Posted on

Una “summa” per acquisire la capacità di vedere negli errori, una opportunità per “crescere”.


 

Caro “doc”, tante volte ti riferisco con fastidio degli errori che commetto, di esperienze non positive e tu mi fai notare sempre che si tratta di esperienze utili perché, grazie ad esse, emergono miei problemi: in questo modo, puoi aiutarmi a risolverli. Da cosa dipende questa reazione di fastidio di fronte ad un’esperienza negativa, che non vedo solo in me, ma anche in altre persone, e come fare per riequilibrarsi e trarre beneficio da queste vicende per il futuro?

Sono due domande ma si può dare un’unica risposta. Dipende dalla convinzione, legata a ciò che ci hanno fatto credere, di non poter sbagliare e di dover essere sempre adeguati alle richieste che ci provengono dal mondo esterno. Ci inducono a pensare di non poter sbagliare. Questo noi cominciamo a capirlo sin da piccolissimi, quando veniamo “ripresi” di fronte a comportamenti legati all’età, per cui molto spesso non ottimali rispetto alla migliore soluzione possibile, di fronte ad un gioco, di fronte ad un’attività sportiva, di fronte al rendimento scolastico, di fronte alla necessità di adeguarsi ai tempi degli adulti, che sono molto più veloci di quelli dei bambini (per cui, da piccoli, veniamo strattonati, veniamo spinti ad accelerare tutte le nostre attività). Quindi, fin da giovane età, ci creiamo la convinzione di essere sostanzialmente inadeguati rispetto a tante richieste. Man mano che procediamo nel corso della nostra vita, sono numerosi gli esempi che ci portano a concludere che non ci possiamo permettere di sbagliare perché, in quel caso, veniamo costantemente ripresi e redarguiti da persone, però, che hanno subito lo stesso trattamento che impongono agli altri.

La verità dov’è?

La verità sta nel fatto che ognuno ha il diritto-dovere di sbagliare, capendo, però, qual è la motivazione dello sbaglio per poter usufruire dell’esperienza. Con quest’apertura mentale è possibile ridurre il margine di errore facendo tesoro di quanto accaduto. Temendo di allontanarci dalla strada corretta non possiamo, invece, ricavare dati utili da ciò che non va perché, quando commettiamo un errore, tentiamo a tutti i costi di dimenticare l’evento fallace e, quindi, non possiamo trarne nessuna indicazione positiva. Operando in questo modo, gradualmente si cerca di ridurre anche le proprie esperienze di vita, al punto tale da evitare al massimo occasioni di scambi interpersonali, lavorativi e quant’altro, correndo il rischio di chiudersi in casa. E’ ovvio perché se sbagliando soffri, in quanto ti senti sminuita nelle tue capacità e nella tua stima, non vedi il fallo come un’occasione per crescere, ma come un’autocondanna, inceppando l’idea di operare.

E sto continuando a fare così?

In parte, anche se meno di prima. Allo stato attuale, ogni volta che subisci frustrazioni da attività lavorative o anche da rapporti con altre persone del mondo esterno, a volte assorbi e metabolizzi, altre volte prima ti arrabbi per aver subito quella frustrazione e poi, per protezione, ti impedisci di farne altre, quindi produci delle fobie che non ti consentono di uscire di casa. Ecco perché la fobia è una paura immotivata, perché dietro nasconde altre motivazioni. Se tu scopri le vere motivazioni non puoi più produrre questi disturbi, perché ti prenderesti in giro da sola. Tu devi credere nella fobia, cioè devi credere veramente che esiste la possibilità che se esci ti senti male; nel momento in cui smascheri “il teatrino”, il tuo inconsapevole non ha più una motivazione per produrla.

Ma io lo so che è un pericolo che non esiste.

Lo sai, ma lo temi lo stesso perchè temi il tuo mondo inconsapevole; però, quando hai chiarezza, perché qualcuno ti fornisce spiegazioni convincenti (come sto facendo io, in questo momento), ti occuperai semmai di lavorare sul problema a monte, cioè il non concederti di sbagliare, il rifiutare di accettare che tu possa sbagliare e di trarre giovamento dall’errore. E’ su quello che bisogna lavorare, non sul convincerti che la fobia non esiste, è tempo perso.

Ma più che per timore di sbagliare, io a volte non agisco per paura di non reggere le frustrazioni.

Non le reggi perché non accetti l’idea di sbagliare. Sei stata condannata spesso nella tua vita per errori che hai commesso, ma soprattutto hai sentito e hai visto spesso persone condannare gli errori degli altri e ti sei convinta che avessero ragione. Ecco perché non tolleri le frustrazioni, perché non tolleri l’errore.

Se accetti l’errore, la frustrazione di per sé si riduce notevolmente di intensità.

Tu immagina la frustrazione come un’onda di pressione, che può innescare delle mine che esplodono. Se le mine esplodono si crea un’onda di contropressione, si scontrano queste due onde e creano una detonazione. Una cosa simile accade nei motori a scoppio quando si dice che si “battono in testa”. Questo fenomeno si determina perché, quando scocca la scintilla della candela, la benzina non esplode, uniformemente, dal centro del cilindro verso la periferia, ma si accende in punti diversi e distanti fra loro. Questo crea tanti fronti di fiamma e di pressione che, quando si scontrano formano delle multidetonazioni col classico battito in testa, che può portare anche alla perforazione del pistone. Però, nel tuo caso, se accetti l’idea di poter sbagliare, l’onda di pressione della frustrazione non fa scoppiare mine all’interno, quindi passa e si “dissolve”.

Ma in me è tanto radicata quest’idea? Te ne ho parlato tante volte!

Tu, purtroppo, sei nata e ci sei cresciuta in un ambiente che condanna gli errori.

Ma il fatto che sia normale sbagliare da cosa deriva? È una carenza di maturità o fa parte della natura umana per cui quando si fanno esperienze, specie se nuove, è da considerare la possibilità di sbagliare?

L’errore consegue alla profonda ignoranza di cui tutti siamo afflitti, perché ogni essere umano ha potuto produrre in termini di conoscenza ben poco rispetto a quello che c’è da sapere. E’ una questione di tempo. L’essere umano esiste da poco tempo rispetto all’Universo e, di conseguenza, ha tanto da imparare… ancora!

Ma questo, consente di vivere in una maniera adeguata? Visto che comunque siamo ignoranti, per quante conoscenze potremo raggiungere, non potremo mai….

…non acquisiremo mai tutto quello che potremmo sapere, o, per lo meno, non sappiamo fra quanto tempo acquisiremo tutto. Non acquisire mai significa escluderci la possibilità, e se noi escludessimo questa possibilità avremmo i dati a sufficienza per sapere che effettivamente non lo raggiungeremo mai, allora non saremmo così ignoranti.

Ma non lo sappiamo, se e quando si raggiungerà.

La risposta più corretta è che non sappiamo quando raggiungeremo tutto ciò che c’è da sapere. Ecco perché bisogna vivere nel relativo del tempo storico in funzione delle nostre capacità sviluppate, accettando l’idea di poter sbagliare per poter acquisire dati esperenziali.

Ma in questa condizione che caratterizza le persone di quest’epoca…

..di quest’epoca, di quella passata e di tante altre che verranno.

Come si fa, in queste condizioni, a vivere in modo adeguato tutte le situazioni, per condurre una vita soddisfacente?

Te l’ho spiegato prima: imparando ad usare bene la propria personalità, cercando di lasciarsi consigliare dalla logica, sperimentando le occasioni di vita ed osservandole come opportunità per continuare a crescere, anche e soprattutto attraverso gli errori, perché questi ultimi sono il frutto di valutazioni non corrette, o per mancanza di dati o per disturbo durante gli elaborati. Già, ad esempio, domandarsi se si è sbagliato per mancanza di dati o per disturbo degli elaborati ci porta a migliorare.

Devo abituarmi a questo nuovo modo di pensare.

Passando ad un altro argomento, a proposito della necessità di avere sempre degli obiettivi, di dare sempre uno scopo alla vita, ieri ho sentito in una trasmissione un professore che si lamentava per il fatto che, alla sua età (avrà avuto circa 60 anni), non riceveva più ‘molestie’ sessuali da parte di persone dell’altro sesso, aggiungendo che senza queste ‘molestie’, che rappresenterebbero il sale della vita, la vita si ridurrebbe ad una situazione piatta, ad un dover rispettare le regole. Io ho pensato che questa persona non sapesse cosa rende gratificante la vita, oltre agli aspetti sessuali e non so cosa intendesse per molestia, perché la molestia, di qualunque tipo, è di per sé una condotta fastidiosa. Quel soggetto era proprio “fuori”!

Appunto. La molestia sessuale non è detto che ti porti una gratificazione. Non ti so dire quali siano le motivazioni per cui lui ha espresso quel tipo di pensiero. Sembra che non conosca quali siano i bisogni primari da appagare per dare un senso alla vita. Dare uno scopo alla vita fa parte di tutto quello di cui abbiamo parlato fino ad oggi: gli obiettivi a breve, a medio e a lungo termine.

Ma si possono creare solo se una persona conosce gli standard del benessere?

Nel nostro incontro precedente, in cui abbiamo parlato di quali sono le necessità da appagare per sopravvivere, per rendersi la vita più comoda o anche per compensare le eccessive frustrazioni, ci sono elementi più che sufficienti per riuscire a darti una risposta.

Ma gli scopi comunque si realizzano dopo che una persona inconsapevolmente ha fatto propri, quei dati che si riferiscono ai bisogni? Non è che ci si può mettere a tavolino per scrivere cosa fare per autoaffermarsi, autostimarsi, ecc.

Si può consapevolmente riuscire a capire sempre di più il concetto di autoaffermazione, poi è a livello inconsapevole che scegli il sistema mediante cui autoaffermarti, altrimenti la tua vita non sarebbe libera, ma frutto di autocontrollo e autoimposizione.

Ma l’autocontrollo, l’autodisciplina, l’autogestione non hanno valenza positiva?

Sì, ma non se li intendi e li vivi come un’autoimposizione.

Io continuo, almeno in parte, ad usare questo sistema, cioè mi impongo di fare delle attività, per il lavoro e per lo studio, anche perché ho difficoltà a capire quello che mi va di fare.

Cerchiamo di definire correttamente i termini in questione:

Autodisciplina: disciplina deriva dal latino discipulus cioé modo o regola di insegnare; di conseguenza autodisciplina significa dare a se stesso un modo o una regola, insegnandosela.

Autocontrollo: controllo deriva dal francese contròle – da contre role- significa riscontro o verifica; quindi autocontrollo significa imparare a riscontrare e verificare la qualità dei propri pensieri. La logica determina l’autocontrollo.

Autocomando: dal latino cum mandare, affidare la responsabilità di qualcosa a qualcuno. Allora autocomando significa affidare a se stessi la responsabilità della gestione di una vita corretta.

Autogestione: dal latino gestionem, operare, amministrare, cioè amministrare se stessi con le conoscenze corrette che ci consentono di imporci disciplina e regole adeguate per raggiungere un obiettivo, il tutto verificato con riscontro di logica.

Ma il darsi delle regole da soli perché non è imposizione?

Dipende dalle regole: se tu ti rapporti alle regole naturali ti rendi conto che non puoi fare a meno di osservarle perché, altrimenti, o non vivi proprio o vivi male. Di conseguenza non è un importelo, ma un capire come si fa a vivere meglio.

Allora la mia difficoltà è dovuta al fatto che io non vivo, per molti aspetti, conformemente alle leggi di natura e, quindi, mi impongo di fare qualcosa in momenti in cui non sono disponibile o che non andrebbe fatta!

Ma soprattutto perché tu ti imponi delle regole sociali che hai visto applicare nella tua famiglia, quindi le hai ritenute corrette. Facendo ciò, ti allontani dalle regole naturali, che prevedono, innanzitutto, il rispetto di te ed il mantenimento del tuo stato di salute.

"La prima volta che mi offendi la colpa non è mia, la seconda volta che mi offendi la colpa è soltanto mia". Cosa vuol dire?

Basta vedere il concetto di autogestione. Se io non mi rendo conto che frequentandoti prendo frustrazioni e continuo ad avere a che fare con te, tutte le volte che mi darai fastidio la colpa sarà mia, non più tua perché sono io a dover capire che è meglio non frequentarti oppure farlo a certe condizioni, stabilendo di scambiare solo su certi punti e non su altri.

Ma questo si può realizzare senza fornire tante spiegazioni?

Non è possibile dare una risposta in due parole, ne abbiamo parlato tanto. Devi scegliere una strategia adeguata a seconda della persona, a seconda di quanto ti interessa, a seconda della tua capacità di quel momento di assorbire frustrazioni e a seconda dell’obiettivo che ti poni.

Quindi, non c’è una regola generale.

La regola principale è difendere te stessa, però se vuoi raggiungere degli obiettivi specifici anche sopportando una persona puoi difendere te stessa. Se l’obiettivo riguarda bisogni indispensabili, ad esempio non hai cibo e ti trovi in una condizione di inferiorità e chi ti dovrebbe dare da mangiare ti maltratta, tu subirai i maltrattamenti e…addirittura…mostrerai gradimento nei suoi confronti: come vedi è un concetto relativo e non immune da errori!

Ho letto che ognuno "vive come può e non come vuole"? Questa affermazione contrasta con quanto abbiamo detto?

Niente affatto! Ci si riferisce al concetto di adattamento rispetto alle modificazioni che il mondo esterno ci “impone”: ne abbiamo parlato a lungo, in precedenti occasioni, soprattutto nei dialoghi riguardanti le frustrazioni.

Ciao, a presto!

Beh, era ora, pensavo che non terminassi più!

 

G. M. – Medico Psicoterapeuta