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Mente e dintorni è una rubrica (nata da una fortunata serie televisiva) che ci porta a curiosare nei meandri della nostra personalità, per scoprirne i segreti e capire i motivi per cui compaiono i disturbi e, ovviamente, prendere rimedio.

Perché, conoscersi, comprendersi e (soprattutto) accettarsi per potere (infine) cambiare, aiuta senz’altro a vivere meglio.

Soffrire di depressione vuol dire non desiderare più nulla, non avere la forza di cambiare. Ci sentiamo soli anche in mezzo agli altri, che spesso non comprendono la nostra sofferenza. Siamo incapaci di amare e, nello stesso tempo, abbiamo un disperato bisogno di affetto (Romano Battaglia)

La depressione è una condizione complessa e multifattoriale, il cui sviluppo è influenzato da una combinazione di fattori genetico/ familiari (perché non è stato individuato un vero e proprio gene responsabile), biologici (alterazioni di alcuni neurotrasmettitori come, ad esempio serotonina e noradrenalina o malfunzionamento di zone cerebrali per patologie di vario genere), ambientali e psicologici. 

Ma, quale che sia il fattore scatenante, moltissimo dipende da come reagisce e resiste la nostra Personalità

Esiste una forma di tristezza che nasce dal sapere troppo, dal vedere il mondo così com’è, senza veli. E, in questa consapevolezza, si nasconde una solitudine profonda. Un senso di distacco dal mondo, dagli altri… e, forse, anche da sé stessi. (Virginia Woolf)

Uno studio del 1965 condotto, alla “Hampstead Clinic”, in Gran Bretagna dagli importanti psicoanalisti Walter Joffe e Joseph Sandler su tutte le cartelle cliniche di bambini depressi, ha portato a concludere che il problema era nato per la percezione di aver perso qualcosa di essenziale per l’autostima e la sopravvivenza emotiva: tale perdita, però, non si riferiva a un oggetto o una persona quanto, piuttosto, allo stato di benessere emotivo trasmesso dall’oggetto o dalla persona.

Questa deprivazione viene vissuta come una specie di paradiso perduto, idealizzato e intensamente desiderato ma non più raggiungibile.

Il Lutto delle origini (“Così noi viviamo: per sempre prendendo congedo”)

Giusto per capire il senso di quanto è stato scoperto 60 anni fa, prendiamo spunto da quello che ha spiegato Paul Claude Racamier nel suo “il genio delle origini”: appena uscito dai cambiamenti della nascita, il neonato entra, con la madre, in una intensa relazione emotiva che serve a mantenere un accordo perfetto nel quale, insieme (madre e bambino), è come se si calassero nelle acque “amniotiche” di un lago senza increspature.

Tutto ciò, mira a ridurre fortemente le tensioni che provengono sia dalle paure interne che dalle stimolazioni che arrivano dall’esterno, capaci di incrinare questo rapporto idilliaco che crea una simbiosi in grado di determinare una ammirazione reciproca senza pari.

Guardate il bambino che guarda la mamma; guardate la mamma che guarda il bambino: guardateli entrambi (P. C. Racamier)

Ma, così come attraverso il travaglio, il bambino nasce a una vita biologica autonoma dalla placenta e dal cordone ombelicale, una forza impossibile da contrastare spinge il bambino a voltare simbolicamente le spalle alla propria madre per perderla ma, subito dopo, ritrovarla in una forma più distinta e netta.

Questo passaggio prende il nome di Lutto Originario che, come una cicatrice perenne,ci riporta (in qualsiasi fase della vita) ai primi momenti della nostra esistenza, quando abbiamo, appunto, simbolicamente voltato le spalle ad una Madre “indistinta” (una sorta di “atmosfera”) accettando di perderla ma, al tempo stesso, rimpiangendola.

E siccome nessuno potrà trovarsi se prima non si sarà perduto, ecco che, grazie a questa seconda nascita, ritroveremo una madre esterna e distinta da noi, che desideriamo e del quale, nel tempo, introietteremo ciò che ci renderà solidi e tranquilli.

Il LUTTO ORIGINARIO costituisce, quindi la traccia ardua, viva e durevole di ciò che si accetta di perdere come prezzo di ogni scoperta.

Perché nasce il problema?

Perché, l’ambiente esterno (la madre, per esempio) ha difficoltà a lasciarci “andare” rendendoci oltremodo difficile contenere la fisiologica sensazione di angoscia che diventa, a quel punto, una dolorosa agonia abbandonica.

Quindi, in base al rapporto con la separazione emotiva di chi ci sta intorno quando siamo piccolissimi, noi sentiremo un peso più o meno sopportabile verso l’idea della “solitudine”.

Ma siccome, in qualche modo dobbiamo andare avanti, ci vengono in soccorso dei meccanismi inconsci che la psichiatra Melanie Klein ha spiegato, descrivendo due famose “posizioni” mentali: la schizoparanoide e la depressiva.

Dall’incontro con la prima, nessuno è escluso. Dalla seconda, non tutti ne veniamo fuori

La radice della creatività si ritrova nel bisogno di ricostruire l’oggetto buono distrutto nella fase depressiva.”(Melanie Klein)

Con la speranza e l’obiettivo di essere stato utile per conoscere sempre meglio chi incontriamo (soprattutto quando ci guardiamo allo specchio), vi do appuntamento alla prossima puntata, nella quale capiremo il rapporto fra la depressione e le fasi  schizoparanoide e depressiva

Questo video riassume, semplificandoli, i contenuti finora espressi

Buona “degustazione”

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