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Mente e dintorni è una rubrica (nata da una fortunata serie televisiva) che ci porta a curiosare nei meandri della nostra personalità, per scoprirne i segreti e capire i motivi per cui compaiono i disturbi e, ovviamente, prendere rimedio.

Perché, conoscersi e comprendersi, fa vivere meglio

In questa dodicesima puntata, ci occuperemo del primo dei meccanismi di difesa primitivi e problematici: “L’Acting Out”


“Quando nasci ti danno un biglietto, indecifrabile, dentro il quale c’è scritto tutto il tuo avvenire. Le malattie, gli amori, il successo, l’insuccesso, gli incontri importanti, c’è scritto tutto lì. Anche il giorno e l’ora della tua morte. È nel ticket, è nel prezzo del biglietto” (Andrea Camilleri)

Probabilmente, quello a cui si riferisce il grande Andrea Camilleri è ciò che è inciso nel nostro DNA sotto forma di dinamiche potenziali (che Jung poneva nel mondo degli “Archetipi”).

Starà a noi, poi, scrivere la nostra storia sul libro del Destino e percorrere le strade di tutto ciò che non conosciamo ottenendo risultati condizionati, molte volte, dall’adattabilità e dalle capacità del nostro carattere e, di conseguenza, del nostro modo di trasmettere ciò che siamo.

Come anticipato nel precedente incontro, il filtro fra ciò che pensiamo (a livello inconscio) e il rapporto sia con la nostra parte consapevole che col mondo esterno è rappresentato da quello che, tecnicamente, prende il nome di “meccanismi di difesa”

Queste “funzioni dell’IO” proteggono, di fatto, la nostra mente dall’angoscia provocata dall’emergere di pulsioni provenienti dall’Es (aggressive e difficilmente “contrastabili”) o a stati emotivi penosi provenienti dal Super-Io (depressione, vergogna, senso di colpa, etc.) o, ancora, alla paura determinata da fattori ambientali.

Se i meccanismi di difesa riescono a prevalere, l’angoscia non viene percepita.

Come abbiamo visto nella precedente puntata, queste “difese” difese possono essere classificate gerarchicamente, lungo un ipotetico continuum che procede da una profonda “immaturità” a una adeguata “maturità”.

Cominciamo questo percorso, partendo (grazie alle interessanti spiegazioni fornite da Vittorio Lingiardi, dalle cui pubblicazioni, molto si è attinto), fra i vari meccanismi di difesa  “immaturi” o “più primitivi”, quelli definiti “di acting”: l’Acting out, l’Aggressione passiva e l’Help Reject Complaining (il rifiuto dell’aiuto richiesto).

Quest’oggi, ci occuperemo del primo

L’Acting-out

Tale sistema difensivo, si evidenzia nel momento in cui i conflitti emotivi e le fonti interne o esterne di stress determinano una reazione  (scontro fisico o abuso di farmaci) frutto di scarsa riflessione, senza preoccuparsi delle possibili conseguenze negative a livello personale o sociale.

Una simile “perdita del controllo”, per lo più si verifica in risposta a eventi interpersonali che coinvolgono persone significative nella vita dell’individuo che entra in crisi.

Qual è la Funzione?

Com’è intuibile, permette di scaricare sentimenti o impulsi anziché doversi confrontare con idolorosi avvenimenti che li hanno provocati.

Fasi e Modalità di “attivazione”

  1. il soggetto ha sentimenti o impulsi che non puòesprimere perchè il prenderne atto determinerebbe un rapido aumento dellatensione e dell’ansia;
  2. evitando la consapevolizzazione, si rinuncia ad  ogni possibilità di “prendere tempo”, diriflettere o di elaborare una strategia per affrontare, in maniera opportuna,l’impulso o il sentimento drammaticamente conflittuale;  
  3. tale stato emotivo viene direttamente espresso attraverso un comportamento impulsivo, aggressivo che non tiene conto delle conseguenze;
  4. dopo questo comportamento (in gergo tecnico definito “agito”) il soggetto può riacquisire lacapacità di riflettere, si sente di solito colpevole e si aspetta delle punizioni, a meno che non entri in gioco un’ulteriore difesa come quella della “negazione” (che approfondiremo in seguito) o della razionalizzazione ( che lo potrebbe portare a concludere, per giustificarsi ai propri occhi: “Ero così in collera che ho dovuto farlo; è colpa sua se ho perso la testa”).

Diagnosi differenziale (similitudini e differenze con situazioni simili ma non uguali)

Dissociazione.

Nella dissociazione (quadro decisamente più problematico, che analizzeremo in seguito) la persona è come se non fosse presente a sé stessa nel momento in cui produce emozioni o stati di coscienza che potremmo definire disfunzionali (per esempio, il non riconoscersi più per via della depersonalizzazione) o con comportamenti sintomatomatologici  (per esempio, ricerca di sesso occasionale o scatti di ira) e, in seguito, può manifestare stupore per ciò che ha fatto o detto: quasi a non crederci.

L’inibizione dell’emozione o dell’impulso ad agire è, quindi, “egosintonica” (non percepita come una anomalia, o un disturbo)  e la tensione non è un aspetto centrale del suo vissuto: come se non fosse il problema, a differenza di ciò che accade nell’acting out.

Quindi, paradossalmente, nella dissociazione il comportamento appare, a chi si trovasse a osservare, meno pericoloso, criminale o folle.

Al contrario, nell’acting out, la tensione è fondamentale e l’inibizione stessa (il tentativo di reprimerla) è generalmente egodistonica (percepita come un disturbo pervasivo).

In una situazione di dissociazione ascolteremmo la persona affermare, sconvolta, stupita e imbarazzata: “Non posso credere di averlo detto (o fatto), non è da me“.

In una situazione di Acting out il soggetto dichiarerebbe: “Ero così sconvolto che non potevo controllare ciò che dicevo (o facevo) e mi sento colpevole. Devo pagare, per questo!“.

Identificazione proiettiva (IP).

In questa situazione, le emozioni originarie sono la rabbia e la paura: la tensione sale, la marea di rabbia si alza e i crescenti commenti accusatori sono impregnati di aggressività, ma, sebbene estremamente provocatori, si limitano a parole cariche di tensione. Se il soggetto perde il controllo e procede dalle minacce a gesti aggressivi, verso l’altro, allora si innescato l’Acting out.

D’altra parte, l’Identificazione proiettiva precede l’Acting out solo in quei casi in cui il soggetto crede che il proprio comportamento malvagio sia stato prima messo in atto contro di lui dall’altra persona e che, quindi, sia stato indotto in lui: “Dovevo colpirla; mi stava uccidendo con le sue minacce di lasciarmi, quella sadica!

Simili situazioni ricordano quello su cui la nostra attenzione, in tempi come questi, volge sguardo e dolore.

E allora, prima di salutarci, vorrei condividere con voi i versi di una poesia del poeta Franco Fortini che bene esprimono la sensazione di dolorosa immaturità che ci avvolge:

“Se tu vorrai sapere chi, nei miei giorni sono stato, questo di me ti potrò dire.

A una sorte mi posso assomigliare, che ho veduta nei campi: l’uva, che ai ricchi giorni di vendemmia, fu trovata immatura (e che i vendemmiatori non colsero) e che, poi, nella vigna smagrita dalle pene dell’inverno, non giunta alla dolcezza la macerano i venti”

Questo video riassume, semplificandoli, i contenuti finora espressi, offerti con una delicata base musicale. Buona “degustazione”

Con la speranza e l’obiettivo  di essere utile per conoscere sempre meglio chi incontriamo (soprattutto quando ci guardiamo allo specchio), vi do l’appuntamento alla prossima puntata, nella quale parleremo del secondo meccanismo di “Acting”: l’aggressione passiva

A presto

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