Andando a vivere oltreoceano, l’italiano scopre che il sacrosanto “Ferragosto”, ossia il forzoso esodo estivo religiosamente seguito nella penisola, non esiste né in Canada né negli USA.
Almeno non nel senso ch’esso ha nello Stivale: “Periodo di vacanza comprendente i giorni precedenti e seguenti il 15”.
La sua sorpresa sarà grande.
Anche perché Natale, Capodanno, Pasqua sono realtà ben note e celebrate in Nord America. E “allora Ferragosto?” si chiederà il nostro italiano, perplesso e con una punta d’inquietudine.
Se è vero che ogni paese ha le sue feste santificate, non vi è paese i cui dizionari non registrino le festività laiche o religiose altrui: Ramadam, Pesach, Dhàrma, ecc.
Invece i dizionari “non italiani” restano muti o danno insufficienti chiarimenti circa questo rito collettivo pagano, denominato “Ferragosto”, durante il quale milioni di esseri umani surriscaldati e ansimanti s’incolonnano lungo strade ed autostrade sovraffollate, diretti a località altrettanto affollate, con il pretesto di volersi sottrarre a uno stress e a una confusione che essi stessi stanno creando. Il ferragosto, infatti, è come un cane che si morde la coda.
I comportamenti ferragostani, basati su questo imperioso obbligo di abbandonarsi alla breve, nevrotica “vacanza mordi e fuggi”, sono tipici di gente pesantemente condizionata dal diktat del conformismo; e che è molto lontana dallo spirito pratico e individualista di canadesi e statunitensi, cultori di “privacy” e di rapporti silenziosi con la natura.
Ma il conformismo italiano, accoppiato ad uno “snobismo” che nella penisola trasuda da tutti i pori – da intendere: da pori nobili, da pori borghesi, da pori proletari – esplode a ferragosto come un tric trac, tra odori d’ascelle e gas di scarico.
Questa sarabanda agostana, palla al piede dell’Italia produttiva, avviene nel quadro di un’altra realtà stagionale – la “pausa estiva” – anch’essa sconosciuta a statunitensi e canadesi; con l’eccezione del nostro Québec, dove vi sono le famigerate “vacanze della costruzione” (che però riguardano una fetta più ridotta della popolazione e durano un tempo più breve). Insomma, in questo, il Québec è un po’ italiano. Il che non è necessariamente un bene…
Claudio Antonelli – Giornalista, Scrittore (Montréal)