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Solo i bigotti e i soldati si inginocchiano: i primi, a messa, per pentirsi dei peccati; i secondi, quando sparano… forse, per chiedere perdono dell’assassinio. (Voltaire)

Cari Lettori, c’è un momento, nella vita in cui viene voglia di raccontare i propri pensieri, la gioia e la fatica del vivere, l’allegria e la tristezza…

Se potessimo osservarci da fuori, ci vedremmo impegnati nel condurre una sorta di partita. Al tavolo verde, scopriremmo di aver portato con noi virtù, difetti, forza e debolezze. Speranze e disperazioni

A questo punto, una domanda sarebbe obbligatoria: chi sono gli altri giocatori?

Per quanto strano possa sembrare, non si tratta di altri competitors “senzienti” (umani, o altri animali) quanto piuttosto, come avrebbe detto il buon Freud, le nostre passioni e i nostri istinti da cui derivano.

Perché, di fatto, tutto si snoda nel rapporto con noi stessi mentre stiamo in mezzo agli altri.

Noi giochiamo il senso della nostra vita a un tavolo dove sono presenti i nostri istinti sotto forma delle icone che li rappresentano: Eros (il Signore dei desideri); Narciso (l’amore di sé); il Caso (la fatalità); Edipo (la trasgressione) e, infine, la Morte (Eugenio Scalfari – L’Amore, la Sfida, il Destino)

Il buon Freud, avrebbe precisato parlando di “ES”, a proposito di Eros, contrapposto a Thanatos (morte). Questi due, Eros e Thanatos appunto, si muovono seguendo i principi capaci di generare quello che chiamiamo  “Vita”.

Infatti, il cosiddetto “soffio” vitale, nasce dal fruscio elettromagnetico (una specie di vento, creato dal movimento) prodotto dai quark (fondamenti del nucleo di ogni atomo che, mal sopportandosi vicendevolmente, tentano di disgregare il sistema scappando via nel tentare nuove opportunità (Thanatos) ma (quasi per una perversione del Creatore) essendo reciprocamente legati con delle molle di gluoni, sono costretti a tornare passi (ES)

Per poi, ogni volta, riprovare inutilmente a fuggire.

Partendo da questa spiegazione scientifica, la fine del viaggio non può essere la morte perché, Lei, viene quando vuole e, difficilmente, puoi prevederne l’incontro, con esattezza. La fine del viaggio, piuttosto, coincide con il lento spegnersi della curiosità verso il Futuro.

Cari Lettori, abbiamo da tempo capito che la nostra vita non è stata altro che una partita alla ricerca di un senso che spiegasse, a ciascuno di noi due, il proprio vissuto. Ci siamo resi conto, inoltre, di continuare a seguire un percorso comune a tutti, anche se molti non ne sono consapevoli.

A ben riflettere, ci sono molti modi per classificare la nostra specie mettendone a nudo i contrasti: i ricchi e i poveri, i colti e gli ignoranti, i bassi e gli alti, i furbi e gli ingenui, etc.

Ma, a nostro parere, la classificazione che meglio chiarisce la nostra identità sia tra consapevoli e inconsapevoli

Siamo convinti del fatto che,  certe riflessioni e le domande conseguenti, abbiamo cominciato a consapevolizzarle probabilmente da quando l’antenato  da cui proveniamo si è trasformato da quadrupede in bipede, ha potuto alzare la testa e guardare le stelle.

E ha riavuto, quindi, coscienza di sè

Noi conosciamo la Morte fin da subito, dal momento del parto, in avanti, con tuttte le “perdite” che subiamo.

Non sappiamo se siamo l’unica specie vivente consapevole di dover morire ma, probabilmente, siamo gli unici che tentano “rimuovere” questo pensiero dalla coscienza. Mille sono i modi per farlo ma, forse, l’obiettivo diviene uno soltanto: tenere in vita la memoria di noi, magari per l’eternità

Ma c’è, un “dono” che ci concede la morte?

Le varie specie viventi si muovono in funzione di istinti e bisogni.

Noi, di base, assistiamo allo sviluppo interiore di aspirazioni che si evolvono mentre, la morte, segue la nostra partita la cui durata viene, da lei, stabilita.

COME QUESTI FIORI, STIAMO TUTTI MORENDO

Il fiore perfetto è una cosa rara. Se si trascorresse la vita a cercarne uno, non sarebbe una vita sprecata

Chi li ha mandati, ad ucciderti?

Sto scrivendo una poesia su un sogno che ho fatto. Gli occhi della tigre sono come i miei, ma lei ha attraversato un mare profondo e agitato…

È stato l’Imperatore? Humura?

Se l’Imperatore vuole la mia morte, non ha che da chiederlo.

È stato Humura.

Ho qualche problema a finire la poesia. Sai suggerirmi un verso conclusivo?

Non sono uno scrittore!

Eppure, hai scritto molte pagine, da quando sei arrivato.

Cos’altro ti ha detto, lei?

Che hai degli incubi.

Tutti i soldati, hanno degli incubi.

Solo chi ha vergogna per quello che ha fatto.

Non hai idea, di cosa ho fatto!

Tu hai visto molte cose…

È proprio così!

… e non temi la morte ma, anzi, qualche volta, la desideri. Non è vero?

Si!

Anche io!

Capita, a chi ha visto, ciò che noi abbiamo visto. Allora, vengo in questo luogo insieme ai miei antenati e mi torna un pensiero: come questi germogli, stiamo tutti morendo. Riconoscere la vita in ogni respiro, in ogni tazza di the… e ogni vita che togliamo… è la via del guerriero!

La vita in ogni respiro…

L’Imperatore ha concesso un passaggio sicuro fino a Tokio, partiamo domani.

Bene!

Quando ti ho preso questi, tu eri nemico…

Cari Lettori, nel 2003, esce, nelle sale cinematografiche L’ultimo Samurai, di Edward Zwick, con Tom Cruise. È la storia del Capitano Algren del 7° cavalleggeri e del suo coinvolgimento nell’epopea che decretò l’ingresso della civiltà nipponica tra le moderne potenze militari. Il prezzo da pagare fu mettere fine alla millenaria tradizione dei samurai, guardia scelta dell’Imperatore, guidata nel suo canto del cigno da Katsumoto, grande guerriero

“Nel 1876, un capitano americano, Nathan Algren, viene incaricato per conto dell’Impero Giapponese di addestrare l’esercito dell’imperatore Meiji allo scopo di eliminare i samurai ribelli presenti nel territorio. Algren è alcolizzato e lavora pubblicizzando i fucili della Winchester. La missione affidatagli è, per lui, solo un modo per fare soldi e fuggire dai fantasmi del suo passato poco onorevole. Arrivato in Giappone, scopre un mondo in piena conflittualità tra la frenetica corsa alla modernità tecnologica e commerciale voluta dal nuovo e giovane imperatore e la cultura millenaria di un popolo dedito alla filosofia e alla guerra ideologica dei samurai.

I generali giapponesi vogliono affrettare la guerra e inviano subito le truppe per intercettare i samurai, anche se Algren cerca invano di convincerli che le truppe non sono pronte. Infatti l’esercito è costretto alla ritirata e durante il combattimento, Algren, dopo aver falcidiato un gran numero di nemici, viene infine ferito e gettato a terra sanguinante; dopo un estremo tentativo di difesa, mentre è accerchiato dai nemici, ecco comparire il generale dei ribelli Katsumoto che, vedendolo battersi con eroismo e a causa di una sua visione precedente, decide di non ucciderlo; così, Algren viene fatto prigioniero e portato sulle montagne, nel villaggio dei ribelli.

Lì, il capitano impara a conoscere lo spirito, la filosofia e gli ideali samurai fino al punto da decidere di passare a combattere dalla loro parte; nel frattempo, si innamora di Taka, sorella del capo villaggio Katsumoto e vedova di un onorato guerriero che egli stesso ha ucciso nel combattimento, la quale si prende cura di lui durante la convalescenza”.

Il compito principale, nella vita di un uomo, è quello di dare alla luce sé stesso (Erich Fromm)

Se diventare saggi significa anche e, soprattutto, rendersi conto di molte delle inutilità che ci attendono nella nostra Società, come facciamo per non perdere la motivazione, abbandonando i propri progetti e finendo col cadere nell’oblio?

Molti grandi uomini (ma anche grandi donne), una volta raggiunta la consapevolizzazione degli assurdi sociali, hanno perso mordente nel continuare e, in virtù dello stretto rapporto che esiste fra quello che pensiamo e ciò che determiniamo in noi (grazie alle diffusioni delle emozioni, attraverso il sistema limbico), hanno accelerato inconsciamente la loro dipartita, in conseguenza di patologie inguaribili che il sistema immunitario avrebbe potuto e dovuto evitare.

Per quanto riguarda noi “comuni mortali”, ogni tanto, quando entriamo in crisi per aver pensato quello di cui stiamo parlando, creiamo un vuoto di relazioni.

Il più delle volte si cerca una strada per continuare a mascherarsi da persone sicure, fino ad arrivare a sistemi come alcol e droghe che servono a stordire i sensi di inferiorità (salvo poi viverli “amplificati” alla fine dell’effetto di questi tossici).

In verità, l’individuo contemporaneo tende a bloccare il dialogo con sé stesso, per non sentire il fastidio nei propri confronti derivante da scarse realizzazioni.

Qual è la strada da percorrere?

Non resta che continuare a puntare su sé stessi, imparando a valorizzare sempre meglio le proprie potenzialità inespresse, così da affrontare le proprie debolezze e riuscire, finalmente, a stimarsi e proteggersi.

Un grande maestro disse ai suoi allievi: <<Andate nella foresta e riportatemi tutto quello che ritenete inutile>>. Ognuno di loro tornò con qualcosa: un’erba, una radice, una corteccia. Solo uno studente tornò a mani vuote. Ma proprio lui, venne elogiato dal maestro. Aveva capito che ogni cosa, nella foresta, era utile e che non c’era nulla di superfluo. Quello studente diventò il medico di corte e uno dei grandi rishi dell’Ayurveda“.(Tiziano Terzani)

Cari Lettori, noi riteniamo che ogni persona abbia il dovere di proporsi per raggiungere la realizzazione di obiettivi a breve, medio e lungo termine. Per il medio periodo, sarebbe opportuno giungere ad acquisire il “miglior” numero di conoscenze al fine di avvicinarci il più possibile alla “conoscenza”; ovviamente, come breve termine, non possiamo evitare di metterci in condizione di potercelo permettere, economicamente e mentalmente.

E per il lungo termine?

Lo si scoprirà man mano. La vita è come un videogame nel quale, come scopo, hai quello di giungere ai livelli superiori facendo attenzione a non impantanarti per evitare il “game over”..

La verità è fatta come l’Everest: di tante rocce, ciascuna sfaccettata a suo modo. Nessuna di quelle rocce, tuttavia, può vantarsi di essere, da sola, l’Everest (Tendzing Dzang-Po, Lama capo del monastero di Tengboche)

Per sentirci a posto, quindi?

Non guasterebbe essere ricordati, nell’almanacco dei fatti del mondo, all’interno della sezione “Persone utili al superamento dell’angoscia legata alle problematicità della finitezza umana ed in grado di agire per lo sviluppo ed il benessere collettivo”

Che senso ha?

Quello di ricercare l’autoaffermazione, in maniera corretta, nella misura in cui la consideriamo come quella condizione di chi mira ad esprimere pienamente se stessi (nel rapporto con la propria identità e nei riguardi del contesto ambientale “ristretto” ed “allargato”), la propria personalità (in maniera proporzionale alle proprie capacità introspettive) e il proprio ruolo (essere umano integrato nel tessuto sociale, come partner, genitore, figlio, fratello, soggetto economicamente produttivo, etc.).

La Scienza ci spiega che, quando nasciamo (sotto forma di zigote), riceviamo in “dote” un pacchetto energetico (che si genera dalle reazioni nucleari intracellulari) in leasing, da “restituire” al termine del nostro ciclo di esperienza terrena. Possiamo ipotizzare che l’obiettivo di madre Natura sia quello di “utilizzarci” nell’aspettativa di un “ritorno migliorativo”.

Per tutte quelle volte che sei riuscito a capirmi… Per tutte quelle volte che mi hai regalato un sorriso… Per tutte quelle volte che sei riuscito a farmi sentire importante… Per tutte quelle volte che mi hai dimostrato e dichiarato il tuo bene… Per tutte quelle volte che mi sei stato vicino, pur essendo lontano… per tutte quelle volte che avrei voluto dirti tante cose che hai compreso senza che io aprissi bocca… per quello che sei, e sarai sempre per me: grazie!

Cioè?

Con le esperienze che portiamo avanti (studio, lavoro, rapporti interpersonali, etc.), “evolviamo” la nostra persona e l’energia a nostra disposizione… e poi, un giorno, la restituiremo! Potrebbe essere questa, la base da cui trae spunto l’evoluzione globale dell’ambiente, per cui ogni generazione si ritrova più “avanti” della precedente. 

Ruoterebbe intorno a ciò, in fondo, il motivo per cui siamo chiamati a vivere: evolvere e condividere.

Tra l’altro, sul piano puramente “energetico”, riusciremo ad “entrare” nella mente delle persone sotto forma di ricordo di noi, tanto più difficile da cancellare quanto più saremo considerati punti di riferimento positivi o, addirittura, elementi di identificazione: ci perderemo nei circuiti neurali degli altri diventando una cosa sola, inter reagente. 

Probabilmente è la migliore spiegazione dell’inconscio collettivo di Junghiana memoria.

D’altronde, basta osservare, in Natura, la trasformazione, ad esempio, di una foresta, la pianta nasce, cresce, si sviluppa dopo di ché comincia a rinsecchirsi ma, nel frattempo, ha disperso intorno a sé gli elementi fondamentali che daranno vita a nuove piante. In questo modo, la componentistica iniziale, consente la prosecuzione sine die, senza interruzione, senza soluzione di continuità di ciò che è stato, di ciò che rappresenta e di ciò che sarà.

Ne l’ultimo Samurai, questi ultimi combattono per le tradizioni e per l’Imperatore a cui sono fedeli fino alla morte e contro gli ideali occidentali del commercio e della tecnologia, voluta da politici e generali senza scrupoli. Il capo dei ribelli samurai, Katsumoto, si incontra con l’Imperatore Meiji ma questi è troppo debole per opporsi al volere del generale Omura ed ai politici.

Katsumoto viene arrestato e, come da tradizione, lo aspetta il suicidio rituale.

Ma Algren e i samurai lo liberano e lo convincono a morire, non per suicidio, ma riguadagnando l’onore combattendo. Tutti sono consapevoli che le spade dei samurai sono ben poca cosa al confronto con le mitragliatrici e i fucili dell’esercito; nella battaglia finale, nonostante le mitragliatrici avversarie, i samurai resistono finché possono, morendo ad uno ad uno. Alla fine, Katsumoto chiede ad Algren di aiutarlo a morire con onore. I soldati dell’esercito regolare giapponese, si inchinano davanti a tanta “grandezza”.

“La vita è veramente curiosa e imprevedibile: pensi di avere raggiunto un equilibrio, un traguardo e, quando meno te lo aspetti, ti si sconvolge tutto e si ricomincia tutto daccapo. Le ferite non completamente rimarginate ricominciano a sanguinare un po’, invece quei taglietti impercettibili finchè non ci passi il dito sopra si aprono lasciando intravedere quanto profondi essi siano… e ti ritrovi a fare i conti con tutto quello che avevi archiviato e messo da parte, a viaggiare all’impazzata all’interno della mia anima.

Ma poi, pian piano tutto si sistema e….si ricomincerà tutto daccapo. Questo è il segreto della vita, un percorso circolare che non ti riporta sempre al punto di partenza però, perchè quello che lasci nel momento in cui vai è sottoposto, come noi, al cambiamento, alla trasformazione.

Per cui, quando arrivi, dopo il giro, trovi che tutto è cambiato. E questo ti stravolge. La malinconia, in tutto ciò, trova la sua più ampia spiegazione: il dolore è sempre quello del distacco. In fondo poche sono le cose da capire per poter viaggiare afferrando tutto quanto può donare la serenità, ma questo solo verso la fine, la fine del viaggio” (Fernanda Annesi)

Cari Lettori, per tornare alla Partita della Vita di cui abbiamo fatto cenno all’inizio di questo Editoriale, intorno al tavolo verde, “Eros” (o “ES”, per dirlo alla Freud) distribuisce le carte provando a conytrastare la morale del “SuperIo”e regola il gioco imprimendo la voglia di continuare ma, il più “coriaceo” dei giocatori, è senza dubbio “Narciso” che ammalia l’Es visto che è “pazzamente” innamorato di sé

Ma, il padrone di casa dove si svolge questa partita, è l’Io, cioè quella parte di noi che: media tra Es, Super-Io e realtà; ci offre un corretto esame di realtà e una adeguata immagine di noi; è capace di orientarci in senso spazio temporale e consente il controllo delle pulsioni e la tolleranza verso le frustrazioni attraverso una buona capacità di giudizio.

Cari Lettori, i primi bipedi che riuscirono a sollevare la testa e a guardare il sole, la luna e le stelle, conobbero anche la paura. E l’angoscia, come ricordo ancestrale di un indispensabile stato d’animo per muoversi verso la crescita interiore.

Lutto e angoscia ci accompagnano come pungoli della Psiche quasi a ricordare che, ogni passo verso il Futuro è un avanzamento verso l’ignoto da esplorare.

La differenza fra l’ansia e la paura del vivere e una sana e sacra apprensione (che evita superficialità e irresponsabilità) dipende da quanto siamo riusciti a restare in sintonia con l’Io, per essere pronti, di fronte a ogni evenienza.

Perché sentiamo la Vita, in ogni respiro

Piansi, per la prima volta, quando scoprirono un tumore inoperabile a mio padre. Un pomeriggio lo trovai seduto davanti alla finestra. Arrivai dietro di lui senza che si voltasse, gli misi le mani sulle spalle e m’accorsi che le lacrime, silenziose, scendevano sul suo viso. Mi disse: <<ancora non sono pronto>> E anche a me scesero le lacrime e restammo a lungo silenziosi e piangenti guardando i pini del giardino di fronte a quella finestra (Eugenio Scalfari – L’Amore, la Sfida, il Destino)

Cari Lettori, ogni giorno i media ci inondano di episodi di violenza sempre più efferati. Un banale litigio di parcheggio porta a omicidi e aggressioni senza senso e totalmente sproporzionate nel loro sviluppo.

Come scopriamo sulla nostra pelle, viviamo in una Società senza valori nella quale i genitori non sanno educare i figli e questi ultimi, senza freno e limiti, dedicano il loro tempo a bere, drogarsi e a liberare i più bassi istinti.

Tutte le età della storia sono state contrassegnate da giovani che hanno vissuto al di fuori delle regole e, spesso, hanno commesso violenza, del tutto indifferenti al valore della vita.

Nel 1962 Antony Burgess pubblicò un romanzo fantapolitico intitolato “Arancia meccanica”, da cui Stanley Kubrick trasse una famosissima versione cinematografica.

Lo scrittore fu spinto a scrivere l’opera per aver vissuto un episodio di grande violenza: la moglie “disturbata e importunata” (l’espressione castigata è nostra) da un gruppo di soldati ubriachi.

Il romanzo è ambientato in un futuro distopico, dominato da spaventevoli violenze.

Alex, assieme ai compagni della sua banda compie violenze di ogni tipo vissute con leggerezza e indifferenza, sulle note dell’amato Beethoven.

Per Burgess l’essere umano è un animale azionato da meccanismi ad orologeria. Basta un nonnulla per trasformare un momento di vita normale in una orgia di sangue e violenza.

L’uomo è un giocattolo a molle pronto ad essere caricato da Dio, dal diavolo o dallo Stato impotente.

Per porre fine alla guerra di “tutti contro tutti”, è nato lo Stato col compito di proteggere tutti e frenare ogni forma di violenza.  Ogni epoca ha profuso risorse in impegni di questo genere ma i risultati mai sono stati proporzionali alle attese.

Spesso, siamo combattuti tra il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà.  Ma resta comunque forte, in noi, l’esigenza di un impegno verso gli ultimi, gli abbandonati, i reietti.

E allora?

Nel Jazz, l’identificazione fra compositore ed esecutore, avviene come condizione naturale e necessaria  e, di fatto, non si riconosce più chi ha composto il brano e chi lo esegue.

La stessa cosa accade ogni giorno per ognuno di noi e, anche se qualcuno sostiene che il caso si manifesta quando Dio vuole agire in incognito, la vita altro non è che interpretazione (delle leggi di Natura)

E, l’interpretazione, è nostra, soltanto nostra.

Chi è quel “signor Méndez” che ha pietà di noi, che ci fa stupire… e che trasforma il bruco deforme della nostra anima in una splendida farfalla ? (Antonio Socci)

Cari Lettori, c’è da tempo, in rete, un bellissimo cortometraggio diretto da Joshua Weigel: The Butterfly Circus (Il circo della farfalla). Dura 20 minuti ed è sottotitolato in italiano.

Parla di emarginazione e disabilità ma ci si sbaglierebbe a credere che la tematica sia la sofferenza della disabilità o l’emarginazione. È un film sulle anime più che sui corpi, così come ci indica proprio il “signor Méndez”, direttore del “Circo della farfalla” che presenta alla fine, il deforme Will come “un’anima coraggiosissima”.

Le mutilazioni di Will rispecchiano l’immagine della nostra umanità, fatta di tanti “noi” inchiodati alla disperazione della propria solitudine, al proprio “non essere amato”, all’essere una vittima impotente di un mondo crudele che trae guadagni dalle minorazioni.

La storia, infatti, si apre proprio sullo spettacolo crudele del mondo, che di questa miseria umana fa spettacolo: “il miglior spettacolo, di mostri, della città”, con tanti  poveretti esposti come animali e crudelmente derisi per le loro deformità.

Fino ad arrivare a Will, “Una perversione della natura, un uomo – se così lo si può chiamare – a cui Dio stesso ha voltato le spalle!”.

Volendo essere sinceri, questo è il modo come noi ci vediamo e vediamo gli altri: abbandonati da Dio. E quindi asserviti a chi fa, senza scrupoli, mercimonio della nostra umanità.

Il pubblico, al cospetto di Will alterna sguardi di orrore, derisione, risolini e crudeltà. Ma, un giorno, in quel cinico Luna Park, è arrivato un uomo diverso da tutti. Il “Signor Méndez” ha uno sguardo diverso su quei poveretti.

La sua compassione, il suo fermare la crudeltà dei ragazzi che usano Will come bersaglio da colpire fisicamente, il suo levarsi il cappello davanti a lui, il suo “tu sei magnifico!” l’immediato perdono per lo sputo del povero disperato che credeva di essere deriso…

Il “Signor Méndez” lo scusa e lo giustifica: “Non è successo niente. E’ colpa mia. Forse mi sono avvicinato un po’ troppo, giusto amico?”.

Perché, lui, è il direttore del “Circo della farfalla”, quello che – secondo il mondo – fa “spettacoli stravaganti”, perché è diverso dal luna park delle mostruosità.

Will decide di seguirlo e viene accolto con calore, ma nessuno lo “esporrà” più in vetrina perché “Non c’è niente di edificante nell’esporre le imperfezioni di un uomo… noi siamo contenti che tu stia qui con noi e puoi restare finché vuoi, ma io dirigo un altro tipo di spettacolo”

È lo spettacolo della bellezza, dell’armonia, dell’audacia, dell’abilità umana. Lo si vede quando in un villaggio triste e decadente arriva questa “strana” Compagnia: “Signori e signore, ragazzi e ragazze, ciò di cui ha bisogno questo mondo è di un po’ di stupore”.

Mendez spiega a Will quale sia la vera “bellezza” dei suoi artisti: sono tutti dei redenti, sono persone che erano state buttate dal mondo come perduti e perdenti. E sono rinate. Perché, il “Circo della farfalla”, mostra appunto questo meraviglioso spettacolo: il bruco deforme che diventa bellissima farfalla.

“Se soltanto, tu, potessi vedere la bellezza che può nascere dalle ceneri”.

” Ma sono diversi da me”

” Sì, tu un vantaggio ce l’hai: più grande è la lotta e più è glorioso il trionfo”.

E, Will, una sera si tuffa da 15 metri di altezza per planare, come un Angelo, in un piccolo specchio d’acqua, diventando il simbolo del riscatto per un bambino zoppo, con le stampelle.

Cari Lettori, vogliamo salutarvi mettendo a vostra disposizione il filmato che vi abbiamo descritto, con la speranza che riusciate a rintracciare una ventina di minuti, per assaporare una sequenza di emozioni che trasmetteranno la percezione della vita, ad ogni respiro.

IL CIRCO DELLA FARFALLA

Si, sono milioni di stelle. E, milioni di stelle, sono due occhi che le guardano (Antonio Porchia)

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento affettuoso ad Amedeo Occhiuto, per la preziosa collaborazione