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Può una mente geniale perdersi e ritrovarsi grazie a formule matematiche?



Vincitore di quattro premi Oscar



Cosa accade ad una mente geniale quando scopre che metà della sua vita non è reale ma esiste solo nella sua immaginazione?

A Beautiful Mind racconta la vita di John Nash geniale matematico afflitto da una gravissima malattia mentale quale può essere la schizofrenia a cui, ironia della sorte, venne assegnato il Nobel in economia nel 1994 per la teoria dell’equilibrio.

E sicuramente grande equilibrio lo mostra il regista Ron Howard che sapientemente dosa reale e non reale, tanto bene che per oltre la metà del film lo spettatore fa fatica a riconoscere ciò che è reale da ciò che non lo è, proprio come il dott. Nash.

Ma al cinema come si fa a distinguere il reale dal non reale, il vero dal falso?

La schizofrenia è la malattia del doppio, ma l’arte cinematografica non consiste proprio nella rappresentazione del doppio?

Chi è John Nash? Un geniale scienziato utilizzato dai servizi segreti americani per decodificare pericolosi messaggi russi, oppure un bizzarro professore di matematica afflitto da manie persecutorie?

John Nash (interpretato da Russell Crowe) è attore e spettatore della propria esistenza, di una vita sdoppiata al limite del verosimile, in cui alcuni personaggi prendono forma e si lasciano vedere solo dai suoi occhi e dai nostri, coinvolgendoci nell’intrigante gioco tra vero e falso, reale e immaginario.

Il personaggio Nash è il narratore, autore di una complicata storia fatta di intrighi e di ricatti che vede coinvolti una “eminenza grigia” (così lo definisce John) il suo compagno di stanza del college e la nipotina.

La figura del bambino nel cinema (sin dai tempi del Neorealismo) ha sempre rappresentato lo sguardo puro portatore di verità e non è un caso che sia proprio la bambina (a questo punto ci piacerebbe sapere se è una trovata degli sceneggiatori o se era davvero presente nella mente dello scienziato) ad illuminarlo, quella bambina che, nonostante gli anni che passano “non può essere reale perché non cresce”, urlerà John alla moglie che aveva deciso di abbandonarlo al suo destino.

Da quel momento ignorerà quei personaggi che verranno relegati al ruolo di Spettatori, a cui lui non rivolgerà più la parola, ma che continueranno ad essere comunque presenti e quindi reali solo ai suoi occhi e ai nostri.

Per quasi tutta la durata del film (sapientemente diretto)ci si continua a chiedere cos’è finzione? Cos’è reale?

Per lo schizofrenico tutto il reale percepito passa attraverso il suo mondo immaginario, al cinema tutto il reale percepito passa attraverso la forma immagine.

Ma l’immagine cinematografica come diceva Edgar Morin “non è solo il punto d’incontro tra reale e immaginario ma è l’atto costitutivo radicale e simultaneo del reale e dell’immaginario…” è l’immagine di un’immagine: è cinema, dove “l’unica realtà di cui siamo sicuri è la rappresentazione, cioè l’immagine, cioè la non realtà”.

Marilena Dattis

Massimo Morrone