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Con queste parole il Presidente del “Brutium”, prof. Gesualdi, ha inteso commemorare nella sala del Trono di Papa Innocenzo XII a Roma il giornalista calabrese Mario de Gaudio
scomparso nell’Aprile del 2000.

Nato a Francavilla Marittima nel 1928, fin dal ’51 ha svolto, a Roma, l’attività di giornalista professionista, prestando servizio al quotidiano romano “Il Messaggero”, prima come Capo del Servizio Esteri poi come Redattore Capo ed infine nella Direzione del giornale.

Esperto dei problemi del Sud America , ha seguito le drammatiche vicende del Cile. E’ stato il primo giornalista a raccogliere le vicende e la storia di Allende e delle sue ultime ore, dalla moglie signora Busi, fuggita a Roma un’ora dopo il suicidio del marito. Ha svolto anche l’attività di inviato speciale in Romania ed in Russia raccogliendo le voci del dissenso, che portarono alla caduta del muro di Berlino.

Poeta e scrittore, ha vinto per la poesia il Premio “Palazzeschi” nel 1976 e quello di “Terracina”.

Ha pubblicato libri di poesie:

    • Voci di un giorno (1948)
    • Quattro tempi d’amore (1964)
    • Sinopia (1979)
    • Memoria di Stjbe (1988) con prefazione di Ferruccio Ulivi e Giacinto Spagnoletti.
  • Il prof. Ulivi annota: “De Gaudio evoca un “ritorno arcaico” che non è semplicemente dettato dall’affetto per il natìo luogo, ma significa un riattingere la radici dell’essere, con lo scopo che si rinnovi, a caso vergine, il tessuto delle emozioni elementari”.

  • Il prof. Spagnoletti rileva che “s’intona al richiamo di un tempo immemoriale la straordinaria immagine della sacerdotessa sepolta da duemilaottocento anni nella torre di Macchiabate. Una sopravvivenza non solo spirituale ma fisica, perché così la memoria del de Gaudio l’ha desiderata ed inseguita. Naturalmente Stjbe non è che un simbolo avvertito dal bisogno di recuperare il senso di un’antica civiltà, nel caso specifico di una civiltà per eccellenza greca sulle rive dello Jonio, a cui guarda il paese natale”.
  • Rosso del braciere (1997). Nella prefazione del prof. Giorgio Barberi Squarotti si legge: “La raccolta poetica di Mario de Gaudio è divisa in due parti, fra loro complementari, ma diverse come strutture, modi, linguaggio: la prima di tono lirico-narrativo, come evocazione d’infanzia e di adolescenza del paese calabro: la seconda di malinconica contemplazione del tempo che passa, della vecchiaia che incide i suoi segni sui volti e sulle cose, della memoria calda e innamorata del cuore (…). Ci sono poi nella raccolta anche testi di religiosa pensosità (bellissime, in questo ambito, le poesie Vigilia di Natale e Pasqua di Resurrezione “.

Per la narrativa ha pubblicato:

        • Dolcedorme (Romanzo dal quale la Rai ha tratto uno sceneggiato radiofonico). Il libro ha ottenuto la selezione del Viareggio e l’opera prima del Villa San Giovanni nel 1976. Nella prefazione G.Selvaggi mette in risalto la “chiarezza del linguaggio la cui sintesi è la poesia “.

    • Solleone (1983) . Ha vinto il Premio Ragusa 1984. Nell’introduzione di Alberto Bevilacqua si legge : “De Gaudio è un favolista che, col candore che compete alla sua vocazione , applica qui i primi meccanismi fantastici ad una storia affondata nel quotidiano e nel domestico, convinto che giocare con la fantasia sia alla portata di tutti a cominciare dai suoi personaggi. Il tema di Solleone è questo: rivendicare all’immaginazione lo spazio che deve avere nella vita di ciascuno”

    • Il santuario della terra (1990), ha vinto il Premio Graniti –Taormina e il “Montalcino”. G.Bonaviri nella prefazione annota: ” il libro si può considerare scritto con una scrittura a “vortice” per tanti supposti, o reali, movimenti animatori che finiscono con un’apparente gita turistica , in Grecia, anzi nei luoghi classici dell’antica Ellade. Nel ritorno all’indietro , de Gaudio vuol ritrovare il proprio funicolo ombelicale nei miti e nelle tragedie , risolti in modo onirico nelle ultime battute del romanzo, della Grecia arcaica , che veramente è Calabria ellenizzata”.
        • Fontanavecchia (1993). Raccolta di 13 racconti che si ispirano a personaggi del paese natìo. Nella prefazione il prof. Barberi-Squarotti rileva che “i personaggi di Fontanavecchia sono pressocchè tutti strani, bizzarri, segnati da un’orma appena oppure da una profonda ferita di follia, dovuta all’ossessione di un impulso, di un sentimento, di una mania, di una disgrazia. Circola una perenne inquietudine nelle anime dei personaggi di Fontanavecchia (…). Siamo di fronte a un’opera che congiunge la misura breve e nervosa del racconto con la continuità del romanzo. E’ anche questo il segno dell’impegno di reinvenzione del genere che de Gaudio ha esemplarmente compiuto”.

    • La Fanciulla di Nazareth (1991). Dramma sacro, presentato dal prof. Gennaro Savarese, il quale scrive: “La maggior novità del libro di De Gaudio nei confronti di questa usatissima materia è proprio nella nuova angolatura nella quale è posta la figura di Giuseppe. Tutto ciò che riguarda Maria, infatti, è per così dire già edito, anche se all’autore va riconosciuto il merito di aver abilmente radunato sotto il momento gaudioso di annunciazione e maternità divina l’intero tema della Mater dolorosa e la restante mitologia mariana , riproposta nei momenti consacrati da una secolare tradizione letteraria e artistico-figurativa”.
    • Le Acque del Giordano (1999). Ultima pubblicazione che immagina la visione poetica della Teofania. Padre Stefano Flores nella premessa scrive : “Non accade spesso d’imbattersi in pagine così altamente liriche e profondamente religiose come quelle dedicate da Mario De Gaudio alle acque del Giordano… Qui si uniscono letteratura e religione, bello e mistero, fede e cultura. Le visioni unilaterali fanno posto a una prospettiva di sintesi, l’imperialismo della ragione si lascia sconfiggere da un sentimento olistico dove il tutto diviene la struttura e l’ambiente di ogni frammento…”

Mario de Gaudio è stato, tra l’altro, Presidente del centro Studi “Corrado Alvaro” di Roma, ha organizzato Convegni e Seminari con il patrocinio del Ministro dei Beni Culturali. E’ stato anche Ispettore Onorario per le Zone Archeologiche di Timpone della Motta.

Hanno scritto della sua opera: Mario Donadoni, Giorgio Petrocchi, Valter Pedullà, Antonio Piromalli, Antonio Altomonte, Alberto Bevilacqua, Maria Luisa Astaldi, Carlo Sgorlon, Libero de Libero, Raoul De Angelis, Renato Minore, Massimo Grillandi, Erardo Miscia, Pietro Cimatti, Costanzo Costantini, Vittorio Vettori, Cesare Marchi, Brunello Vandano, Giuliano Manacorda, Walter Mauro.