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Quando si parla di genitori, si pensa immediatamente alla condizione che negli esseri umani ha creato naturalmente la possibilità di diventarlo e cioè la COPPIA.

Gli esseri umani si uniscono per formare una coppia quando riescono ad appagare quel bisogno primario necessario non indispensabile che li porta a provare amore e a cercare quindi lo scambio psico-fisico affettivo con l’altro.

La coppia nasce dall’unione di due solitudini, ma è bene che i due esseri umani in questione si uniscano solo nel momento in cui hanno già saputo realizzare un buon rapporto con se stessi e cioè abbiano un buono sviluppo della propria identità. Sarebbe senz’altro sbagliato cercare di raggiungere uno stato di benessere e di equilibrio attraverso la realizzazione del rapporto di coppia e quindi attraverso lo scambio individuale giacché chi non ha un buon rapporto con se stesso non può sicuramente averlo con nessun altro essere umano.

Perché una coppia sia equilibrata e in armonia, è necessario che vi sia uno scambio energetico neutrergico-affettivo-aggressivo (negativo, positivo, misto) che preveda l’incontro di due egoismi positivi per cui ognuno dei due soddisfi l’altro senza pensare soltanto a se stesso (investendo così la sfera dell’egoismo negativo).

Solo con queste premesse, si può pensare che la coppia si evolva e si incammini verso il superamento di una fase transitoria che cambia completamente la vita e cioè quella che prevede il bisogno di diventare genitori nel superamento del proprio egocentrismo e la costruzione di una famiglia.

Si fa presto a dire genitori….ma bisognerebbe dire ( per usare una definizione più adeguata), seguendo il percorso regolato secondo leggi di natura, che si diventa generatori.

La capacità di diventare geneticamente generatori è riscontrabile in ogni essere umano (salvo problemi relativi alla sfera riproduttiva), ma, per diventare genitori, la strada è lunga, difficile e tortuosa.

Oggi ci sono corsi che ci preparano a tutto, ma non ci sono corsi che ci insegnano a diventare genitori.

Si impara il difficile mestiere di genitore sulle spalle dei poveri figli che ci trovano tirocinanti impreparati ed inesperti.

A queste condizioni, abbiamo spesso di fronte situazioni in cui vediamo bambini in mano a generatori indegni e incapaci di allevare figli ed essere quindi buoni genitori; di contro, sappiamo che esistono esseri umani che sarebbero capaci di fare i genitori, ma non possono poiché, per problemi relativi alla sfera riproduttiva, non saranno mai generatori.

In un percorso evolutivo di vita corretto, a partire dal singolo a finire alla coppia prima ed alla famiglia poi, si compie tutto il percorso che va dallo sviluppo e relativo dialogo con la propria identità, al rapporto con l’altro e cioè l’individualità (come accade per esempio nella coppia), al rapporto con più persone e cioè con la collettività che si “consuma”, in primis, nella famiglia, il più piccolo nucleo all’interno della società, con le dinamiche più complesse e difficili da gestire poiché ogni scambio energetico è sempre (dico sempre!) a prevalenza affettiva e questo, sappiamo, spesso impedisce alla neutrergia di lavorare al meglio.

Un genitore dà ad un figlio tutto quello che ha, anche quando è poco, anche quando è sbagliato, ma può dare solo quello che ha. Ci sono genitori affranti per essersi accorti di aver sbagliato, per non aver saputo dare, ma non si può dare ciò di cui non si dispone.

L’amore genitoriale si esplicita provvedendo ai bisogni di ogni genere dei figli (ed anche ad alcuni desideri), cercando di essere presenti nel superamento di difficoltà e frustrazioni che il quotidiano fornisce senza tregue, e facendo in modo che ci sia uno scambio energetico-psico-fisico che riguardi la globalità del rapporto ed in cui si privilegi la qualità della interazione e non necessariamente la quantità del tempo trascorso insieme.

Bisogna che un genitore si interessi anche di quelle che sembrano piccole cose che riguardano la vita dei figli, come farsi fare il resoconto della giornata, a scuola, facendosi raccontare ciò di cui il figlio sente il bisogno di “disfarsi” consentendo uno scarico energetico che possa contribuire a riequilibrare lo stato d’animo; egli deve sapere con cosa e come innaffiare la “piantina-figlio”.

Non è auspicabile rifarsi a vecchi apprendimenti tramandati da padre (madre) in figlio a prevalenza affettiva (spesso di tipo misto o negativo) piuttosto che neutrergica.

Personalmente, ho avuto e ho , continuamente, la possibilità di confrontarmi con ragazzi in età adolescenziale e relativi genitori.

Riscontro spessissimo che l’energia più utilizzata, nel reiterarsi dei vecchi modelli genitoriali, è l’utilizzo della affettività mista, RESPONSABILE della produzione di molti conflitti ad ampio raggio, ma soprattutto per quanto riguarda la sfera relativa alla formazione ed allo studio.

I genitori in questione stimolano negativamente i figli, usando violenze affettive, utilizzando l’arma più antica del mondo

“il ricatto morale”.

E’ un’arma potentissima, è l’arma degli incapaci :…

“Devi studiare perché papà e mamma fanno sacrifici per te, ti vogliono bene e tu DEVI ricambiare”…

Si attiva nei figli una risposta simile alla consapevolizzazione di un tradimento (con sviluppo di relative frustrazioni) verso i genitori i quali sembrerebbe non vengano ripagati dei loro (tanto rinfacciati) sforzi.

In un clima di grande confusione, non si riesce a spiegare quale sia la funzione dello studio, cos’è, come si studia, a che serve…. senza contare che, nella stragrande maggioranza dei casi, i genitori non solo non sanno pulstimolare correttamente i figli, ma non sono neppure in grado di dare il buon esempio dando vita così ad un pulstimolo che serva per imitazione.

Risultato:

i figli saranno sempre più gravati dai complessi di colpa e produrranno frustrazioni tali da allontanarli sempre più dallo studio visto come costrizione inutile e di poco interesse.

Un genitore “preparato” deve mirare a diventare una persona di riferimento per il proprio figlio. Nel momento in cui si riesce a determinare un rapporto di rispetto reciproco che crei i presupposti per la costruzione di una stima crescente, si spiega l’utilità dello studio come elemento di autoaffermazione nei confronti della mediocrità in cui, altrimenti, si sarebbe condannati a vivere. In questo caso si ottiene senz’altro una risposta costruttiva e positiva.

Se i figli riescono a vedere lo studio come gioco, come liberazione dall’ignoranza e dalla sopraffazione, non lo rifiuteranno di certo.

Questo è solo uno dei tanti aspetti del rapporto genitori figli, ma ho inteso trattarlo perché ritengo che sia fondamentale nel vivere e superare questa stessa e tutte le altre fasi transitorie che i “nostri figli” devono affrontare nel loro continuo divenire per il raggiungimento della maturità.

E’ scontato che in un clima familiare poco “preparato”, i figli, produrranno conflitti (generando spesso anche sintomi) le cui cause vanno necessariamente individuate, affrontate e risolte. Per questo scopo si dovrebbe realizzare una raccolta di dati che porti gradualmente alla scoperta, alla consapevolezza, all’ accettazione della necessità di produrre il cambiamento delle idee.

Qui entra in gioco la figura del Counselor familiare il quale ha il compito di valutare se lo sviluppo dell’identità e degli apprendimenti dei genitori sono corretti verificandoli secondo la logica, lavorando quindi prima su di essi e poi sul loro rapporto con i figli poiché man mano che cambieranno gli apprendimenti, spariranno i conflitti.

E’ importante che il Counselor spieghi a genitori e figli la differenza tra l’appagamento dei bisogni e quello dei desideri e sottolinei l’importanza dell’appagamento di esigenze che, a parte i bisogni primari indispensabili, sono necessari alla realizzazione personale (raggiungimento di autostima e autoaffermazione, non imitazione di falsi modelli, superamento della gregarietà, ecc….)

Il Counselor familiare fornirà ai figli dati importanti secondo i quali improntare la propria esistenza alimentando, giorno per giorno, una sana competizione con se stessi, avvertendo la necessità di migliorarsi sotto l’aspetto culturale, e acquisendo la capacità di vedersi come un essere umano “normale” con la possibilità di sbagliare….perché sbagliare, con la consapevolezza di averne il diritto, serve a capire e crescere sulle proprie spalle (come è giusto per ogni essere umano)!!!!

Si parte comunque dal fatto che ogni essere umano, sin dal momento del concepimento, è “carta bianca” che comincia a “sporcarsi” di dati già nel grembo materno. Egli è dotato di potenzialità che vanno coltivate, sviluppate e valorizzate, ma è sempre l’ambiente circostante che influenza il suo divenire.

Nel primo periodo dello sviluppo, ogni essere umano dipende, anche per quanto concerne gli apprendimenti, quasi esclusivamente dalla famiglia da cui assorbe più o meno consapevolmente come una spugna.

Questa è la fase in cui predomina l’egocentrismo, per cui l’essere umano si preoccupa solo di se stesso.

Successivamente bisogna insegnargli il concetto di egoismo positivo (in cui è previsto uno scambio più corretto individuale e collettivo), secondo il quale ci si occupa di se stessi ma senza strumentalizzare gli altri.

Sovente capita di riscontrare soggetti che, invece, alimentano l’egoismo negativo ( a danno altrui) sfociando nell’egocentrismo.

E’ necessario che i genitori imparino ad affrontare “preparati” il difficile momento che arriva, come un terremoto, nella vita dei ragazzi e cioè l’adolescenza (fase del gambero spogliato), momento in cui si passa dalla dipendenza completa dalla famiglia, alla rielaborazione della propria immagine, al confronto col mondo esterno, alla fatica per imparare a sapersi gestire autonomamente, all’impatto con l’altro sesso per la costruzione di una coppia, ai dubbi sulla propria identità.

Questo è il periodo in cui aumentano i conflitti verso se stessi e con i genitori, i quali, ignari delle motivazioni che regolano il “cambiamento” che secondo leggi di natura va ad attivarsi nei figli, non sanno come comportarsi e si trovano a soccombere o a cercare di “addomesticare” un figlio ritenuto ribelle senza disporre degli strumenti per capire e assegnare un codice di “normalità” all’evento-ribellione….senza riuscire ad accompagnarlo, a tenerlo per mano in questo percorso.

Bisogna tenere presente che l’obiettivo dell’adolescente non è quello della rottura con la famiglia, ma quello della trasformazione, del distacco, dell’emancipazione rispetto alla stessa pur mantenendone gli affetti ed il sostegno (che resta comunque un aspetto solido e di riferimento).

Il Counselor ha il compito di insegnare ai genitori prima ed ai figli poi quali siano le condizioni da appagare per far sì che l’essere umano-figlio proceda verso un corretto sviluppo:

  • La costruzione dell’autostima
  • Rispetto del proprio spazio vitale e quello altrui
  • Autoaffermazione
  • Sviluppo dell’individualità
  • Sentirsi accettato
  • Ricevere affettività
  • Ricevere disponibilità da parte del genitore
  • Avvertire un senso di sicurezza proveniente dalla famiglia

A queste condizioni, ci si può preparare a percorrere una strada che resta senz’altro e comunque difficile, ma che di sicuro favorisce la crescita psicofisica corretta dei figli nell’ambito di un rapporto equilibrato, basato sul rispetto, sull’autorevolezza e sulla disponibilità come predisposizione di base da parte dei genitori.

Essere genitori può non essere così difficile, l’importante è sapersi preparare come si fa per tutti gli “esami” che la vita ci fa sostenere!!!!!

Stefania Labate (10 gennaio 2008)