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Commento a IL NOME DELLA ROSAdi Umberto Eco

Da un manoscritto originale in lingua latina del XIV sec. attribuito a Dom Adson De Melk, poi tradotto in francese dall’abate Vallet nel 1842, fu tratto il soggetto de “Il Nome della Rosa” di Umberto Eco edito in prima edizione da Bompiani nel 1980.

E’ un eruditissimo e raffinato romanzo nel quale si mischiano lo stile di narrazione storico teologico, con il ritmo mozzafiato del racconto giallo-mistery di tipo neogotico.

L’uso esasperato della lingua latina disseminata per tutto il percorso del libro e la perfetta ambientazione storica, ricostruiscono in modo mirabile l’atmosfera del tempo e il Medioevo come per incanto si fa coevo; infatti, il lettore subisce sin dalle prime pagine, una sorta di distacco spazio-temporale, un cambiamento di dimensione, un rapimento cosmico. Infatti sembrano scorrere davanti i suoi occhi architetture e paesaggi medievali: la vita quotidiana di un’abbazia, gli amanuensi al lavoro nello scriptorium, intenti alla trascrizione dei codici, le raffinate miniature dal caldo impasto cromatico, il disegno fantastico dei bassorilievi. Le immagini ci richiamano la storia tragica e appassionante del 1300: i prestigiosi ordini monastici, lo spostamento della sede papale da Roma ad Avignone, i difficili rapporti tra Papato e Impero, i processi con i terribili inquisitori, la corruzione del Clero e le condanne degli eretici al rogo.

Il testo nella forma è in gran parte una sorta di grande deduzione filosofica sulla logica della religione medievale, ma nella sostanza il lettore ritrova chiare le tracce del romanzo storico, in quanto gli eventi interni della vicenda sono legati in modo forte con i processi storici in atto.

La linea della trama è scandita da una voce narrante che si inserisce tra un dialogo e l’altro, una sorta di cronista dell’epoca: appunto quella di un ormai anziano Frate Adso, il quale, quasi alla fine della sua esistenza, si ritrova a dover descrivere l’incredibile avventura da lui vissuta durante il periodo del suo noviziato. E’ un indagine a 360 gradi condotta mirabilmente da un ex inquisitore, il monaco minorita inglese con la passione per l’investigazione, frate Gugliemo da Baskerville, incaricato di scoprire, con l’ausilio appunto dell’allora giovane monaco benedettino Adso da Melk, le morti sospette in una non bene precisata abbazia del Italia centro settentrionale. La grandezza dell’autore, secondo me, è quella di riuscire a collocare il lettore, al centro della scena; e sotto la sua attenta regia, i fatti si svolgono in modo sincrono e a fasi concentriche intorno a colui il quale legge; sullo sfondo il dramma: la disfatta del cattolicesimo sotto la scure e i roghi dell’inquisizione ma anche una feroce critica all’ortodossia fondamentalista dei Signori della fede, gli stessi inquisitori non immuni da scandali a sfondo sessuale e feroci lotte di potere. Il centro della scena è la biblioteca del convento, luogo blindato e circoscritto, protetto da un’intricata e fitta rete di labirinti dove sono custoditi manoscritti rarissimi e libri proibiti di varia provenienza e nella quale è rinchiuso il terribile segreto del FINIS AFRICAE. Lo stile del racconto e del tipo logico deduttivo, i monologhi di Guglielmo volutamente capziosi e fin troppo profondi quasi esasperanti per un lettore poco paziente, rappresentano una fine metafora tra l’investigazione di tipo poliziesco che ha come fine la ricerca della verità e del colpevole e l’investigazione del filosofo che ha invece come scopo la ricerca del significato dell’uomo e della sua esistenza.In conclusione direi che Il nome della rosa è certamente una delle ultime opere letterarie che si possano definire classiche.

Grazie alla stupefacente organizzazione della trama, agli eruditi approfondimenti in campo storico, filosofico e linguistico, e alla capacità di rendere collegate in un perfetto unicum tutte queste materie, e ancora per questa grand’energia vitale che emana è riuscito ad avere un grandissimo riscontro di pubblico in tutto il mondo; infatti, insieme a Il Gattopardo di G. Tomasi di Lampedusa è il libro italiano in assoluto più tradotto, ammirato e venduto all’estero; va ricordato ancora che da libro fu tratta nel 1986 una celebre versione cinematografica con la regia di Jean Jacques Annaud e la consulenza del celebre medievalista Jacques Le Goff interpretata da un grande Sean Connery nei panni di Frate Guglielmo. Ci sarebbe ancora tantissimo da dire, soprattutto svelarvi il nome del colpevole se mai un colpevole esista, ma non sarebbe corretto; il mio consiglio è “Andatevelo a leggere” … se volete respirare le nebbie del Medioevo.

ANTONELLO DE STEFANO

Dottore in Lettere Moderne

Cosenza 25/04/2002