Verrà il tempo in cui avremo il passo lento e le mani stanche; riposeremo seduti accanto ad incolmabili vuoti, con gli occhi persi in antiche malinconie. Avremo rughe sul viso e sull’anima; nel cuore, i ricordi di una vita da raccontare, il desiderio e il bisogno che qualcuno ci stia ad ascoltare. (Anonimo)
Cari Lettori, Herman Hesse ci ha spiegato che i poeti, quando scrivono romanzi, si comportano come se fossero Dio e potessero abbracciare, con lo sguardo, la storia di un essere umano qualsiasi, come se Dio la narrasse a sé stesso.
Noi, invece, vogliamo provare a raccontare la storia e i pensieri di ciò che siamo e rappresentiamo: non un simbolo ideale ma, piuttosto, la foto interiore di chi esiste, nella propria “semplice” complessità.
Viene da pensare che forse mai, come oggi, è difficile comprendere il valore di un “senziente” per quello che, realmente è: un tentativo prezioso è unico della natura.
Ogni uomo, però, non è soltanto lui stesso; è anche il punto unico, particolarissimo, in ogni caso importante, curioso, dove i fenomeni del mondo s’incrociano una volta sola, senza ripetizione. Perciò la storia di ogni uomo è importante, eterna, divina, perciò ogni uomo fintanto che vive e, in qualche modo, adempie il volere della natura è meraviglioso e degno di attenzione. (Herman Hesse)
È per questo che, cari Lettori, abbiamo scelto, nei tempi bui in cui viviamo, il bello che c’è (comunque) nella vita. Per poter guardare alla nostra opera per ciò che lasceremo ai nostri figli (e nipoti) come ai “Migliori anni della nostra vita”, nonostante tutto.
E ci si sovviene il pensiero di Carl Rogers, secondo cui quello che ci mantiene rinchiusi nelle nostre solitudini, è la convinzione che il nostro vero Sé (quello celato ai più) sia talmente negativo (per i tanti rimproveri subiti), che nessuno ci potrebbe amare.
E allora, come facciamo a capire come impegnare il tempo dividendolo, per amore, fra noi stessi e il mondo “di fuori”, quello che, spesso, proprio non ci capisce?
Forse, inconsapevolmente, fuggiamo dal rischio di renderci conto che la scelta è fra il soffrire sapendo “perché” (durante quel bell’andare che è l’esistenza terrena), e il portarsi in giro come un non vedente guidato dal suo cane.
L’arte della vita, sta nell’imparare a soffrire e nell’imparare a sorridere (Herman Hesse)
A quali condizioni si può affermare di condurre una vita “piena”, riuscendo a combattere il tedio del quotidiano?
Prima che Renato Zero iscrivesse nell’albo dei ricordi indelebili il suo “grido”, “I migliori anni della nostra vita” è stato un film (inserito nei migliori 100 del mondo) girato nel 1946, negli USA.
Finita la seconda guerra mondiale, tre combattenti tornano a casa ma, il rientro nella vita civile, è difficile: Homer, invalido, non vuole la pietà della fidanzata; Al si sente un disadattato e Fred scopre che tutto ciò per cui ha combattuto, in realtà, è di uno squallore inaccettabile.
Cari Lettori, cI rendiamo conto del fatto che, di argomenti simili ne abbiamo trattato tante volte.
Eppure, ogni volta che, dopo una settimana impiegata a combattere per superare ostacoli che si frappongono all’obiettivo (dare un senso alla vita), i rari momenti in cui, liberi da impegni lavorativi, dovremmo capitalizzare il piacere di stare con noi stessi… ecco che ci ritroviamo nel dubbio di aver sbagliato strada, col fastidio di avere sempre meno tempo a disposizione.
Quindi, c’è ancora tanto da dover capire!
Proviamo a dare un senso al testo musicale di Renato Zero, composto nel 2004 e inserito nell’album “figli del sogno”. Titolo metaforico che sta a significare che abbiamo bisogno di interventi onirici, per sbrogliare la matassa.
Innanzitutto è importante creare, ogni giorno, la convinzione e le condizioni per credere che la vita sia una successione di istanti in cui si svolgono gli eventi.
Sta a noi, quindi, saper individuare le opportunità di riempire le stive del nostro mercantile, per non aver affrontato i pericoli del mare aperto senza che ne sia valsa la pena.
E come si fa?
Riuscendo ad ottenere la facoltà di realizzare tutto quello che ci piace. In mezzo a tutto, c’è la vita che scorre, goccia dopo goccia, nei quadranti che scandiscono giorni, ore, minuti.
Padroni del nostro tempo, insomma.
Queste memorie, o ricordi, sono discontinue e a tratti si smarriscono perché così appunto è la vita… La mia vita è una vita fatta di tutte le vite: le vite del poeta (Pablo Neruda – Confesso che ho vissuto).
Si, magari senza dimenticare le buone maniere. Quelle che creano le condizioni per rispettare ed essere rispettati.
Solo così tu, che hai deciso di intrecciare il tuo destino al mio, potrai sperare e sognare. Come fa una giovane sposa, appunto, quando crede che accanto al suo uomo, sia pronta a riempire le ceste della gioia. Nonostante incuria, oblio, freddo e vento.
“Sarà che noi due siamo di un altro lontanissimo pianeta…”
Quando ci siamo incontrati, abbiamo messo molto, delle nostre vite, intimamente, l’uno nelle mani dell’altro. Siamo diventati un “incastro perfetto”, come la spina in una presa di corrente. Se non ci impegneremo a remare nella stessa direzione (senza perdere identità e dignità), quella unione si allenterà e nulla potrà essere più come prima.
Le due parti acquisteranno un “gioco” (di allentamento) che renderà impossibile la stabilità potenziale. Questo dialogo, fatto anche di scontri, non può affievolirsi dietro e dentro le quotidianità. Se qualcosa avrà la precedenza, pian piano, la polvere ossiderà il contatto.
La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla (G. G. Márquez)
“E se è vero che, a partire da una certa età, per paura di non poterle ottenere, le cose che desideriamo di più sono quelle a cui fingiamo di non tenere”, proveremo a non comportarci come tutti quelli che “corrono” e “girano” a vuoto.
E ce la faremo.
Tutto quello che ci apparterrà, lo emozioneremo per ricordarne i momenti. Per sempre. E sarà bello anche occuparci di noi, per curarci le ferite delle battaglie. Perché saremo una squadra. Così non avremo paura di soffrire. Mai.
“Lo senti questo silenzio? Mi piace tantissimo spegnere ogni rumore e assaporarlo, nella notte. Non è proprio puro ma leggermente ovattato dall’aria che in alcuni punti si condensa e quasi si può toccare. Quando è così, mi viene voglia di uscire per sentire solo il rumore dei miei passi. Non te la so descrivere come emozione. Però, prova ad ascoltarti, questa sera, che è diverso”.
Più scorre il tempo e più ci rendiamo conto che, la libertà di scegliere, è sempre più condizionata da elementi interiori e da aspetti esterni. E ci restiamo un po’ male.
Stiamo diventando pessimisti?
La vita di un uomo è una via verso sé stesso un tentativo l’accenno di un sentiero. (Herman Hesse)
Nonostante le molte “primavere” sulle spalle, corriamo veloci per la nostra strada anche se, a volte, vorremmo accendere la freccia e rallentare.
Non per arrenderci ma per capire se la strada sia, effettivamente, quella giusta. E quante altre, di migliori, non abbiamo ancora considerato.
Accade, ad esempio, che nel momento in cui sei sufficientemente distaccato dalle conflittualità terrene, allora ti rendi conto della falsità degli obiettivi in cui ti hanno fatto credere.
Ma, lo spettacolo, deve continuare!
Si, ma di cosa stiamo parlando? Qual è la nostra quota di responsabilità come educatori che dovrebbero dare l’esempio?
Nella vita, quella reale, un vincitore vale esattamente quanto un vinto. Cosa significa arrivare primi? A cosa dobbiamo rinunciare per stare sotto i riflettori? Ma non è meglio una vita più equilibrata?
La mia unica ambizione è quella di non essere nessuno. Mi sembra la soluzione più sensata (Charles Bukowsky)
Eppure un certo Friedrich Nietzsche ci ha spiegato che la vita, a guardarla bene, non disillude e, anzi, può diventare sempre più ricca, più desiderabile e più misteriosa.
È fondamentale, però, “osare” pensare che, questa vita, potrebbe essere un esperimento di chi è volto alla conoscenza e “non un dovere, non una fatalità, non una frode”.
E ciascuno “personalizza” questa conoscenza stessa che, quindi, può anche passare per un giaciglio di riposo (o di otium), oppure “per un mondo di pericoli e di vittorie, in cui anche i sentimenti eroici hanno le loro arene per la danza e per la lotta”.
La vita come mezzo della conoscenza. Con questo principio nel cuore, “si può perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere”.
La cosa più difficile, a questo mondo, è vivere. Molta gente è soltanto esistita (Oscar Wilde)
Quindi: conoscere, migliorare, sperimentare, godere. Nel bene e nel male.
Ma, purtroppo, la Società attuale ci induce a “comprare” e “svilire” ogni valore. Umano e materiale. Come evitare di lasciarsi andare?
A noi (che, pure siamo nati annusando l’aria della montagna), sarebbe piaciuto vivere nella pianura padana. Sarà perché ci piace molto il don Camillo di Giovannino Guareschi, o perché crediamo nella bontà di chi abita le sponde del Po, o perché in Emilia la gente lavora sodo come in Lombardia ma si diverte molto di più…
Sarà che abbiamo ammirato Francesco Guccini, Lucio Dalla, Ron.
Fatto sta che, comunque, nelle giornate di nebbia, quando sei nella “bassa”, ti metti davanti ad un caminetto e, fra un bicchiere di Lambrusco e un mazzo di carte da gioco, cominci a scrivere poesie, dialogando direttamente sia col sole che con la luna, oltre quella coltre grigia che, pian piano, magicamente, prende colore.
All’interno del tuo cuore.
Il piacere è, sempre, o passato o futuro. Non è mai presente. Perché? (Giacomo leopardi)
Qualcuno ha detto che “la capacità di amore empatico, di gioire del piacere e di sopportare il sentimento di lutto, costituiscono, tutte assieme, le condizioni di qualunque sanità psichica “.
Eppure, all’inizio dei primi bagliori di coscienza della nostra vita, abbiamo simbolicamente voltato le spalle ad una Madre “indistinta” (una sorta di “atmosfera”) accettando di perderla ma, al tempo stesso, rimpiangendola per ritrovare una madre esterna e distinta da noi, come un Oggetto esterno che desideriamo e del quale, nel tempo, introietteremo ciò che ci renderà solidi e tranquilli
Quindi, per dare un senso alla nostra esistenza e alla salute (o alla malattia) che, da essa, deriva, ciascuno di noi ha bisogno di imparare ciò che serve per “essere in grado di identificare e sviluppare le proprie aspirazioni, soddisfare i propri bisogni, modificare l’ambiente e adattarvisi”.
A queste condizioni accetteremo di buon grado la compagnia di un sottofondo di quell’angoscia costituita da una traccia ardua, viva e durevole di ciò che si accetta di perdere come prezzo di ogni scoperta.
Più invecchio anch’io, più mi accorgo che l’infanzia e la vecchiaia non solo si ricongiungono, ma sono i due stati più profondi che ci è dato vivere.
In essi, si rivela la vera essenza di un individuo, prima o dopo gli sforzi, le aspirazioni, le ambizioni della vita.
Gli occhi del fanciullo e quelli del vecchio, guardano con il tranquillo candore di chi non è ancora entrato nel ballo mascherato oppure ne è già uscito.
E tutto l’intervallo sembra un vano tumulto, un’agitazione a vuoto, un inutile caos per il quale ci si chiede perché si è dovuto passare.
– (Marguerite Yourcenar da “Archivi del Nord”)
Cari Lettori, giunti ad una certa età della vita, vi sono dei momenti in cui accade sempre più spesso di stare con sé stessi e di riflettere su questo involontario soggiorno sulla terra.
Involontario perché noi nulla abbiamo chiesto e nulla potevamo chiedere. Non siamo stati consultati.
Piombati su questa aiuola che ci fa tanto feroci, sentiamo il bisogno di dare un senso a ciò che per tanti anni abbiamo fatto. Spesso un senso vero e soddisfacente non troviamo e ci prende un senso di abbattimento, talvolta di angoscia.
Nel pensare al giorno in cui non ci saremo più naturalmente il pensiero va ai figli che abbiamo cercato di educare, con dei principi democratici e solidali.
Ma, presi dalla fretta delle nostre impetuose giornate, per tanti anni forse un discorso calmo e serio, con i figli, mai abbiamo fatto.
Frasi estemporanee, mugugni, giudizi a caldo su eventi, con conclusioni non certo ottimistiche sull’avvenire del Pianeta.
Col passare del tempo, però, avvertiamo un forte bisogno di consegnare, ai discendenti, il “sugo” di una microstoria.
C’è capitato di vivere in tempi difficili ma non drammatici (come per i nostri padri e i nostri nonni) e, noi, come diceva quel personaggio della rivoluzione francese che abbiamo fatto? “Abbiamo vissuto”.
Molto tempo, in verità, più che vissuto con autenticità, ce lo siamo fatti scivolare addosso.
Ma, senza eroismi o atteggiamenti enfatici, ora sentiamo il bisogno di lasciare in eredità la nostra forza e la nostra debolezza perché, ogni uomo, per quanto forte, è sempre permeato di fragilità.
Che cosa è, infatti, l’uomo?
Un vaso delicato, dice Seneca, che può frantumarsi da un momento all’altro. Un essere debole e precario che, però, nei momenti più alti, “pensando” si ammanta di infinito.
Lasceremo beni materiali che vanno e vengono.
Di duraturo, ai figli, possiamo lasciare solo l’immagine della nostra vita.
Dice Seneca:
Vi lascio la sola cosa che mi resta, che però è la più bella, vi lascio l’immagine della mia vita.
È difficile vivere. Non conosco, commenta Seneca, cosa più difficile che l’arte di vivere.
Nel mare della vita, prosegue il grande filosofo, abbiamo navigato, ci siamo portati avanti tanto che, dall’orizzonte, sono spariti, una dietro l’altra nello scorrere rapidissimo del tempo, la fanciullezza, la giovinezza, poi la virile maturità.. e così continuando.
Non si finirebbe mai di citare Seneca. È giunto il momento di rileggere le Lettere a Lucilio: un testo basilare della cultura occidentale.
Ma, siamo partiti per parlare ai figli, e ci ritroviamo a parlare con noi stessi.
Novelli Ulisse, mentre ci proponiamo di consegnare l’eredità spirituale ai tanti Telemaco, chiudiamo il discorso. Forse perché riteniamo che i giovani, quando avranno tempo per riflettere, daranno peso, nel ricordo, più al nostro fare che al nostro parlare.
Ma se i “figlioli” sono ancor piccoli, bisogna lasciar anche parole che, loro, poi inseriranno nella vita del padre, così come la erediteranno da coloro che ne parleranno.
Uno dei più grandi poeti turchi, Nazim Hikmet, dopo anni di prigionia, in nome della libertà, avverte che le forze stanno venendo mano.
Ama la vita e le cose belle del mondo e scrive al figlio parole di grande futuro:
Non vivere su questa terra come un inquilino, ragazzo mio: io non ho paura di morire
L’invito, è vivere con entusiasmo e partecipazione perché “saziarsi della vita è impossibile”.
Bisogna vivere saldi:
Credi al grano, alla terra, al mare ma, prima di tutto, all’uomo. Sii attento all’uomo, al dolore dell’uomo (Nazim Hikmet)
…perché la compassione, proseguiamo noi, è la più alta delle umane virtù.
Vi lasciamo, figliuoli cari, la bellezza stuprata del Pianeta. Moriremo con questo grande cruccio ma intimamente persuasi che voi, in social catena, farete ciò che noi non abbiamo saputo fare.
I MIGLIORI ANNI DELLA NOSTRA VITA
“Penso che ogni giorno sia come una pesca miracolosa. E che è bello pescare, sospesi su di una soffice nuvola rosa. Io come un gentiluomo e tu, come una sposa, mentre fuori dalla finestra si alza in volo soltanto la polvere.
C’è aria di tempesta!
Sarà che noi due siamo di un altro lontanissimo pianeta. Ma il mondo da qui sembra soltanto una botola segreta. Tutti vogliono tutto, per poi accorgersi che è niente.
Noi non faremo come l’altra gente: questi sono e resteranno per sempre… I migliori anni della nostra vita!
Stringimi forte che nessuna notte è infinita… I migliori anni della nostra vita! Penso che è stupendo restare al buio abbracciati e muti, come pugili dopo un incontro, come gli ultimi sopravvissuti. Forse un giorno scopriremo che non ci siamo mai perduti… E che tutta questa tristezza, in realtà, non è mai esistita!”
“A casa non si arriva mai. Ma, dove confluiscono vie amiche, il mondo, per un istante, sembra casa nostra” (Herman Hesse)
Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo
Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”
Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto e a Maria Felicita Blasi, per l’affettuosa disponibilità