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LE SCUSE DELLA CHIESA AL FILOSOFO DI ROVERETO

Nato da nobile stirpe, sul finire del XVIII secolo a Rovereto, (a quei tempi dominio dell’Impero Asburgico), si dimostrò ben presto folgorato dalla Divina Ispirazione. Annotava, ancora sedicenne, nel suo diario nel 1813: “Questo fu per me un anno di grazia: Iddio mi aperse gli occhi su molte cose e conobbi che non era altra sapienza che in Dio”.

Da quel momento il Rosmini vide dispiegarsi nella sua mente un progetto molto chiaro: non bastava più dar fiato al Cristianesimo attraverso la dottrina filosofica dei Padri, bisognava saper cogliere e interpretare i segni dei tempi, riscoprendo le fonti bibliche e patristiche come volano per un cattolicesimo più aderente alle particolari esigenze del momento storico vissuto.

Ordinato sacerdote nel 1821, si laureò in Teologia a Padova l’anno seguente e, pur continuando ad approfondire gli studi filosofici, a testimonianza di quanto anzidetto, fondò nel 1828 “l’Istituto della Carità” sul Calvario di Domodossola, meglio conosciuto come “Congregazione Rosminiana”, approvata definitivamente da Papa Gregorio XVI nel 1839.

Un’Opera che si prefiggeva di estendere la Carità senza limiti precostituiti, ove ve ne fosse bisogno: da qui la nascita di scuole e collegi ma anche di missioni e di diverse forme di opere sociali.

Il pensiero del Rosmini fu tradotto in strumento divulgativo nel suo “Nuovo saggio sull’origine delle idee” che lo rese famoso nel mondo cattolico a partire dal 1830, anno della pubblicazione. Lo scopo era quello di far capire che non si poteva trascendere dall’origine del pensiero (la filosofia), ma , che la stessa, era pressoché sterile se non calata in un contesto di risoluzione dei problemi posti dalla società.

Allontanato dalla sua Rovereto nel 1835 per ordine dell’autorità imperiale in seguito ad una commemorazione di Pio VII considerata antiaustriaca, si trasferì definitivamente a Stresa ove ebbe modo di confrontarsi con illustri contemporanei come Ruggero Bonghi, Gustavo di Cavour e, soprattutto, Alessandro Manzoni che si apprestava alla stesura definitiva dei Promessi Sposi.

Ma il Rosmini poteva godere anche della simpatia del Papa Pio IX che, costretto però a rifugiarsi a Gaeta (siamo nel 1848), non poté trattenere le critiche dell’ambiente ortodosso vaticano seguite alla pubblicazione di due opere ritenute “rivoluzionarie” (e lo erano davvero!): Le Cinque Piaghe della Santa Chiesa e La Costituzione secondo la giustizia sociale; critiche che sfociarono l’anno seguente nella messa all’Indice.

Nulla poté l’anziano Pontefice per impedire che gli ambienti più retrivi del cattolicesimo attaccassero ripetutamente il Rosmini.

Ma perché tanto clamore? E’ presto detto: le 5 piaghe erano, nell’ordine: la separazione del clero dal popolo; l’inadeguatezza culturale e spirituale del clero; le divisioni tra i pastori prodotte dalle ricchezze e dallo spirito di dominio; l’abbandono delle nomine vescovili ai poteri civili; il cattivo uso dei beni ecclesiastici.

Si può immaginare allora l’origine di tanta avversione: Un’opera che tuttavia lanciò il Rosmini nel novero della Storia della Chiesa come precursore di “quell’aggiornamento” che vide nel Beato Giovanni XXIII l’ideale testimonio, capace di concretizzare nel Concilio Vaticano II le geniali intuizioni del nostro.

Oggi, a distanza di più di un secolo, le piaghe ancora resistono ai tentativi della Carità di rimarginarle, ma certamente possono contare su un rinnovato lenimento che passa anche e soprattutto attraverso la capacità della Chiesa di saper riconoscere le colpe del passato in spirito di umiltà non già di umiliazione.

La scuse formulate all’indirizzo del Rosmini non solo aprono la strada ad un possibile processo di beatificazione ma, soprattutto, riconciliano la Chiesa Cattolica con il proprio passato, consentendole di camminare sulle vie della storia come Mater et Magistra, Maestra di perdono e di pace.

PINO BARBAROSSA

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