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Sii forte che nessuno ti sconfigga, nobile che nessuno ti umili e, te stesso, che nessuno ti dimentichi. (PAULO COELHO)

Cari Lettori, capita a tutti di tirare un po’ troppo quella “corda” che la Società moderna ha imparato a chiamare stress. Noi ce ne accorgiamo ogni qual volta temiamo di non aver più nulla da dire. Anche se molto c’è, ancora, da pensare.

Per esempio, ripescando nel sottoscala della memoria e cercando aiuto a quella forma di Fantasia che concede il dono di sognare un mondo migliore, abbiamo immaginato di tornare indietro nel tempo, per incontrare gli “occhi dei nostri Cuori” e chiedere loro: “Amatissimi Figli, la vita, per voi, è facile o difficile?”

Siccome si vive di istanti ci siamo muniti, idealmente, di una forbice con ago e filo, per tagliare i frame indesiderati e cucire le parti belle saltando giorni, mesi o anni, in un secondo e cedendo al buon Dio, il corrispondente attraverso la restituzione dei nostri gettoni di esistenza.

Ecco, con questo artificio, non è stato impossibile ascoltare la loro risposta: “Dipende. Se qualcosa ci piace, non c’è problema. Quando affrontiamo ostacoli che non vorremmo… beh, allora è difficile!”

Gradevolmente incuriositi da questa risposta, proviamo a chiedergli aiuto, per non correre il rischio di ripeterci in argomentazioni già trattate, nel proporci domande da cui trarre spunto per il nuovo editoriale.

Sfida raccolta. Riunione nella stanza di Valentina. Dopo un po’ vanno in quella di Domenico. Quindi, passano negli spazi di Mariarita per dirigersi, alla fine, dove Enrico elabora pensieri ed emozioni.

Chiudono la porta… li sentiamo discutere. Prima allegramente. Poi animatamente. Quindi, silenzio. 

Presi da una contestualizzazione realistica, siamo impazienti di iniziare la stesura del nostro articolo ma non ci va di dar loro fretta.

Camminiamo nel lungo corridoio di casa. Scorgiamo, su una delle scrivanie, un quaderno. Uno di noi lo prende… vediamo cos’hanno “partorito”!

“Noiosissima era la vita degli dei nell’Olimpo. Facevano le attività degli uomini, si preoccupavano di seguire le attività umane, andavano a simpatia e per un sacrificio di buoi mancato erano capaci di procurare una ecatombe.

Erano immortali. Quindi felici? Non pare. Fare ad infinitum le stesse cose, é un vivere noioso.

Vivere va, però, sostituito perché è riferibile agli esseri umani finché non sarà sostituito da un secco “morire”.

Solo agli uomini è data possibilità di vivere con la consapevolezza di esserne coscienti.

Tale dote è un privilegio e nello stesso tempo un gran problema”

Bellissime riflessioni che, stranamente terminano con una particolare domanda che, erroneamente, potremmo (male) interpretare come una sorta di dichiarazione di “resa”. 

“Cari Papà, come mai non riusciamo a scrivere una domanda che abbia un senso soddisfacente?”

E invece no! Questo è un ottimo spunto. Complimenti.

Quando è, che generiamo un fastidio?

Ogni volta che percepiamo (in maniera consapevole o meno) una “angustia d’animo” che esprime la necessità di appagare un bisogno che ha generato una carenza.

Già, ma cos’è un bisogno? Mancanza di qualcosa che sia indispensabile o, quantomeno, ritenuto importante.

Chi ha inventato questo termine? Sono stati gli antichi romani che, con “Bi – sonium”, hanno inteso riferirsi ad una doppia afflizione. 

Perché “doppia”?

“…da un lato, il bisogno di qualcuno o di qualcosa ne indica implicitamente il desiderio, la particolare attenzione, dall’altra sottintende come l’ottenimento di ciò che è oggetto di bisogno, in fondo, il bisogno stesso, costituisca, al contempo, un ostacolo, un impedimento, una necessità da realizzare”. (www.etmoitaliano.it)

In pratica, la prima afflizione, riguarda il “sentire” la carenza; la seconda viene fuori, prepotente, nel momento in cui ci accorgiamo che, per andare incontro all’obiettivo, dopo aver stabilito la strategia adeguata, dobbiamo fare i conti con gli ostacoli che si mettono in mezzo fra noi e la risoluzione del problema.

Però, Madre Natura, ci ha messo in condizione di poter fronteggiare situazioni del genere.

Infatti, la nostra attività di pensiero si esplica, principalmente, mediante il meccanismo della riflessione. E riflettere significa, testualmente, esaminare e valutare attentamente per assemblare idee, prelevando dati parcellari dal deposito della memoria, per studiare le migliori strategie al fine di risolvere i problemi che nascono quando si cerca di appagare un bisogno per scoprire i nostri desideri più intimi.

Cari DomenicoEnricoMariarita e Valentina, la connessione con voi tende a perdere stabilità ma, provando fotografare coi nostri occhi ogni aspetto di voi (per rinforzare il ricordo che portiamo in ogni cellula), vorremmo dirvi che non riuscendo a contestualizzare, sul foglio, il risultato del vostro lavoro mentale, avete scoperto sulla vostra pelle che, consapevolizzare la carenza, è solo una parte del problema.

L’altra, consiste nel rimuovere gli ostacoli nati dai conflitti che si generano cercando di giungere all’obiettivo. In pratica, avete vissuto “in presa diretta” che un bisogno è un complesso che (insieme al proprio fratello che si chiama “Desiderio”) prevede, per il suo appagamento, la chiarezza di quello che manca e la capacità di saper rimuovere i paletti fra voi e il punto di arrivo. 

E dite niente?

LA PARABOLA ARABA

Guardando la montagna sacra quella mattina, l’uomo notò che aveva un’espressione sorniona. Quella montagna era nota per la sua mutevolezza espressiva, come se volesse dirgli “oggi ti svelerò il mio segreto, ma dovrai sudare per scoprirlo”.

L’uomo si accinse a scalarla e, dopo ore e ore di cammino (a volte anche su sentieri impervi e pericolosi), finalmente arrivò in cima.

Qui si fermò sia per riprendere fiato che per aspettare che la montagna rivelasse il suo segreto.

Poiché non succedeva nulla, si mise ad osservare il panorama e, con sua sorpresa, si accorse che c’era un’altra montagna, più alta di quella su cui lui si trovava: doveva essere quella la montagna sacra!

Allora si mise in cammino e, dopo una scalata ancora più lunga e faticosa, arrivò sulla vetta; anche qui rimase in attesa e di nuovo non successe nulla.

Scorse, allora, un’altra montagna, più maestosa di quella che aveva raggiunto. Di montagna in montagna, col passare dei giorni, gli sembrò di aver raggiunto la vetta più alta.

La sua meraviglia fu enorme nello scoprire che, osservando, in lontananza, la prima delle montagne da lui scalate, questa gli apparve più alta di quella su cui stava!

A quel punto, finalmente, sentì (forse dentro di sé) una voce porgli una domanda: “Credi, forse, di scoprire il segreto della montagna sacra continuando tutta la vita a scalare montagne? Stai sbagliando… il segreto è considerare sacra ogni montagna che scali!”

Ce lo siamo già chiesti un po’ di tempo fa: che differenza c’è fra maturità e saggezza?

Sia la persona matura che quella saggia ricercano il senso dell’esistenza, si danno da fare per migliorare lo standard qualitativo e si domandano come distinguere il reale dai falsi miti: in parole povere, tendono ad esprimere pienamente se stessi (nel rapporto con la propria identità e nei riguardi del contesto ambientale “ristretto” ed “allargato”), la propria personalità (in maniera proporzionale alle proprie capacità introspettive) ed il proprio ruolo (di partner, genitore, figlio, fratello, soggetto economicamente produttivo, etc.).

Il saggio, però, riesce, in virtù della maggiore esperienza di vita (in termini qualitativi, oltre che quantitativi), a manifestare una sorta di plusvalenza nella capacità di integrazione e adattamento. In pratica, volendo appagare i suoi bisogni, sa che dovrà risolvere tutto quello che incontrerà sul cammino si arrabbierà di meno (rispetto a chi, comunque, è già maturo) quando qualcuno o qualcosa si metterà di traverso.

Di tutte le storie che il mito ci ha tramandato, Buddha (al secolo, Gautama Siddharta) viene fuori come un uomo di buon senso, contrario al credere fideistico, all’occulto, ai dogmi. A un discepolo che lo tempestava di domande intellettuali e che era tornato alla carica, chiedendogli se l’anima esista prima della nascita, Buddha rispose con la storia del soldato trafitto dalle frecce, che viene portato d’urgenza dal cerusico perché gliele estragga e lo salvi, ma lui insisteva voler sapere, prima, chi lo abbia ferito… e con quale intenzione lo abbia fatto. Con questo aneddoto, Buddha vuole spiegare all’allievo che la sua domanda è irrilevante perché, qualunque sia la risposta, quel che conta è capire il significato del nascere, dell’invecchiare, del morire e del soffrire (da “Un altro giro di giostra” – Tiziano Terzani – Tea Ed.).

Basterebbe imparare ciò che occorre per vivere in modo conforme alle leggi di natura per migliorare notevolmente la qualità della propria vita: cosa ce lo impedisce?

Una miriade di fattori. Le abitudini nostre e quelle degli altri, tanto per cominciare, che agiscono come freno inerziale per un’azione più libera da condizionamenti.

Molti esperti concordano nell’affermare che l’essere umano, per come lo conosciamo noi, sia comparso, all’incirca, non più di 200.000 anni fa come risultato di un processo evolutivo iniziato più di 4 milioni di anni fa.

L’universo, però, è comparso (dopo l’innesco del Big Bang) qualcosa come 14 miliardi di anni fa! Sarebbe come dire che il “tutto” sia iniziato all’inizio dell’anno in corso e che noi siamo giunti sul posto a pochi minuti dalla mezzanotte del 31 dicembre

VISTA LA (LUNGA) LATENZA dovremmo concederci, per forza di cose, un po’ di tempo per raccapezzarci e poterci organizzare prima di agire…

Ma invece, non conoscendo quasi nulla, ci si trova costretti a correre, per portare a casa qualche risultato, armati solo della nostra paura che si trasforma in presunzione e arroganza

COME MAI, È COSI’ DIFFICILE VIVERE?

Il termine difficile, significa, letteralmente, “complesso, critico, pieno di disagi, oscuro, arduo da comprendere, che richiede abilità, attenzione, impegno”. Di sicuro, un simile sistema non consente la noia, che è uno dei grandi mali dell’umanità.

Qualcuno sostiene che siamo nati per espiare; qualcun altro, invece, è del parere che siamo nati per esplorare.

Quale che sia la motivazione, in realtà siamo stati “progettati” per soffrire ma non per lamentarci. La sofferenza, infatti, è il risultato di un impegno globale che affatica ma, al tempo stesso, allena alle avversità e, in definitiva, rende più efficaci. In ultima analisi: migliori.

Qualsiasi idea “creativa” e innovativa richiede un impegno dell’attività cerebrale che precede una tempesta organizzativa (gli anglosassoni la definiscono “brain storming”) e consegue ad un’articolata processazione fatta di verifiche e superamento di ostacoli interiori, derivanti da condizionamenti, a volte inconsapevoli.

È impossibile scrivere in pace se quello che si scrive vale qualcosa (Charles Bukowski).

PERCHE’ CI SI DEVE AFFANNARE?

Se cerchiamo il termine affanno, sui dizionari della lingua italiana, lo assoceremo al concetto di privazione del respiro, afflizione e travaglio.

Riconducendoci al discorso precedente, non possiamo evitare l’impegno continuo come unico antidoto contro l’assuefazione e la conseguente demotivazione.

Purché, ovviamente, tutto abbia un senso.

Il piacere che proveremo, per forza di cose sarà breve perché ci abitueremo velocemente a quella condizione che, in quanto priva di novità, non ci darà più alcuna soddisfazione.

Dovremo, a quel punto, ripartire per cercare nuovi obiettivi di soddisfazione.

Questo è il sistema che ci “costringe” a diventare migliori. Continuamente.

Probabilmente non è un caso che sulla lingua, le papille gustative siano di quattro tipi, tre ci consentono di apprezzare variegate sfumature frustranti che passano per l’amaro, il salato e l’acido; solo una serve per il dolce, la cui percezione genera dipendenza e assuefazione. Come dire, vogliamo il buono, in misura crescente e, per ottenerlo, dobbiamo fare lo slalom fra gli ostacoli.

PROVIAMO A RIFLETTERE SULL’ENORME MISTERO CHE RIGUARDA IL MONDO DELL’ENERGIA…

Come abbiamo avuto modo di intuire finora, discendiamo da quel fuoco sacro che si è liberato con lo scoppio primordiale e che ha dato vita alle Stelle e ai Pianeti (in fondo, “stelle raffreddate”).

E siamo comparsi Noi con, dentro, quella specie di inconscio collettivo che non solo contiene milioni di anni di “esperienze condivise” ma, soprattutto, i segreti del motivo per cui tutto è comparso.

Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e, nello spazio e nel tempo di un sogno, è raccolta la nostra breve vita. (W. Shakespeare)

Ecco perché, questo inconscio che ci accomuna, ci spinge ad andare oltre le “colonne d’Ercole” per tracciare la via che il “Sistema” ha previsto e che noi dobbiamo realizzare. Identificando le proprie aspirazioni, soddisfacendo i propri bisogni, modificando (in meglio) l’ambiente e adattandovisi.

CHE SENSO HA, TUTTO QUESTO?

Quello di “costringerci” a migliorarci, incessantemente. È attraverso questo, che passa il concetto di evoluzione.

Nessuno può insegnarti tutto, ma tutti possono insegnarti qualcosa.

Chissà quante volte abbiamo incontrato quest’affermazione di Giovanni Russo, riportata in molti dei suoi libri!

Eppure quest’oggi, una tranquilla sera di Maggio, riteniamo di averne capito, veramente, il senso.

Solitamente, quando si deve scrivere qualcosa di impegnativo (un tema, un articolo, una tesi, una relazione, un saggio monografico di approfondimento), prima di mettere su carta il contenuto dei propri pensieri, ci si organizza in una ricerca bibliografica sull’argomento.

A volte succede che, spunti interessanti, li possiamo trovare in frasi, informazioni e altro di (apparentemente) poco significativo sparso qua e là, in attesa di essere valorizzato nella giusta maniera.

E questo è quello che ci capita ogni volta che mettiamo da parte la nostra presunzione negativa, usciamo dal nostro narcisismo e ci si sintonizziamo opportunamente col mondo esterno.

Così come in Natura, potenzialmente, troviamo tutto quello che serve per vivere (immaginiamo l’autosufficienza dell’ecosistema che si crea in una foresta, o negli abissi marini, ad esempio), ecco che immancabilmente, magicamente, da una frase su un muro, un messaggio televisivo, troviamo il necessario per dare inizio alla storia. 

La nostra Storia.

SI DICE CHE LA SOFFERENZA RENDA PIU’ FORTI. E ALLORA, PERCHE’, A VOLTE, CI SENTIAMO PIU’ FRAGILI E DISORIENTATI?

Ognuno è caratterizzato dagli eventi della vita che, come bagaglio esperienziale, trasformano e plasmano. 

In meglio o in peggio?

Dipende da tanti fattori ma, comunque vada, si creano abitudini di protezione dalla sofferenza che si è provata e che ha segnato con un marchio a fuoco, profondo, che richiama tutto quello che lo ha determinato, avendo creato una memoria storica, addirittura nei neuroni.

Tale condizionamento potrebbe cambiare, è vero… ma a condizione di incontrare persone mature, in grado di convincere che può essere diverso.

Altrimenti, meglio continuare a proteggersi.

Nella vita scegliamo e paghiamo, a volte, anche per le scelte degli altri. In fondo, a ben riflettere, siamo padroni, veramente, solo di scegliere se mantenere la dignità oppure no. Per il resto, siamo ben poca cosa, nel grande gioco dei Potenti.

Ma essi stessi, in fondo, sono ben poca cosa nel grande gioco della vita.

Poco più che ragazzacci di passaggio.

Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi. (RITA LEVI-MONTALCINI)

Nella nostra vita, soprattutto professionale, incontriamo tante persone. A volte molto buone, altre volte meno. Ogni tanto incrociamo qualcuno che ci sorprende per come riesce a cambiare in meglio.

Cari Lettori, uno di questi ci ha scritto una lettera aperta a sé stesso, che vorremmo volentieri condividere

Caro amico, anche se non ci credi, se hai paura di chiedere troppo alla vita, anche se hai paura del giudizio degli altri, in questo momento, anche se hai paura di rimanere solo ed impazzire per questo, anche se in te è nascosta la paura di finire con una puttana o con una donna che non potrà offrirti altro che una grigia monotonia… NON MOLLARE! 

In questo momento di confusione e oscurità totale, devi credere sempre di più in te stesso. E ricordati che sei sempre riuscito ad affrontare in modo brillante tanti problemi che altri, al posto tuo, non avrebbero risolto.

Stringi i denti e ricordati che simili sofferenze rendono più forti e che solo quando si è veramente con il culo per terra, si capisce che c’è bisogno di reagire e rialzarsi: se non combatti sei finito! 

È la prima vera volta che devi decidere una cosa che riguarda solo te. Questa è la prima volta che ti trovi veramente solo senza dover fare il prode ingenuo, sempre al servizio degli altri.

Fai entrare l’altro, nella tua vita, senza doverne dipendere. Caro amico, non restare nell’aereo che deve atterrare tra mille turbolenze, venti forti, tormente e, per giunta, su di una pista dissestata, non illuminata, piena di buche e addirittura ghiacciata; prendi il paracadute e lanciati. 

Ne sei capace. 

Non avere paura di attraversare quelle fitte nubi oscure, atterrerai su di un soffice prato, reso ancora più bello dallo splendore del sole e circondato da verdi montagne. Confido in te, con sincero ed enorme affetto”.

DI FRONTE AD EVENTI NEGATIVI, COME SI FA A NON MOLLARE?

Forse smettendo di volere superare il “Padre(terno)” e accettando di essere in cammino verso un ignoto di cui facciamo parte. Con realistica umiltà.

L’uomo per millenni si è sentito un essere privilegiato. Con le sue qualità intellettuali è arrivato perfino a pensare l’infinito e, in momenti di particolare eccitazione, a considerarsi quasi il re dell’universo.

Salvo poi a constatare amaramente che questo essere così “grande” poteva da un momento all’altro morire per una causa anche banale.

 “La ginestra” di Giacomo Leopardi è esemplare al riguardo. L’uomo al colmo del suo delirio di onnipotenza viene ad un certo punto distrutto da “un fiato d’aria maligna” che poi di lui col tempo resta solo dimenticanza.

Cari Lettori, in effetti, chi crediamo di essere?

Inventori, poeti, santi, scaltri uomini d’affari, politici corrotti, sognatori idealisti… ma, in realtà alla stregua di polli di allevamento, se ci mettiamo a riflettere veramente e ci domandiamo che senso possa avere la nostra vita, quale che sia la fede in cui si possa credere, non possiamo non concludere che:

  • siamo fatti di energia (che ha consentito la produzione di cellule gametiche in grado di dare inizio, dopo la fecondazione, allo zigote da cui siamo venuti fuori),
  • che qualcuno o qualcosa ha messo a nostra a disposizione (per essere sviluppata, usata e migliorata),
  • da condividere in vita (per realizzare scambi, si spera corretti e produttivi)
  • e restituire post mortem per essere digeriti e metabolizzati da un sistema che utilizzerà il meccanismo per riprodurre sé stesso, migliorato di generazione in generazione.

Un po’ come il ciclo dell’acqua: piove, si formano i fiumi, beviamo da essi, uriniamo, reimmettiamo i liquidi nei corsi d’acqua che, attraverso il meccanismo dell’evaporazione, formeranno le nubi da cui scenderà, nuovamente, la pioggia.

Una partita di giro, insomma.

Con le nostre azioni e il nostro stile di vita, possiamo scegliere di stare in un allevamento in batteria (da cui riceviamo protezione e perdiamo libertà) o all’interno di un’aia (esposti alle intemperie e ai pericoli di ogni genere ma liberi di scegliere). Partendo da una deduzione scientifico – filosofica (in base a cui, si finisce col diventare cibo per chi ci “alleva”), la prima tipologia è destinata a produrre una carne piuttosto insipida (alias, uno sviluppo qualitativo e quantitativo di energia intra atomica e intersistemica, scadente), i ruspanti, invece saranno molto più saporiti, sviluppando sapore e consistenza (e avranno, di conseguenza, rispettato l’obiettivo dell’allevamento).

A questo punto, due considerazioni.

Partiamo dalla prima: più proviamo piacere nelle cose che facciamo (rispettando leggi di natura) più sviluppiamo il meglio di noi ( e restituiamo energia migliorata).

Andiamo alla seconda: siccome la Natura non agisce senza un motivo, potremmo immaginare che ci venga concesso di vivere fino a quando non si raggiunga l’età in cui si può generare dei figli dopodiché, con le nostre azioni, dobbiamo convincere l’allevatore che meritiamo ancora altre chance.

È SOLO UN ALTRO MIRACOLO ORDINARIO, QUEST’OGGI!

Cari Lettori, la particolare immagine di copertina è tratta da “La Tela di Carlotta”, un classico della letteratura per l’infanzia.

Scritto nel 1952 da E.B. White, questo racconto ha attraversato le generazioni, offrendo ai bambini (e agli adulti) di tutto il mondo, la giusta dose di emozioni, commozione e buoni sentimenti.

Nel 2007 è diventato un filmFern è una bambina che vede nel maialino Wilbur le caratteristiche che ne fanno un’autentica perla nel porcile.

Quando Wilbur si trasferisce in una nuova fattoria allaccia la seconda profonda amicizia della sua vita con un ragno di nome Charlotte e il loro legame spinge gli altri animali a iniziare a comportarsi come una grande famiglia.

Quando per Wilbur giunge il momento di essere trasformato in salsicce, nulla sembra poterlo salvare dal suo triste destino… ma sarà Charlotte (capace di pensare in grande) a usare la sua ragnatela per convincere il fattore che Wilbur non è un maiale come tutti gli altri e non merita di essere macellato.

Carissimi DomenicoEnricoMariarita e Valentina, amatissimi figli, ci piacerebbe avere il potere di farvi bypassare i passi del dolore attraverso una dimensione senza soluzione di continuità.

E, magari, far tornare indietro il tempo, per riuscire ad abbracciarvi, ancora una volta, per potervi dire tutto quello che non abbiamo avuto il tempo di donarvi; per poter incontrare quegli occhi, quel sorriso… quel modo di esserci figli.

È grazie a voi, che abbiamo capito che, i “vincitori”, splendono sul podio distinguendosi per qualche minuto dal resto dell’umanità. Chi arriva secondo, invece, rappresenta l’umanità.

Ambrogio Fogar ci ha spiegato quanto sia strano scoprire l’intensità che l’essere umano ha nei confronti della voglia di vivere: basta una bolla d’aria “rubata” da una grotta ideale, sommersa dal mare, per dare la forza di continuare quella lotta basata su un solo nome: speranza.

Perché, Figli carissimi, “non si pensa di morire quando si è felici.”

Sarah McLachlan – Ordinary Miracle

It’s not that unusual (Non è insolito che )
When everything is beautiful (Quando tutto è bello )
It’s just another ordinary miracle today (sia solo un altro miracolo ordinario, quest’oggi )

The sky knows when it’s time to snow (Il cielo sa quando è tempo di neve)
Don’t need to teach a seed to grow (Non hanno bisogno di insegnare ad un seme a crescere)
It’s just another ordinary miracle today (Tutto ciò è solo un altro miracolo ordinario, quest’oggi)

Life is like a gift they say (La vita è come il dono che dicono)
Wrapped up for you everyday (che vi avvolge tutti i giorni )
Open up and find a way (Aprite e trovate il modo )
To give some of your own (Per dare qualcosa di voi)

Isn’t is remarkable (Non è forse notevole)
That every time a rain drop falls (Che ogni volta che una goccia di pioggia cade)
It’s just another ordinary miracle today (Sia solo un altro miracolo ordinario, quest’oggi?)

Birds in winter have their fling (Gli uccelli, in inverno, hanno mille avventure)
But always make it home by spring (Ma tornano sempre a casa, in primavera)
It’s just another ordinary miracle today (E ’solo un altro miracolo ordinario, quest’oggi)

When you wake up everyday (Quando ti svegli, ogni mattina)
Please don’t throw your dreams away (Ti prego… non buttare via i tuoi sogni)
Hold them close to your heart (Tienili vicino al tuo cuore)
Cause we’re all a part (Perchè siamo tutti una parte )
Of the ordinary miracle (Del miracolo ordinario)

It’s just another ordinary miracle today

“- Bene, gatto. Ci siamo riusciti – disse sospirando – Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante – miagolò Zorba – Ah sì? E cosa ha capito? – chiese l’umano – Che vola solo chi osa farlo – miagolò Zorba.” (LUIS SEPÚLVEDA)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un grazie affettuoso ad Amedeo Occhiuto per la disponibilità e un abbraccio infinito ai nostri Domenico, Enrico, Mariarita e Valentina per averci stimolato a scrivere questo articolo.

 

 



 

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