di un attimo di notorietà. Ho creduto di vivere intensamente.

Medium: Perdonami, se ti interrompo, ma vorrei chiederti, se puoi tu predire il futuro a questo giovane, che vedi qui con me.

Attore: Predire il futuro? Questo non mi è concesso di fare.

(rivolto ad Ernesto) Posso solo dirti, giovane sprovveduto. Guardami. Grigio io sono e grigio, informe, è il luogo da dove vengo. La fama ed il successo ho inseguito. Denaro a fiumi ho incassato e speso, senza mai pensare a chi moriva di fame e di stenti. Io non conosco, né il tuo futuro, né quello di altri, ma so il mio presente ed il mio continuo presente, che ho costruito inseguendo l’effimero. Ora è tempo che io vada. Il mio mondo mi attende. E tu, giovane, guarda e rifletti.

L’attore va via

Ernesto: Maestro, vorrei lasciarti, andare anche io.

Medium: Fermati. Fatti incomprensibili stanno succedendo. Tu ne sei testimone. Fammi evocare.

Compare un altro spirito grigio, è un politico.

Politico: Salute a voi, mortali. Cosa vi angustia? Quali sono i vostri problemi? Ditelo a me, sicchè io possa aiutarvi, e, per voi, risolvere tutto.

Medium: Spirito, tu sia il benvenuto. Chi sei? Ti ringrazio per l’aiuto che vuoi darci. Ben misera cosa chiediamo. Il futuro che attende questo giovane.

Politico: Politico insigne e potente io sono stato. Attorniato da portaborse servili ed anonimi. La mia anticamera, sempre piena di questuanti, ho avuto. Nel mio studio, tra legni pregiati, arazzi e tappeti preziosi, ho creato ed esautorato ministri, i loro vice, alti commissari di stato, dirigenti e funzionari. Le mie opinioni, tra il detto ed il non detto, il condizionale era d’obbligo, hanno distrutto governi, hanno fatto levitare azioni, crollare la borsa, arricchendo i furbi e mettendo sul lastrico tanti onesti piccoli risparmiatori. Nei convegni, nei simposi, sempre dubbi ho instillato, tra avversari ed amici, mai certezze. Alla Camera, fra colleghi Onorevoli, i miei interventi, merito di segretari laboriosi ed infaticabili, sono rimasti quale esempio di equilibrio, (pardon equilibrismo, per verità) APPARENTE. Mai un tono, mai un sorriso fuori posto. Nei congressi di partito, nei comizi, mai un dubbio, mai una incertezza, mai un condizionale. Io faccio. Io credo. Io penso. Questo il mio pensiero, le mie parole. Nei congressi perché mi votassero i dubbiosi i deboli, i ricattabili assai numerosi. Nei comizi, per raggirare il popolo bene, che cerca solo di essere dominato, comandato, guidato. Quante promesse, case per i senzatetto, strade per i paesi montani, ponti per le contrade di marina, lavoro per i giovani, assistenza per gli anziani ed i portatori di handicap. E la mia dialettica, mortale, era sì persuasiva, che i senzatetto sentivano, quasi, il tepore del fuoco domestico. Che i villici, inerpicandosi per le irte mulattiere di montagna, già le vivevano quali comode e sicure autostrade. Che i pescatori, tirando in secco le barche, guardandosi intorno, vedevano (che fantasia!) darsene e docks. Che i giovani già avvertivano la soddisfatta stanchezza per il lavoro… che mai sarebbe arrivato. Che gli anziani ed i portatori di handicap, già apprezzavano l’inesistente assistenza. Tante promesse, mai mantenute, da far arrossire, perfino, il marinaio più navigato. Ma ora basta. Come ai udito, mortale, ti ho chiesto dei tuoi problemi, promettendoti aiuto. Il vecchio vizio delle promesse, è duro a morire. Il vero è, che nulla so di quanto vi attende. Ciò che conosco è il grigiore che mi permea, e permea il luogo del mio eterno presente. Ho raggirato, questo so, ho promesso e mai mantenuto, questo si. Ho approfittato dell’altrui bisogno, per mestare e per fare affari. Quanto ho ottenuto voi lo vedete. Son tutto grigio e nel grigiore io sto. Ora vi lascio, sicchè il vecchio vezzo non riaffiori. Addio.

Il politico va via, Ernesto resta in silenzio, il Medium evoca. Compare uno spirito grigio, uno stilista.

Stilista: Perché mai, hai voluto chiamarmi?

Medium: Salute a te, spirito. Chi sei?

Stilista: Sono stato uno stilista osannato. Ho indotto le mode più diverse. Ho vestito uomini e donne di tutto il mondo. Ho vestito guitti, la cui pretesa è di apparire profeti. Ho vestito, anzi svestito, meretrici, che blaterando di libertà, han venduto e vendono le loro grazie, per un briciolo di notorietà. Ho fatto indossare loro le cose più strane, più orribili. Vedi, mortale, la stupidità è degli uomini, ed io ne ho approfittato per umiliarli, per disprezzarli. E il bello è, che mi erano grati, che mi adoravano. Si, perché bastava che io lo dicessi, e l’anello al naso diventava una moda da seguire. Ho coperto gli uomini di trine e merletti. Ho scoperto, al vento, i seni ed i glutei femminili. Che spettacolo miserando! Nei recessi più profondi degli inferi, sghignazzano ancora. Seni cascanti, cellulitici, glutei, cosce adipose. Bruu… Bruu… C’è di che inorridire. E tutti a comprare, guardando solo la mia griffe, e non già la bontà dei tessuti. Ho invaso il mondo, griffandolo. Vestiti, cappelli, camicie, foulards, magliette, calze, scarpe, mutande, occhiali e carta igienica, perfino. Quanta umana idiozia! Ed intanto, il mio conto in banca, saliva, saliva, saliva. Villa nelle isole dei mari del sud, barca, aereo privato. Casa nella quinta strada a New York, e sulla collina di Montecarlo. Chalet a S. Moritz. Tutto questo ho avuto. Tutto questo mi ha dato il mio enorme disprezzo per gli uomini. Poi un giorno, nel mar Rosso, la mia barca ha fatto naufragio, portandomi con se negli abissi. Ed eccomi qui, grigio ed informe, a testimoniare dove mi ha portato il disprezzo per i miei simili, ed a rimpiangere, in eterno, quanto avrei potuto fare e non ho fatto. Ora vi lascio, mortali, torno da dove sono venuto. E voi, pensate,… pensate.

Lo stilista va via, il Medium ed Ernesto, muti si guardano, mentre compare uno spirito grigio. E’ un grande finanziere.

Medium: Ancora? Chi sei ora? Cosa vuoi?

Finanziere: Non essere in collera. Tu mi hai chiamato. Vagavo, senza meta, nel mio mondo, quando tu mi hai chiamato. Un magnate della finanza io sono stato. Per me la Borsa non aveva segreti, ne ero il Re, anche se altri diceva che ne ero il pirata. Delle materie prime e dell’energia ho dominato i mercati. Petrolio, oro, argento, diamanti, carbone, cereali, lana, caffè. Di tutto questo, il prezzo inducevo. Con slealtà ho rovinato concorrenti altrettanto sleali. Popoli, ignari ed innocenti ho affamato. Uomini senza onore ed in vendita, ho comprato. Persone di ostacolo ai miei disegni, ho fatto sparire. Ho creato governi di fantocci, ho seminato guerre, vendendo le armi, ed apparendo quale portatore di pace. Per questo, mi hanno perfino, designato, l’uomo dell’anno. Verrebbe da ridere, se non fosse sì tragico. Con le mie petroliere ho inquinato i mari. Con gli scarichi delle mie aziende, ho reso fetidi laghi e fiumi. Per il legname, ho abbattuto foreste, ho fatto bruciare la macchia, per costruire palazzi. Ho inquinato, ho distrutto, e sai mortale, quale è l’ironia? Mi si ricorda per questo, e mi si ringrazia. Ahimè! Ho promosso ricerche genetiche, solo per lucro, ed oggi si premiano i ricercatori, in mio nome, chiamandomi IL BENEFATTORE. Quanto danno ho fatto! Cosa sarà degli umani? Saprà la natura resistere loro? Ora ti prego, lascia che io vada, e, se puoi, aiuta te stesso e gli altri uomini.

Medium: Addio.

Lo spirito grigio va via, il Medium ed Ernesto, fortemente emozionati, stanno per alzarsi, quando compare uno spirito luminoso. Pantaloni di velluto, camicia a scacchi.

Medium: Sei tu uno spirito? E se lo sei, cosa vuoi?

Spirito: Mi chiedi se sono uno spirito? Tu mi hai evocato. Mi chiedi cosa voglio? Se tu, mortale, ad avere desideri. Ove io sono, nulla è bramato, poiché è presente, eternamente presente LA CERTEZZA DEL TUTTO. Il colore sfumato dell’alba, si fonde con il rosso del tramonto. L’indaco del cielo, con il bianco puro delle nuvole svolazzanti. Il profumo pungente del gelsomino, quello dolce della rosa, il profumo delicato delle violette, quello imperioso delle acacie, fusi in una sintesi sublime, con quello resinoso del pino, invadono, perennemente e dolcemente lo spazio, mentre le note leggiadre di una sinfonia celestiale, di archi e di fiati accompagnano l’eterno presente.

Medium: Ma tu stai parlando dell’Eden? Cosa hai fatto per arrivarci?

Spirito: Mortale, tu ed i tuoi simili, amate le definizioni. E’ ciò che è! Per quanto attiene che cosa ho fatto, ti dirò, invece, chi, e cosa fui. Qui, tu oggi, nel tuo presente, hai evocato, grandi dello sport e della moda. Nobili di schiatta e grandi dello spettacolo. Potenti della politica e della finanza. Tutti protagonisti del proprio e dell’altrui destino. Tutti dotati di immenso potere e grandi fortune. Tutti inseguiti, quasi braccati, dai giornali, dalle televisioni, dalle folle osannanti. Ebbene, non per merito mio, ma di mio padre, che, rifiutano le lusinghe e le chimere del mondo, tornò a casa per sposare, l’unico amore, mia madre, nacqui in una terra varia, scoscesa, aspra, per certi versi avara, ma la più bella del mondo. Due mari la bagnano, il cui colore ricorda, in prossimità delle rive, la delicata trasparenza dello smeraldo. E, all’orizzonte, dove le acque, profonde ed ignote, si toccano con l’immensità del cielo, l’ametista. Lo stesso Ulisse, vi si specchiò e le solcò, cercando la rotta, verso Itaca, la petrosa, verso la sua fedele Penelope, verso Telemaco, il figlio adorato. Dalle sue aspre montagne, irte e scoscese, sulle cui cime si librano i falchi, patria di cinghiali e di uomini rudi, ma forti ed ospitali, le sue fiumare, tra neri strapiombi, portano le loro acque, rombando, al mare. Dalle sue colline, coperte di ulivi e vigneti, disseminate di agresti comignoli, già dai tempi di Atene e di Sparta, si levano peana al cielo, per la bontà del vino e la preziosità dell’olio, quasi dimenticando, l’enorme fatica ed il sudore versato. Dalle sue serre, fra faggeti e pinete, olezzanti di origano, fragole, salvia e uva spina, mute e solenni preghiere si innalzano al cielo, negli eremi. Dalle sue piane, poche in vero, ma preziose, sterminati giardini di agrumi, effluvi di zagara, ronzio di api, freschezza di ortaggi ed aulenti cipolle. Dai suoi altopiani, all’ombra serena delle foreste, puntellata dai riflessi, dai laghi, perlacei, nel verde di pascoli, ricoperti di armenti e di greggi, le nenie dei pastori, accompagnano il volteggiare degli uccelli, tenendo i lupi lontano. Qui, ripeto, non per mio merito, nacqui e vissi. Qui fui educato, cresciuto. Qui la conobbi. Piccola, delicata, quasi di preziosa porcellana di Sèvres. Ma forte di cuore, ferma e convinta di volontà. I suoi capelli, del colore del grano maturo, impazienti duellavano con la brezza, già dal mattino. I suoi occhi, colore del miele di acacia, con i bagliori saettanti delle olive di ottobre, quando ancora non sono mature eran dolci, comprensivi, profondi. E parlavano, sapessi mortale, parlavano. La sua voce, mai irata, ma ferma, soffice e calda come un tramonto di maggio, tintinnante, talvolta, come numerose campanelle di argento. Con lei e per lei, ho vissuto, mortale. Tenendo la sua mano, ho attraversato la vita. Vorrei tu comprendessi quanto fu bello. Abbiamo lavorato e sudato, sì. Quattro figli ella mi ha dato. Due ragazze, anzi che dico, due perle. Due giovani, aitanti, ai suoi ed ai miei occhi. Certo, abbiamo avuto momenti anche aspri, come le cime dei monti della nostra terra, ma, grazie ad un suo sorriso, passeggeri, come un temporale di agosto. Momenti felici, inebrianti, come il profumo di zagara dei giardini delle nostre piane. Tanta tanta serenità, simile alla dolce ed ondulata frescura delle foreste dell’altopiano. Non abbiamo inseguito nessuna chimera, non abbiamo avuto nessuna gloria effimera da conseguire. Abbiamo vissuto, mortale, vissuto pensando al domani, ed ai figli. Quanta dolce emozione, nelle lunghe serate di inverno, mentre fuori, imperversava il maltempo, ed i figli già erano a letto, tenerla per mano, davanti al camino, odorante di resina, mentre leggeva di Omero, della infelicità di Achille, del prode e sfortunato Ettore, vittima dell’umana stoltezza, del grande dolore di Priamo. Quanti viaggi, ad occhi socchiusi, quanti luoghi, visitati e vissuti, navigando, sui versi e su prosa, di autori stranieri ed italiani, riposando sulla poltrona domestica. Sapessi quanta felicità, averla a fianco, nelle calde notti di estate, seduti in veranda, e guardarla, mentre parlava alle stelle. Si, lei parlava alle stelle, quelle stelle che, a lungo, ingannarono, Ulisse nel tracciargli la rotta, ma con lei, tacitamente, schiette e veritiere. Nel tuo presente, mortale, ella ed i figli, mettono fiori freschi sulla mia tomba, con cura ed amore. Serenamente, mi parlano, poiché sanno che lassù qualcuno, tutti ci ama. Anche te. Anche lui. Come vedi, non indosso vesti sontuose. Non fui grande, famoso, osannato. Fui un uomo normale. Come tanti, tantissimi anzi. Un uomo che ha amato ed ama, nel suo eterno e celestiale presente, la sua terra e la sua famiglia. Le sue radici. Ora fa che io vada. Ti lascio. Addio, mortali, e la rotta sia sempre dritta.

Lo spirito va, Ernesto ed il Medium sono stupefatti.

Ernesto: Maestro…, ti prego, è ora che io vada.

Medium: Si, mio giovane amico, vai in pace e rifletti.

Ernesto esce il Medium resta da solo.

Medium: Arcibaldo…! Arcibaldo…! Arcibaldo…!

Arcibaldo: Si, maestro, eccomi.

Medium: Arcibaldo, perchè hai tardato?

Arcibaldo: Vi sentivo, maestro, ma aspettavo che il giovane pagasse il dovuto. Eccolo.

Arcibaldo porge il denaro al Medium, che lo ignora.

Medium: Arcibaldo, mio fedele Arcibaldo, da quanto tempo sei con me?

Arcibaldo: Sono tre lustri che ho l’onore di servirvi, maestro.

Medium: Da oltre 15 anni, mio buon Arcibaldo, badi alla cassa, alla mia tavola. Esaudisci i miei capricci. Da oltre 15 anni, soprattutto, presti la tua voce, al mio spirito guida. Quante persone abbiamo turlupinato! Quanti inganni abbiamo perpetrato! Quanto denaro abbiamo lucrato, alle spalle di sprovveduti e allocchi. Esistono, Arcibaldo! Gli spiriti esistono! Essi sono venuti. Non hanno predetto il futuro, al giovane Ernesto. Hanno detto ciò che hanno fatto, come hanno vissuto.

Il Medium prende da uno stipo una borsa, si leva il costume.

Medium: Via questa veste, atta a suscitare meraviglia nei creduloni, ed a procacciare inganni. Tieni mio fedele amico, (porgendogli la borsa) è tutto quello che ho. E’ tuo, per tutti gli anni che mi hai dedicato. Non più raggiri, non più inganni. LA DITTA CHIUDE. Voglio andar per il mondo, non già a predicare, troppi falsi profeti guitti ed odalische, lo fanno, ma a trovar la mia terra, lavorare e mettere radici. Voglio scoprire il piacere del rientrare a casa, soddisfatto e stanco la sera. Voglio imparare ad apprezzare, i colori sfumati dell’alba, il tenue rosato dell’aurora, il rosso caldo e sereno del tramonto. Voglio imparare, a scrutare il cielo, il bianco candore delle nubi, ad inseguire il volo degli uccelli, ed a dialogare con le stelle. Voglio sentire sulle mie mani, ruvide per il lavoro, la freschezza perlacea della rugiada adagiata sui fiori, ed immergermi nel verde profumato dei boschi. E, se Dio vorrà, prendere per mano una donna, che mi stringa non con le braccia, ma con il cuore. Annegare nella profonda dolcezza dei suoi occhi, e con lei e per lei, affrontare quanto mi resta della vita. Insomma, Arcibaldo, VOGLIO VIVERE. Ora, va, amico, e che il tuo cammino, sia dritto e sereno… Va!

Si chiude il sipario.