Posted on

È proprio curioso come alcuni aspetti della mia vita siano legati da una sottile ma profonda contraddizione. Alcune volte vivo stati dell’animo sostenuti principalmente dal legame esistente fra due opposizioni; è una forza debole perché i due estremi si trovano il più lontano possibile l’uno dall’altro. D’altra parte sono saldati da una complessità di interazioni che difficilmente resta superficiale, al contrario si insinua all’interno delle mie più radicate convinzioni tentando di far collimare le due cose.

Questa volta non so proprio da dove cominciare e dove vorrei arrivare. Però in realtà ho già iniziato, devo solo soffermarmi un momento e cercare di ricordare perché ho pensato ai riferimenti.

Mi ronza nella testa l’immagine di una notte della scorsa settimana in cui ho lottato contro me stessa affinché stabilissi e rispettassi una regola. A raccontarlo potrebbe perdere importanza e risultare anche un po’ divertente, ma in verità è tutt’altro. Penso di occupare una posizione, mi impongo di mantenerla, cerco di rilassare la muscolatura e di concentrarmi. Ma la parte di me più ribelle mi obbliga a smontare, a non cercare le motivazioni e ad agire d’impulso. Il risultato è uno spostamento.

Respiro un momento di sollievo dettato dalla libertà dell’istante che mi trovo a vivere. Ma quasi immediatamente mi assale lo sconforto, come se abbandonando, anzi non rispettando una posizione perdessi la stabilità, la sicurezza. Incomincia quindi una partita aperta in cui le due facce si scontrano a testa alta, ognuna carica di pretese da far rispettare. Il mio stile di vita mi suggerisce l’eccezione, ma il desiderio di normalità mi impone la regola. Sento di correre il rischio di cadere e mi ritrovo sul ciglio, sul bordo, in bilico. Senza nulla cui aggrapparmi.

Succede a volte che i lacci che tengono unite insieme le cose non si spezzino, ma si allentino. I pensieri allora diventano più liberi di spaziare fuori dalle idee, raggiungono le immagini meno probabili, quelle per nulla piacevoli da vedere e si perde un po’ la ragione. È come se uscissi fuori da me stessa e mi osservassi dall’esterno. In questo modo è più facile che le situazioni scivolino, è come assistere alla visione di un film in cui viene proiettata la tua immagine che si muove velocemente e che, per quanto ti sforzi, non riesci a rallentare. E allora comincia un inseguimento fra il corpo e la mente. Tra quello che vorresti e ciò che non vorresti accadesse. Ma soprattutto con quello che mai avresti immaginato succedesse. Non è facile tornare nell’immediatezza della realtà perché ti assale l’ansia e la paura, alimentati dalla velocità del pensiero e da una serie di reazioni che si traducono nella realizzazione della suggestione.

L’incredulità. Ma è possibile? Succede solo a me o è comune fra le persone?

Il buio della notte fa la sua parte, il silenzio della strada incrementa la traduzione delle percezioni. Mi scuoto a fatica da questo stato paralizzante e mi trascino lentamente alla ricerca di una nuova situazione, illudendomi che solo cambiando la disposizione possa riemergere.

Sento all’esterno la tranquillità della stagione. Ma come se non mi appartenesse, come se ne fossi esclusa non avendo la possibilità di partecipare. Che peccato se non vivessi questo istante potrebbe essere una di quelle notti che rimangono impresse nella mente, anzi all’incrocio fra la dolcezza del sentimento e la parte più gradevole della ragione.

Mi faccio coraggio, mi aiuto sfruttando quello che ho a portata di mano. Questa volta inseguo il sorriso, la leggerezza delle situazioni, cercando di scacciare tutto quanto possa sopraffare. Lentamente ritorno, mi guardo allo specchio e mi sento amareggiata, mi chiedo come posso mostrarmi. È tutto lì scritto sul mio viso, questa volta non riuscirò a camuffare, chi saprà leggere avrà molto su cui lavorare.

È bene ricordare che le tensioni si allontanano anche naturalmente, senza dover per forza trovare un perché, una spiegazione, anzi forse in tal modo si slacciano prima. In fin dei conti negli anni precedenti le situazioni erano analoghe, diverso era solo il modo di rapportarsi. Bastava dormirci su.

E mi viene ora di ritornare ai riferimenti. Se ne possono avere tanti su cui contare ma pochi su cui sperare, quelli che fanno parte della parte più importante di te, che sono nati nello stesso istante in cui hai respirato per la prima volta. Quelli che non hai visto per una vita intera, che ti sono sfuggiti di mano e invece erano lì ad aspettarti e sostenerti senza chiedere nulla in cambio. Quelli più autentici. Autentici come la sincerità del sentimento più profondo che vive nascosto all’interno e non aspetta il momento giusto per farsi notare. Ma può rimanere anche nell’ombra per sempre. Devi solo guardare meglio e poterti fidare.

Fernanda (25 luglio 2006)