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SFPID – 20

Risulta complesso trattare di argomenti che, pur conosciuti ed estremamente evocativi, si contraddistinguono per una vastità tale di dati e nozioni che non basterebbe una vita intera ad inquadrarli all’interno di una cornice teorica di riferimento seriamente esaustiva.

Dalla filosofia alle scienze sociologiche, pensatori di ogni genere hanno dato il contributo personale per l’emergere di una chiarezza di intenti e di definizione, ma in realtà ognuno, infine, tira l’acqua al mulino suo; a meno che non si incontri chi utilizza questi principi per aiutare il sofferente, allora la cornice funge da sfondo per un principio etico e pragmatico, ma a questo livello non si tratta più, maggiormente, di contenuti, quanto di finalità, e allora l’attenzione si sposta di almeno novanta gradi.

Dunque infine è il caso di proporre un quesito: si cercano contenuti? Percorsi storici? Possibilità applicative? Voli metateorici pindarici? Chiarezza?

E’ difficile fare chiarezza laddove gli argomenti non lo sono, o perlomeno la chiarezza viene dalla scomposizione dell’argomento in camere stagne, e questo rappresenta il limite e lo strumento più potente al contempo dell’indagine scientifica.

Ognuno sa qualcosa e mette del suo, finché non ci si riunisca in assemblea a sintetizzare le scoperte.

Io so poco di religione, quel quid che salva la faccia.

So qualcosa in più di sessualità, è inevitabile se si vuole sopravvivere e godere senza incorrere in malattie disastrose (e se ci si vuole divertire con maggiore consapevolezza).

Ma so qualcosa di sessualità e religione nell’ambito clinico analitico, laddove questi loculi vengono espressi non di rado e talvolta rappresentano il problema, il sintomo.

In casi non eccezionali di delirio schizofrenico o di disturbi di personalità borderline la religione e la sessualità divengono una cantilena ossessiva od un agito compulsivo comportamentale, io stesso in Comunità Psichiatrica ne ho veduti in gran quantità; e ciò non può essere un caso, almeno statisiticamente esiste una rilevanza numerica degna di nota; qui mi interessa il perché, il nesso causale, la formula eziologica; sì da trarne spunto per una riflessione metateorica e, di conseguenza, clinica.

X pensava di essere Dio o chi per lui, ed era assorto continuamente in letture bibliche; in Comunità la bibbia era il suo tabù, un’astinenza forzata e dolorosa; è facile che la volontà di potenza di adleriana memoria si tramuti in volontà di onnipotenza, e proprio lì dove gli educatori hanno insistito perché avvenisse il miracolo della crescita perfetta. Diventare direttamente Dio appare come la scelta più intelligente e veloce, non possiamo che sottoscrivere.

Mi ricordo di Y, che un giorno era il contrario del giorno prima, senza finalità né motivazioni, tranne quella di essere fecondata da uomini inadatti; sessualità stravagante ed agiti bizzarri, o mancanza di coordinate egoiche anche laddove un bisogno primario reclama soddisfazione?

Z voleva fare la puttana. Niente di male, se non che lo faceva gratuitamente e con i vecchi del paese; i quali, al limite, temevano il contagio della Schizofrenia.

Poi il culmine, mostrato da una giovane donna che di psicotico aveva ben poco, e neppure si è mai lamentata di sofferenza nevrotica; mi raccontava che il suo compagno si era lamentato per il mancato adempimento dei piaceri di coppia, dovuto al fatto che lei non poteva fare del sesso prima del matrimonio, andava contro i principi etici e morali che il Cattolicesimo propone; tutto ciò era il frutto di un insegnamento genitoriale condizionato da rinforzi positivi e negativi.

Dalla psicosi in virtù di un sintomo conclamato, alla nevrosi dove sessualità e religione sono mal vissute all’interno di uno schema ansioso rigido, alla normalità, laddove sessualità e religione sono giustificazioni; sembra che, a parte la sfera psicotica e quella della presunta norma, solo la nevrosi lascia ampi spazi di discussione.

E’ mio desiderio aprire una piccola parentesi, per proseguire in maniera ottimale. Se è vero, e mi allaccio alla triste storia della ragazza normale, che la religione impone dettami severi che culminano nell’orgasmo della morte sessuale, d’altro canto succede sovente che la stessa religione giustifichi atti di oscena violenza sessuale, utilizzandoli per un sacrificio di atroci dimensioni (naturalmente si osanna un demone, in questo caso, mentre nell’astinenza si osanna la divinità). E’ terribile, ne siamo certi. Ma non è terribile anche il combattere un bisogno pulsionale primario che il Creatore produsse?

Non c’è nulla di chiaro.

Da un lato si scorgono parentele e collaborazioni tra la religione e la sessualità, tra castighi e sette ed astinenza forzata di frati e civili, ove il sesso (farlo oppure non farlo) rappresenta sempre il mezzo.

Dall’altro si scorgono lontananze e titubanze, perché il servo del Signore non si può sporcare di simili bassezze.

La verità è sempre a portata di mano, ed è importante, alla luce del fatto che la patologia psichica si concretizza sovente e volentieri all’interno di queste due sfere, oppure la personalità si ghiaccia per colpa di queste due sfere; e l’abbiamo visto con gli esempi clinici. Oppure la personalità gode inesausta di tanto piacere, sorretta da una fede intramontabile che non tocca l’umano bisogno, anzi lo appoggia, laddove v’è consapevolezza che sia la religione che la sessualità vanno vissuti all’interno di un sistema naturale di riferimento, e non subiti all’interno di un sistema di apprendimenti che recano l’insicurezza peculiare dell’apparente sicurezza che dogmi infiocchettati lasciano toccare con mano, per poi svanire d’improvviso come carta al fuoco al primo momento di difficoltà.

Questa è la mia posizione, la mia vita a grandi linee.

Ma non è così per i miei amici di cui prima accennavo le sofferenze.

X era uno di quei ragazzini un po’ timidi, alla ricerca dell’approvazione genitoriale che non arriva mai; anzi, c’è frustrazione e dolore, a scuola è un asino, in famiglia non sa fare niente, e mentre gli amici se ne vanno in bicicletta è necessario che lui preghi Dio, così da diventare migliore; ogni giorno la stessa storia, nessun risultato, finché X comprende che è inutile allenarsi ancora, conviene tentare la carta dell’identificazione, e diventa Dio; i genitori sono contenti, X è finalmente qualcuno, la religione lo ha salvato; di sessualità nemmeno l’esistenza, come di tante altre cose.

Y di religione non sapeva un accidente, a scuola nessuno le aveva insegnato il valore della spiritualità, in casa era il caos ed il turbinio dei litigi e la disfatta degli affetti; piccola adolescente, il bisogno sessuale si faceva ogni giorno più veemente, e quando l’aggressività si era sufficientemente strutturata senza un’impalcatura di sostegno e di coordinamento, Y aveva agito con l’unico modo efficace a sua disposizione: la fuga. Fuggire la liberò d’improvviso dal dolore emotivo, così comprese che l’azione era la soluzione, ogni bisogno andava soddisfatto nell’immediato, inclusi i bisogni primari sessuali, senza amore poiché non insegnato.

Di Z non so quasi nulla, mi inquietava; talvolta pensavo che fare la prostituta per lei poteva essere più appagante ed edificante del nulla in cui si trovava.

La normodotata aveva genitori che andavano in chiesa tutte le domeniche, pure lei; e non avevano fatto l’amore prima del matrimonio, pure lei; ed erano convinti di avere sempre ragione e di essere persone eticamente incorruttibili, pure lei.

Dal punto di vista eziologico mi sembra che un punto sia chiaro: ognuno di questi soggetti aveva alle spalle storie di dolore, di sofferenza e di abbandono educativo; nel peggiore dei casi un apparente status sociale nascondeva le grinfie di un’educazione tanto scorretta da doverne fuggire.

Con ciò non si danno colpe né si cercano capri espiatori, ma è chiaro che la sessualità, come la religione, rientrano appieno in una sfera tanto importante che fa la bella e la cattiva vita: la sfera dell’apprendimento.

Poiché se è veritiero che l’essere umano scopre tra i suoi bisogni innati quello dell’appagamento sessuale, è pur vero che il come la sessualità viene appagata ed utilizzata risponde a modelli educativi corretti o meno, la retta via la si imbrocca o così o per caso: il sesso nello scambio dei corpi, dei sensi, nella tenerezza e nell’equilibrio del rapporto amoroso.

E la spiritualità, quell’idea di creazione e di fede che è come una pulsione permanente, energia attivante nei momenti di difficoltà, il peggiore dei nemici quando ci si rivolta contro; anche la religione assume un valore positivo e corretto alla luce di insegnamenti che costruiscono un edificio più o meno proporzionato su basi che l’essere umano, per ancestrale educazione o per volontà divina, possiede sin dalla nascita. Nella religione, nel vissuto religioso, io scorgo un equlibrio ideale tra l’aspetto qualitativo affettivo, neutrergico e quello aggressivo, ma quando gli affetti o l’aggressività la fanno da padroni, per apprendimenti sconvenienti, è un brutto affare: la religione si trasforma in un mezzo improprio, reprime tutto e soprattutto la sessualità e le diversità, oppure spinge ad agire verso le più feroci atrocità; è cosa ovvia che ciò possa avvenire in concomitanza di ulteriori avvenimenti, ma nella torta esistenziale l’apprendimento religione è una gran bella fetta.

Vivere la religiosità e la spiritualità con calda affettività e nel rispetto delle leggi naturali rappresenta la retta via di cui sopra, altrimenti son guai e nevrosi, talvolta addirittura psicosi ed alienazione.

Lo stesso discorso vale per la sessualità, laddove è lapalissiano che il sistema endocrino e quello nervoso, in sinergia con una psiche sana, danno i frutti migliore; al contrario sopraggiunge prima o poi la solita malattia mentale, in tal caso sfociante talvolta in disturbi dalla sfortunata impronta antisociale o, appunto, borderline; ma se nessuno insegna il contrario…..

Ripeto, lungi da me cercare soluzioni lineari o capri espiatori, la responsabilità infine è sempre del singolo. Ma basta guardarsi intorno con maggiore lucidità, e si nota che non è poi così complesso scorgere simili ed ulteriori carenze, o modalità disfunzionali e sovente subdole di formazione.

Da ciò si evince che, se è vero che di apprendimenti si tratta, e che l’essere umano incamera dati senza verificarli, almeno nei primi tempi della vita, allora il lavoro di educazione dell’educatore può effettivamente condurre a risultati un tempo insperati, ciò che prende il nome di psicologia della salute o, meglio ancora, di prevenzione.

Allora la sessualità verrà vissuta con il benessere e la vitalità che le appartiene, con carne e psiche; e la religiosità sarà il baluardo nei momenti maggiormente difficoltosi della vita di un essere umano; entrambi insomma si concretizzeranno quali decisivi apprendimenti, dunque adeguati mezzi nell’appagamento corretto dei bisogni umani, anziché retaggi immacolati ed infiniti di nevrosi di meschina ed atavica memoria.

Forse completamente meschina no, ma atavica di certo.

I due ambiti contengono in sé il fine ed il mezzo, nonché l’input, dal punto di vista teorico-speculativo e pragmatico-clinico.

Cominciare, almeno dal punto di vista clinico, dall’input appare la via più pratica, più praticabile, più corretta.

Ai fini di un ottimale benessere psicofisico.

La psicanalisi freudiana, in quanto dottrina che si è assunta il compito di spiegare tutto il dinamismo della vita psichica normale e patologica, investe anche problemi che rientrano nell’ambito degli studi sociologici, antropologici, storici, cercando di spiegare non solo le leggi che regolano l’attività psichica individuale, ma anche quella collettiva e dei prodotti della civiltà e della cultura: religione, morale, arte, diritto, ecc. Per quanto riguarda la religione, Freud ritiene che essa sia un’illusione, appagamento dei desideri più antichi dell’umanità; e tali desideri sarebbero quelli tipicamente infantili di sentirsi protetti contro i pericoli della vita; a sua volta, la figura di Dio, Padre ultraterreno amato e temuto, rappresenta dunque la proiezione dei rapporti psichici ambivalenti con il padre terreno.

Attraverso le osservazioni tratte dalla sua esperienza psicoterapeutica, Freud elaborò una complessa dottrina degli istinti, percorrendo le tappe dell’evoluzione della sessualità umana e soffermandosi particolarmente sulle tappe evolutive dell’erotismo infantile; distinse lo sviluppo della sessualità in quattro periodi principali: periodo pregenitale, dalla nascita fino al compimento del terzo anno, suddiviso a sua volta in due fasi: orale e anale; periodo della formazione dei complessi familiari, dai tre al sei anni, in cui acquista grande importanza il complesso di Edipo; periodo di latenza, dai sei anni sino alla crisi puberale, in cui non si hanno manifestazioni di rilievo della libido; periodo genitale, dalla crisi puberale in poi. Nella clinica e nella teoria psicoanalitiche, sessualità non designa esclusivamente le attività legate al funzionamento dell’apparato genitale, ma tutta una serie di attività, presenti sin dall’infanzia, in grado di procurare un piacere irriducibile al soddisfacimento di un bisogno fisiologico fondamentale; queste attività si ritrovano come componenti nella forma normale dell’amore sessuale. Come è stato sottolineato precedentemente, è soprattutto la scoperta della sessualità infantile che induce Freud ad allargare l’estensione del concetto di sessualità, immettendola teoricamente all’interno di ipotesi dell’evoluzione della personalità dell’individuo e di costituzione del sintomo nevrotico.

Pare ovvio che prendere in considerazione l’ambiente psicoanalitico in relazione ad argomenti di ampia portata non è semplice, risulterebbe in ogni caso non esaustivo; scegliere Freud quale autore di riferimento significa andare sul sicuro, ma non è l’unico motivo della scelta; a questo punto si impone una riflessione peculiare dell’antropologia culturale che si accorda perfettamente sia con le risultanze cliniche, sia con la teoria della psicologia del profondo di derivazione freudiana: la potenza generativa della donna è tanto importante ed esclusiva da ingenerare invidia nell’uomo; Freud ci ha tramandato una tradizione imponente dell’invidia femminile del pene, ma sembra che l’invidia maschile della maternità sia clinicamente accertata e maggiormente intensa; le religioni isolano questo potere, realmente e simbolicamente, dal potere religioso e, quindi, politico, creando apprendimenti subdolamente costringenti che per vie ataviche saranno la nevrosi collettiva, cui pochi pensatori si distaccheranno, tramite una critica indispensabile.

In conclusione, “Vorrei finire con una citazione che mi è molto cara. Aulo Gellio, nelle Notti attiche, cita il verso di un antico grammatico (…) che, in latino, suona: Religentem esse oportet, religiosus nefas (è bene essere religente, è nefasto essere religioso). Poi Aulo Gellio lo commenta dicendo che i religiosi sono quelli fanatici, mentre i religenti sono quelli moderati. A me sembra invece che sia un’altra cosa: religens-religentem è un participio presente, attivo, mentre religiosus è interpretabile nel suo valore semantico quasi come un participio passato e implica pertanto una certa passività, già una certa tradizionalizzazione e istituzionalizzazione. Alle donne, allora, sono state proposte religioni con il compito di essere religiose, molto religiose, cioè con l’invito a fungere (vale a dire svolgere una funzione) dentro questo universo. E le donne, nelle diverse tradizioni religiose, sono state davvero molto religiose, anche con grandissima creatività. Hanno avuto meno la possibilità -ma ora se la stanno prendendo- di essere religenti, ossia le produttrici attive di questo legame simbolico e religioso. Questo ha però bisogno di una precisazione. Non è vero che le donne sono state solamente tanto religiose; quelle maggiormente tanto religiose erano in realtà anche religenti, ovvero proponevano, creavano nuovi nessi; solo che non sono state riconosciute in questo; o sono state tacitate o condannate o non è stata raccontata questa loro storia. Credo che, se si interpreta la religione come religiosità, come un invito a essere religiosi, ad assuefarsi a una tradizione, a un’istituzione, le donne siano molto penalizzate. Se invece la si interpreta come possibilità e invito a essere religenti, cioè attive nel creare questo legame, credo che le donne abbiano una grande possibilità e una chance molto importante per la loro liberazione, per l’umanizzazione delle relazioni umane non solo tra donne e uomini, ma fra diversi” (da Le figlie di Abramo. Donne, sessualità e religione, Guerini e Associati, Milano 1998, pgg. 27-28).

Dal titolo del volume si evince che le Figlie di Abramo sono le donne di religione ebraica, cristiana e islamica, tre sistemi religiosi differenti che possiedono in Abramo una radice comune; il titolo, simbolico, indica una delimitazione contenutistica, e sottolinea l’ambivalenza inerente alla relazione paternità-filiazione; rapporto ambivalente poiché rinvia da un lato alla positività del generare, dell’educare, del prendersi cura, dall’altro rimanda a quegli aspetti più ostici della cultura patriarcale quali l’autoritarismo, l’abuso di potere, la codificazione dell’inferiorità civile, religiosa e morale delle donne e della loro sessualità.

Il discorso, è ovvio, si complica.

Ma ci si ferma qui, consapevoli che se le donne hanno occupato e talora occupano posizioni di rilievo nell’assorbimento di percorsi formativi scorretti, a loro spetta l’assunzione di criticità atte allo scioglimento di questioni ghiacciate.

Così all’uomo, che si adopererà in revisioni di processazioni di pensiero scorrette.

L’essere umano potrà infine godere della propria spiritualità e della propria sessualità poiché divenute cultura verificata.

E potrà godere di tante altre cose.

Dr. Alessandro Crescentini – Psicologo Psicoterapeuta ad Indirizzo dinamico

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