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“Nonna, come si fa a superare un momento così buio?”

“Bambina mia, l’oscurità è solo un invito. A liberarti dalla vita di prima. Si spengono i riflettori su ciò che era per poter vedere ciò che è.”

“In questo momento vedo solo nero.”

“Perché stai cercando la luminosità quando invece è proprio in quel nero che puoi trovare la tua forza. Non rifiutare il buio, attraversalo.”

“Potrei morire…”

“Potresti invece solo guarire. Da tutti i tuoi malanni interiori.”

“Nonna, guarire è un’altra cosa. Vuol dire sentirsi bene, in pace con sé stessi e con il mondo, significa essere in forma ed avere forze necessarie per affrontare la vita.”

“Bambina mia, ci hanno fatto credere che per stare bene bisogna impiegare il tempo ad allontanare i problemi. Ma la via per l’arricchimento interiore è un altro. Guarire significa avere il coraggio di camminare attraverso la propria oscurità. Non conosco altra via di guarigione se non il viaggio buio e misterioso. Dentro sé stessi.”

(Elena Bernabè)

Cari Lettori, è opinione comune che, in linea di massima, si sia inclini a parlare e scrivere, di qualcosa che ci “appartiene”, soprattutto quando ci si deve difendere da possibili detrattori, al “meno peggio possibile”. Per ovvi motivi, in questo momento, una simile operazione sarebbe troppo somigliante al tentativo di indossare quegli occhiali spacciati (anni fa) come emettitori di raggi x, in grado di consentire la visione della beltà femminile “indagando” sotto le vesti della signorina di turno: un patetico tentativo di presa per i fondelli.

Qual è la vera realtà?

Forse quella di tutti i giorni, sotto gli occhi di tutti, fatta di paure e contraddizioni, in cui crollano le vendite di automobili per gente “comune” e aumentano quelle delle vetture di prestigio? Quella in cui la prospettiva dei fine mese è amara come il calice da trangugiare dopo che hai svenduto anche la dignità e, al tempo stesso, le città della moda (anche se outlet) registrano altissime punte di clienti? Quella in cui, migliaia di famiglie l’anno rinunciano a curarsi per motivi economici (fonte Emergency) mentre, in borsa, “volano” i titoli del lusso? 

È un mondo strano, il nostro, maledettamente strano, che ama vivere delle promesse altrui e osannare i potenti (o i santi) di turno, salvo lamentarsi, poi, quando questi sono tanto lontani da non poterli ascoltare. 

Un Luogo (ormai “Non Luogo”, vista la sconfinata globalizzazione “al ribasso”) dove, malgrado l’ignoranza, ci si sforza a voler credere che tutto sia “intelligente” e, poi, ci si scopre a difendersi dalle infezioni con modalità non dissimili da quelle applicate nel medioevo e consapevolizziamo di non riuscire a resistere alla tentazione dell’autodistruzione

Neanche gli indovini, ormai, fanno previsioni per l’indomani.

Aspirazioni riottose, le nostre: burocratizziamo tutto e non funziona niente. Poi, per metterci d’accordo, si ruba tutti, più o meno onestamente. Ambientazioni fosche le nostre, in cui si crede ancora che “si stava meglio quando si stava peggio” e in cui si pretende di farci credere che saremo in grado di reagire al meglio, di fronte alle crisi internazionali. 

Qualcuno teorizza un ritorno all’Età del Ferro intendendo con ciò, un regresso vertiginoso. Anche in questo, c’è poca “illuminazione”! L’Età del Ferro indica, originariamente, un periodo della preistoria o protostoria europea, caratterizzato dall’utilizzo del ferro, soprattutto per la fabbricazione di armi e utensili.

In Europa e nel vicino Oriente, segue all’età del bronzo e precede l’ingresso della cultura, considerata nel periodo storico, nel quale sono cioè presenti fonti scritte. L’età del ferro inizia intorno al dodicesimo secolo avanti Cristo nel mondo mediterraneo e tra il nono e l’ottavo secolo a.C. nell’Europa settentrionale.

Si tende ad indicare con “Età del Ferro”, non una fase cronologica o uno stadio evolutivo, ma la presenza di una tecnica che influenzò profondamente e in modo duraturo la società di alcune culture, in particolar modo in Europa. Qualcosa, insomma, che stravolse in senso positivo e influenzò tutto quello che venne in seguito. Forse, noi esseri umani, non siamo mai usciti completamente da questa fase, in quanto piccoli e “anagraficamente” infantili rispetto alla data di nascita dell’Universo.

Quello che scorre sotto i nostri piedi (e dentro la nostra vita) sembra, quindi, essere un momento di grande crisi, sotto tutti i punti di vista, dal quale uscire con impegno e grande fatica in attesa di tempi migliori.

Vengono alla mente alcune pagine basilari di Gian Battista Vico sui corsi e ricorsi storici. Si passerebbe da momenti di “barbarie” a fasi di lenta e progressiva civiltà. Vico è un grande filosofo e la sua originale opera non può certo essere “banalizzata” con un “semplice” richiamo generico come il nostro…

Il problema è che, da quando abbiamo memoria storica, registriamo miglioramenti di vita materiale, con un innegabile progresso tecnico ma, nel contempo, notiamo una costante dura da contestare: la cattiveria e crudeltà dell’essere umano.

Certo in ogni epoca ci sono i buoni, i miti che testimoniano bontà ed amore. Ma costoro, all’atto pratico, incidono poco perché coloro che hanno il potere, in ogni epoca, hanno inteso e intendono tuttora scontrarsi senza pietà (e senza regole né, tantomeno, onore) per imporre la propria volontà con la forza.

E il comportamento violento si registra anche fin nei comportamenti del singolo, allorquando per (più o meno) futili motivi si sopprime quel Miracolo chiamato “Vita”.

Cari Lettori, possiamo attribuirci la patente di “Umanità” se ogni giorno siamo in presenza di guerre, stragi e violenze di ogni tipo?

Avvertiamo un senso di frustrazione e amarezza profonda.

La situazione è ben delineata da una grande e assai efficace poesia di Salvatore Quasimodo del 1946. Sono passati decenni ma sembra stata vergata solo un attimo fa, scritta oggi tanto è la sua totale verità per quanto accade nel Pianeta.

Riportiamo gli amarissimi versi intitolati (non a caso) “Uomo del mio tempo”:

Sei sempre quello della pietra e della fionda, Uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte; t’ho visto dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T’ho visto, eri tu con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta. E questo sangue odora come nel giorno quando il fratello disse all’altro fratello, ‘andiamo ai campi’. E quell’eco fredda, tenace, è giunta fino a te, dentro la tua giornata. Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue salite dalla terra, dimenticate i padri, le loro tombe affondano nella cenere, gli uccelli, il vento coprono il loro cuore.

Ogni immagine di questa poesia ci rimanda ad una sequenza di qualsiasi telegiornale degli ultimi decenni. L’orrore prodotto dai versi è grande, quello televisivo, dopo la prima volta, diventa abitudine tanto che, molti di noi, pranzano (o cenano) in simultanea con simili “orridi” programmi e non si scuotono realmente per nessun dramma.

Anzi andiamo sempre a caccia di registrare drammi quantitativamente sempre più grandi. Da Guinness dei primati.

Ripensando alle profonde riflessioni dello psicoanalista Aldo Carotenuto, guardiamo con comprensione e raccapriccio all’uomo gettato nel mondo che deve accettare di vivere, con angoscia, la sua esistenza.

“Ma perché alcuni sono presi dall’angoscia e altri no?”

Forse è un problema di sensibilità e consapevolezza introspettiva, per cui  per esempio, alcune persone non si pongono mai degli interrogativi, accontentandosi di essere  comparse di ciò che accade.

E ci sono, invece, quelli che tentano di scoprire il “perché” delle cose, pur non avendo strumenti di “luce” adeguati. E, allora, l’angoscia diventa uno strumento significativo.

Molto avrebbe potuto essere diverso se io stesso fossi stato diverso. Ma tutto è stato come doveva essere; perché tutto è avvenuto in quanto io sono come sono. Molte cose si sono realizzate secondo i miei progetti, ma non sempre a mio vantaggio ma quasi tutto si è svolto naturalmente e per opera del destino. Devo pentirmi di molte stupidaggini provocate dalla mia ostinazione; ma se non fossi stato ostinato non avrei raggiunto la mia meta. E così sono deluso e non lo sono. Sono deluso degli uomini e di me stesso. Dei primi ho appreso tante cose sorprendenti, e di me ho fatto più di quel che mi aspettassi. (C.G. Jung)

Forse, continuando il “pensiero” di Jung, possiamo considerare il mondo nel quale siamo nati come qualcosa di brutale e crudele ma, al tempo stesso, colmo di una divina bellezza.

E, in fondo, dipende dal nostro saperci rispecchiare, riuscire a scoprire che cosa prevalga: il significato, o l’assenza di significato.

Se la mancanza di significato fosse assolutamente prevalente, a uno stadio superiore di sviluppo la vita dovrebbe perdere sempre di più il suo significato; ma non è questo, il caso. Probabilmente, come in tutti i problemi metafisici, tutte e due le cose sono vere. Io nutro l’ardente speranza che il significato possa prevalere e vincere la battaglia. Lao Tse dice: ‘Tutti sono chiari, io solo sono offuscato’ Ebbene, è ciò che io provo ora, nella mia vecchiaia avanzata. Lao Tse è l’esempio di un uomo di una superiore intelligenza, che ha visto e provato il valore e la mancanza di valore e che, alla fine della sua vita, desidera tornare nel suo proprio essere, nell’eterno inconoscibile significato. (C.G Jung)

Non mancano autorevoli inviti a tentare di essere buoni. Restano lettera morta. Pensiamo all’Enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco. Sono pagine che dovremmo leggere traducendole in azione. Per ora sembra la prefigurazione di un mondo utopico. Ma i tempi difficili non debbono avvilirci o abbatterci. Dobbiamo ogni giorno fare qualcosa, sia pure minimale, che vada nel solco di un mondo che ci veda realmente fratelli.

La tenacia deve essere la nostra forza.

Nonostante le sconfitte che registriamo ognj giorno a livello generale e personale, dobbiamo tenere salda la barra del timone verso il prossimo.

Ti ho visto, uomo, senza amore, senza Cristo, scrive Quasimodo e, noi, dobbiamo riscoprire l’amore e Cristo. Ognuno può riscoprire Cristo nel modo più congeniale: il cattolico lo metterà al centro del suo discorso religioso e di vita, il laico farà tesoro della testimonianza del Vangelo e scoprirà la bellezza del prossimo con tutto ciò che comporta nei rapporti umani e sociali.

Dovremmo riscoprirci fanciulli.

Come scrive Antoine De Saint – Exupery: Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano.

Nel frattempo, non rinunciamo ad affinare il nostro spirito di compassione e cerchiamo di sentire il lontano come vicino.

L’egoismo è la nostra caratteristica più negativa. Questo non mi tocca?

Bene, non mi interessa. No!

James Joyce, nel suo “Ulisse” ha scritto: Noi camminiamo attraverso noi stessi, incontrando ladroni, spettri, giganti, vecchi, giovani, mogli, vedove, fratelli adulterini. Ma, sempre, incontrando noi stessi”

Allora, dovremmo abbracciare questo “buio” perchè non rappresenta il tramonto della Civiltà ma, semmai, una nuova aurora cui abbiamo l’obbligo di andare incontro con lo stesso spirito di quello espresso nei versi del Monaco e Saggista Enzo Bianchi: “Nella vita non stancarti mai di cercare, accetta la fatica del vivere e del pensare, del credere e del dubitare: non accontentarti di ciò che appare in superficie ma indaga, interroga, fatti delle domande anche se a volte non trovi risposte. Il sapiente è sempre un cercatore“.

E allora, Cari Lettori, in marcia per andare oltre il crinale che impedisce al sole di rendere visibile tutto quello che sta, al momento, nell’ombra.

Parola d’ordine?

Evolvere e condividere perché, come scrisse Dante Alighieri, “Uomini, siate, e non pecore matte!”.

Ed è per questo, cari Lettori che, agganciandoci alla suggestiva immagine di copertina, vorremmo idealmente affidarvi agli elefanti (che rappresentano il simbolo di potenza, saggezza, memoria, temperanza e amore cristiano che dirige l’uomo e che schiaccia il peccato) sulle note di questa particolare melodia di Renato Zero che si riaggancia alle riflessioni con cui abbiamo “aperto” questo editoriale.

Un cerchio della vita, insomma, grazie al quale il sole non tramonta mai: ci costringe, semmai, a seguirlo per illuminare anche il più oscuro degli “anditi”.

SI STA FACENDO NOTTE

Staccate la corrente
Un po’ di pace qui
Fermiamoci un istante
Voglio stringerti così
È bello ritrovarsi
Abbandonarsi, eh già
Costretti in questa fabbrica alienante
Chiamata città

Non sentono ragioni
I sentimenti, no
Almeno per un po’
Mi apparterrai

Ti apparterrò

Inutili rumori
Non è felicità
Vorrebbero convincerci
Che il paradiso è qua
È un mondo virtuale
Padrone, chiunque sei
Smetti di spiarci, di sfruttarci
Esistiamo anche noi
Infondo a questa vita
Talmente breve che

Non è un delitto se
Se la offro a te

Di travagliati giorni
Fantastiche tournée
Io contro il mondo
E tu a fianco a me
Quel coraggio dov’è?
Si sta facendo notte

È il nostro cantiere che riparte
Più efficiente che mai
Oh, guai se così non fosse
Siamo ancora pieni di risorse
Aspetta e vedrai

La voglia di cantare
È figlia dei miei guai
Salvare quel sogno
È tutto ciò che vorrei
Mi aiuterai
Si sta facendo notte

C’è gente che non dorme ma riflette
Sul tempo che va
Non è un problema l’età
Aprite quelle porte
E fate entrare amore in ogni cuore

Finché ce ne sta

Non fosse stata musica
A guarire i silenzi miei
Non starei qui a difenderla
Non ti chiederei
Di credere in lei, lo sai
Si sta facendo notte
Se questa nostra stella non decolla

Avrò sbagliato e anche tu
Che ti aspettavi di più
Son giochi disonesti
Per tanti irresistibili idealisti
Assoluzione non c’è
Diamoci dentro affinché
Non si faccia notte

Alziamoci fin lassù
Mattone su mattone
Seguiamo questa pallida illusione
Qualcosa succederà
Si sta facendo notte

Enzo Ferraro – già Dirigente Scolastico, Letterato, Umanista, Politologo

Giorgio Marchese – Direttore “La Strad@”

Un ringraziamento ad Amedeo Occhiuto per gli aforismi proposti