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La prima stesura di questo articolo risale al lontano 23 marzo del 2002 e prende spunto da un momento di vita vissuta, di sera, lungo le strade della Capitale, immerso nei pensieri di una profonda (ma non sofferta) solitudine. Molta acqua ha lasciato traccia di sé, da allora ad oggi, sotto i ponti che si specchiano sul Tevere e sull’Aniene…. Per questo motivo, viene riproposto, arricchito di nuove emozioni che il tempo non è riuscito a stemperare.

BUONA LETTURA

” Se non sei cambiato ancora, non lo fare… a noi piaci così!”

” In questo mare di macchine, non uscire da solo… portaci con te!”

Roma. Sono le ore 19:00 di un giorno qualsiasi, in un crepuscolo un po’ freddo e scuro…

Con cadenza studiata da esperti di marketing, riecheggiano nell’etere, diffusi da una nota emittente radiofonica della capitale (che, peraltro, irradia un prodotto musicale di elevato livello qualitativo) queste due suadenti raccomandazioni.

“Affondo” lentamente nel traffico capitolino, getto un’occhiata a qualche vetrina allestita per il cambio di stagione e analizzo il contenuto di questi messaggi. Mentre procedo nelle mie riflessioni, rievoco dalla memoria il racconto (tramandato da Omero) delle sirene che, con soavi richiami, irretivano i naviganti, all’epoca di Ulisse e della sua Odissea.

“Se non sei cambiato ancora, non lo fare… a noi piaci così!”

Quest’input colpisce chi lo ascolta perché consente una “fuga” dalla realtà: la possibilità di aggirare l’ostacolo costituito dal cambiamento “costante” che ognuno “deve” portare a termine, per garantirsi (come ogni specie vivente) la sopravvivenza mediante l’adattamento al mutare delle condizioni ambientali.

Ogni essere umano si modifica più o meno consapevolmente, giorno dopo giorno, in base alle stimolazioni provenienti dall’ambiente circostante, le quali innescano elaborati di pensiero più o meno corretti.

Qualsiasi variazione delle proprie abitudini, però, arreca disagi in quanto si genera un perturbamento di equilibri interni.

Non sono molte le persone che accettano il disagio e lo stress che derivano dal superare le resistenze dietro cui ci si trincera per mantenere uno “status quo” (una condizione stabile ed immutabile), così come fa il cane che difende l’osso che ha in bocca: ha paura della fame!

Effettivamente, in questa Società ipertecnologizzata, dove tendono a scomparire gli spazi e i momenti in cui manifestare sentimenti umani, in realtà si ha paura di “sentirsi” autonomi, perché si è allevati alla cultura della paura: paura del presente, paura del futuro, paura per ciò che è stato e che può “tornare”.

La paura è l’espressione più ampia del disagio correlato al cambiamento, eppure i Filosofi ci spiegano che la nostra esistenza si snoda attraverso un inesorabile divenire…

Osservando i viali dell’Eur, mi torna in mente la magistrale descrizione di Eugenio Scalfari quando, nel suo “Racconto autobiografico”, scrive che negli anni dell’adolescenza, il seme di “Uomo” che fermenta durante l’infanzia, emerge assumendo le fattezze di un arbusto che affonda nella terra le sue fresche radici mentre, sui rami ancora teneri, spunta il verde della fronda e si spande il profumo delle gemme e dei fiori.

Allora penso che l’albero verrà al tempo giusto, con la sua corteccia protettiva, i suoi rami e le sue foglie come luogo ospitale per le generazioni degli uccelli che vi faranno il nido e, insieme a loro, anche le formiche e i bruchi che risalgono il tronco in cui scavano i loro rifugi.

Il tramonto sul Tevere mi ricorda che, in questo modo, si scandiscono le stagioni della nostra vita e il nostro piccolo ma necessario ruolo nell’immensa foresta del mondo.

A interrompere  questa “magia”, mi sovviene un pensiero: se è vero che, spesso, i messaggi del mondo esterno vengono interpretati sulla base delle proprie tracce mnestiche prevalenti, il secondo invito radiofonico (In questo mare di macchine, non uscire da solo… portaci con te!) è più subdolo e più pericoloso.

” Questo mare di macchine…Non uscire da solo…” il significante subliminale di questa comunicazione verbale, può intendersi pressappoco così: “Non avere paura, tu hai un’identità poco matura, è vero…ma ti accompagniamo noi; saremo la tua coperta…Linus, il tuo feticcio. Forza, portaci con te! Ti diremo cosa fare, cosa comprare; entreremo nei dialoghi dei tuoi pensieri più reconditi. Vivremo per te, a noi piaci così e noi saremo come tu ci vuoi…”

A chi giova la creazione ed il mantenimento di un simile costrutto mediatico?

A chi detiene le leve del potere occulto, ai registi del “Grande fratello” nella cui “Biosfera” noi tutti viviamo.

Chi può dirsi, infatti, libero di pensare, in senso assoluto?

“Quando superiamo una certa età, l’anima del bambino che fummo e l’anima dei morti da cui siamo usciti, vengono a gettarci a manciate le loro ricchezze e i loro sortilegi, chiedendoci di cooperare ai sentimenti che proviamo e, nei quali, cancellando la loro antica effige, la rifondiamo in una creazione originale. A partire da un certo momento, dobbiamo ricevere tutti i nostri parenti arrivati da così lontano e riuniti intorno a noi”.  (Proust – Alla ricerca del tempo perduto: la Prisonniere)

Nessuno può affrancarsi dai propri condizionamenti (almeno) “trigenerazionali”, per assemblare le proprie idee e i propri concetti. Se consideriamo che molte delle nostre acquisizioni risentono, anche, del “bombardamento” del Sociale…il gioco è fatto!

Quante sono le “Chiese” che, con i diversi indirizzi (politico, religioso “integralista”, culturale, etc.), opprimono con la paura lo sviluppo corretto della personalità dell’essere umano?

 Bevvi il calice della disperazione fino alla feccia ed in fondo vi trovai Iddio!…

…mi rendo conto, con un sussulto, di essere tornato mentalmente al 1978…al “mio” quinto ginnasio… a Manzoni ed alla sua catarsi: ho indossato “di straforo” il montone nuovo di papà e, a scuola, Mary Attento me ne ha macchiato una manica con della colla liquida; mi torna in mente Manzoni: 

Se soffri, se sei vittima di sopraffazioni, è inutile cercare di uscire dalla mota con il miglioramento delle tue capacità… c’è la catarsi! Il dolore è un momento di crescita; col sangue si lavano i peccati dell’umanità… 

Ed io mi rassegno alla “giusta” punizione (Per inciso, mio padre reagì con distacco all’evento perché, in quel periodo, eravamo alle prese con dei gravissimi problemi di salute da parte di un nostro congiunto: “Ubi maior…minor cessat !”).

Continuo la mia lenta marcia…sono ancora lontano dalla mia residenza romana ma, ormai, la mia immaginazione cattura ricordi ad un ritmo frenetico…

“Aggregati, o essere umano, sinciziati! E nella massa, col timore, obbedisci al tuo Dio (qualunque esso sia)” …

…e sono tornato indietro nel tempo…luglio 1982 …gli esami di Stato… l’angoscia per essere stato abbandonato da quella che credevo essere una componente stabile della mia vita…

Altri ricordi…sono con il mio amico di sempre, Antonio, compagno (suo malgrado) di mille rocambolesche avventure: insieme, stiamo circumnavigando la costa calabrese (a bordo della mia Panda 30) convinti del fatto che l’amore passa ma l’amicizia resta (per inciso, non ci frequentiamo da molti anni: da parte mia c’è il rammarico di averlo “trascurato”; da parte sua, credo, il fastidio ben celato, data la sua signorilità, per il mio comportamento non proprio coerente). È da poco uscito l’album di de Gregori “TITANIC“… stiamo ascoltando “San Lorenzo”, un brano che parla del bombardamento a Roma, durante la II° guerra mondiale: “…il 19 luglio a San Lorenzo, il Papa uscì da solo fra la gente… spalancò le ali, sembrava proprio un angelo con gli occhiali…”

….perché mi torna in mente questo brano musicale?

Forse perché in questo momento mi trovo a Roma, è sera e sono stimolato dall’ascolto di messaggi che, come allora, mi fanno sentire malinconico e “solo”.

…Sono solo… e mi ritorna in mente “San Lorenzo”: la gente, dopo il bombardamento alleato ha paura, ha bisogno di aiuto; il pontefice viene raffigurato come l’angelo che illumina e custodisce…ed esprime, con la propria mestizia, il dolore di un gregge che, alla fine, si rivolge alla mensa del Signore per una compensazione orale di qualcosa che ha perduto o, meglio, che non ha mai avuto.

…in questo mare di macchine e di confusione siamo veramente da soli a pensare, rimuginare, spinti da chimere mediatiche che ci possono disorientare al punto tale da farci rischiare l’incontro con qualche professionista onesto ma limitato, il quale ci “relega” ai margini della Società (lei si, schizoide) bollandoci come individui malati e pericolosi.

…e ritornano i miei ricordi… sono in una clinica dove ho svolto molto del mio tirocinio post laurea, nel settore psichiatrico… sto leggendo la poesia di Andrea… fa parte di una collana presentata al Maurizio Costanzo Show : “Inconcepibile è, a volte, l’assurdità della vita. Vivere sapendo che si può soffrire in qualsiasi momento e, nello stesso tempo, sperare che tutto quanto si trasformi in gioia. Siamo esseri limitati nelle nostre azioni, nel nostro pensiero, eppure a volte ci sentiamo degli Dei. Comprendere che la vita è fatta così, di alti e di bassi, è capire noi stessi: la nostra intima natura di uomini “.

Finalmente sto per arrivare a destinazione e non mi va di terminare il viaggio con questo stato d’animo…

…spengo la radio e comincio la ricerca di un “pensiero felice”…

…ci sono!

… mi vedo… parlo con le mie due figlie (Mariarita e Valentina, le ho desiderate fin da quando ero piccolo e me le immaginavo proprio come sono adesso)…racconto loro la storia di un uomo saggio che viveva lontano lontano …ma vicino al cuore degli avidi di sapere: quest’uomo, chiamato giovannino, ripeteva a chi sapeva ascoltare…

“Se puoi avere fiducia in te stesso quando tutti dubitano e dimostrare loro che sbagliano…

Se sei felice perché ti rendi conto di poter godere, attraverso i tuoi 5 sensi, delle bellezze della Natura…

Se sei in grado di parlare alle masse e rimanere con i piedi per terra, anche se consapevole delle tue capacità…

Se puoi riempire ogni minuto della tua vita, di 60 secondi di lavoro proficuo, teso a renderti migliore…

Se puoi conoscere il trionfo e la sconfitta insieme e restare distaccato di fronte alle due facce della stessa medaglia…

Allora non avere paura ma… come Peter Pan… apri le braccia e poi vola!”

Non invecchiate, nel profondo del vostro cuore, non invecchiate mai!

E, Roma, mi accoglie fra le sue braccia. Eterne.