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Laura, l’avvenire ci sfugge tutto sta cambiando, amore e lavoro per esempio: tutto sta mancando! La parte buona della nostra vita è ancora là, nei bar, sulla strada col futuro che ci illuminava. Sembravi spaventata al primo incontro col tuo sorriso leggero, sembravi più fragile mentre preparavi, in fondo agli occhi quell’attentato, che sono le lacrime, al mio desiderio sincero. Laura, prendi il tuo coraggio e abbracciami… Ora questo posto non fa più per noi; questo è un deserto di democrazia, oggi che le fabbriche sono chiuse, tutti se ne andranno.. Lasciamo libera la scena, anche noi! E’ così vero che non ha senso… è forte l’indifferenza dei giorni: Laura prendi il tuo cappello e andiamo… che, di strada, ne avremo da raccontare! In mezzo alla polvere di acido e d’argento.. ti amavo, ti amo e aggiungo, mite, un sentimento. Dai, prendi anche il mio cappotto dalla sedia che ce ne andiamo, noi due.Ora questo posto non fa più per noi, questo è un deserto della fantasia, ora questo posto non fa più per noi. (Ivano Fossati – Laura e il futuro)

LA STESURA DI QUESTO LAVORO, RISALE A CIRCA 7 ANNI FA. L’IMPORTANZA DEL TEMA TRATTATO E L’ORIGINALITA’ ESPOSITIVA HANNO INDOTTO LA RIPROPOSIZIONE LASCIANDO IL TUTTO (QUASI) COM’ERA.

UNA BUONA LETTURA

Fra i tanti motivi dello sbando che proviamo, ai tempi di oggi, c’è il fatto che ci troviamo a condurre una situazione alquanto paradossale. Da un lato, si stimola la mente a cercare soluzioni a problemi sempre più complessi (e ci si rende conto della necessità di approfondirsi in competenze sempre più accurate), dall’altro, proprio perché le molte sollecitazioni cui siamo sottoposti generano domande le cui risposte non sappiamo “fronteggiare”, si tende a impegnare il cervello attraverso la ricerca e il conseguimento di obiettivi alquanto effimeri e fuorvianti.

In conseguenza di ciò, spesso sentiamo che qualcosa ci sfugge di mano e abbiamo sempre meno tempo e occasioni per recuperare o “redimere” una situazione: questo ci genera angoscia e paura (più o meno motivata) di non farcela.

La paura di stare male, dovendo affrontare una determinata situazione, consegue ad una insicurezza interiore? Si può combattere con una migliore stima di sé?

Una lacrima di dolore cadde un giorno da un Cuore, scivolando rapidamente nella
Mente.

La Mente è una bilancia assai precisa: quando troppo dolore pesa, immediatamente avvisa. Il suo equilibrio era già precario, e il peso di quella lacrima la fece oscillare in modo serio.

Intervenne di corsa la Coscienza: “Bilancia, che accade? Lo Squilibrio Mentale è da evitare!”

E la Bilancia, afflitta rispose: “Ho due piatti, uno pesa la gioia e l’altro il dolore. il Pensiero, dal Cuore attinge, ahimè, solo il Dolore!”

Fu così che la Coscienza convocò il Pensiero d’urgenza: “Sei colpevole d’aver raccolto solo il Dolore. Ti arreca noia trasportar la gioia?” Disse adirata la Coscienza avendo, della Vita, competenza.
“Signora, non sia mai detto; io sono il Pensiero e son corretto. Da quel Cuore scaturisce solo quel che intristisce!”

“Sbagli Pensiero, la gioia è un fiore che nasce, cresce e muore; e il dolore, altro non è, che l’eco del fiore che più non c’è. Dove raccoglierai il Dolore… e lì che ci ha vissuto un Fiore!”

Coscienza, è vero! È un mistero non me lo spiego davvero. Eppur sono attento, lo giuro!”

“Pensiero, la Gioia è mitezza, tenerezza, carezza, leggera brezza mentre, il dolore, è un ascia che spezza. Lo Squilibrio Mentale è il risultato di una bilancia abituata a pesar solo il male, impara a raccogliere i fiori dei cuori e, quando raccoglierai i dolori, l’equilibrio della mente non verrà minacciato nuovamente.

( Cleonice Parisi – L’equilibrio mentale)

 Chi ha imparato ad apprezzare nella giusta maniera se stesso, riuscendo a stabilire, in un certo qual modo, quello che vale e, soprattutto, portando a termine quei progetti che danno più senso alla propria vita, non ha paura di stare male.

Infatti, vivrebbe un eventuale sintomo, o disturbo, come campanello d’allarme per capire che il proprio stile di vita andrebbe modificato in qualcosa. Di conseguenza, prenderebbe il malessere come un elemento di protezione e di implementazione. Quando, invece, la paura di star male condiziona in negativo l’esistenza, evidentemente, la persona in questione non ha armonizzato degli elementi tipici di una personalità in evoluzione, ancora non in equilibrio e sufficientemente matura. In altre parole, ha ancora molto da migliorare.

Come si affronta una paura irreale, definita anche complesso di paura, o fobia (frutto di un errato esame di realtà)?

Trovando le motivazioni e affrontandole nella giusta maniera. Ci sono tanti elementi in grado di determinare la produzione di una fobia o complesso di paura, tutti personali, quindi difficilmente oggettivabili; per cui, sulla base della personalità del sofferente in questione, si attua una metodica che porta ad eliminare le cause a monte, smontandole.

La fobia è un “falso problema! Rappresenta, infatti, un meccanismo sintomatico che si instaura molte volte come “sistema di protezione” che ci impedisce di fare delle cose (che non riusciamo a visualizzare) che, inconsapevolmente, non siamo disponibili a realizzare. Eliminando le motivazioni che hanno reso necessario il sistema di protezione, svanisce la fobia. Contrariamente all’approccio psichiatrico, in psicoterapia le fobie si affrontano valutando “ad hoc” le disarmonie della personalità del sofferente: non c’è un sistema unico, come quello basato su somministrazioni farmacologiche che, a tentativi, vengono somministrati a tutti, più o meno secondo protocolli simili.

Una persona può avere una paura, senza riconoscerne la causa?

Il mondo dell’inconsapevole, che alberga nelle zone del cervello che stanno “sotto” i piani alti della Corteccia, prevale per quantità e qualità di tempo e di azione, rispetto alla possibilità di consapevolizzazione (meccanismo che si attua, invece, nella corteccia cerebrale).

Questo spiega perché molte (forse troppe) volte non sappiamo spiegarci l’origine del nostro umore (nel bene o nel male).

Si può fare di più.

Di solito, anche quando (apparentemente) si pensa ad altro, i processi dinamici che la nostra mente mette in atto, per “metabolizzare” le problematiche e ipotizzare soluzioni, prevedono (di solito) quattro momenti differenti :

1. Scoperta, in cui basta un input dall’esterno, che ci induca ad intuire una problematica che, fino a quel momento, ci sfuggiva.

2. Consapevolizzazione, in cui riusciamo a rendere chiara la “struttura intrinseca” della problematica e se ne prende coscienza.

3. Accettazione, in cui non ci “proteggiamo” più da quel problema (per paura di non poterlo risolvere), accettando l’idea di avere delle limitazioni, senza rassegnarsi ad esse.

4. Cambiamento, in cui si lavora per eliminare quelle limitazioni che sono state accettate, e incamminarsi verso la liberazione di “catene”, “lacci” e “laccetti”.

Imparando l’arte del dialogo interiore (conciliandoci con la nostra identità), ad esempio, cercando di dare un senso alla nostra vita, all’interno del tempo a nostra disposizione, rendiamo più semplice e continuo, il lavoro sopra esposto.

Qual è la relazione che intercorre fra la vita e il tempo?

Con il termine vita connotiamo tutto quello che ci riguarda (vicende, esperienze e vicissitudini) dal momento del concepimento a quando, come comunemente si dice, “traslochiamo da questa valle di lacrime”. Il tempo rappresenta l’unità di misura che ci consente di scandire e misurare i vari momenti della nostra esistenza. Sui dizionari della lingua italiana, infatti, la vita viene definita, come lo spazio di tempo, compreso fra la nascita e la morte.

Come si può riuscire a vivere “qui ed ora”, cioè a godere di ciò che è il presente, se nel presente poi ci si dedica, prevalentemente, a costruire progetti per il futuro?

Imparando bene il concetto relativo all’autoaffermazione, che consente di dare uno scopo alla vita. Un’esistenza priva di progetti a breve, medio o lungo termine sarebbe, infatti, pericolosamente vuota. Noi, in pratica, siamo come degli alpinisti che devono scalare le montagne. È molto meglio imparare a godere di ogni piccolo progresso e delle esperienze che, questo, ci consente. Il sottovalutare ciò, ci porterebbe ad agire in maniera inadeguata: come se per raggiungere la cima, usufruissimo di un elicottero. Che senso avrebbe avuto, cominciare ad incamminarci? Che valori positivi, ci trasmetterebbe quell’evento? Non si vive nel “prima” o nel “dopo”… si è vivi, nel “durante”!

E, già che ci siamo, come si devono percepire i tempi PASSATO – PRESENTE – FUTURO?

Il passato costituisce il pianeta dei ricordi (che, in genere, si vivono con nostalgia o rammarico).

Il futuro rappresenta l’occasione per sperare in qualcosa.

Il presente “incarna” l’opportunità di concretizzare!

L’abitudine di pensare in negativo, in che modo influisce?

Ci porta a costruire degli elaborati orientati verso delle soluzioni conflittuali, non in grado di risolvere il problema: praticamente, è come se da soli concludessimo che non c’è più niente da fare. Pensare realisticamente positivo, invece, porta ad analizzare tutte le possibili soluzioni in chiave razionale, lucida e freddamente logica. Bisogna modificare il proprio sistema di elaborazione per superare i pensieri negativi. Se si elaborano idee negative, non si sta lavorando per il suo benessere, perché un benessere negativo non esiste. I nostri equilibri interni sono altalenanti, e noi ci impegniamo per ripristinarli: è un lavoro continuo anche se, essendo inconsapevole, poche volte ce ne accorgiamo.

 

Non ti auguro un dono qualsiasi, ti auguro soltanto quello che i più non hanno. Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere: se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa. Ti auguro tempo, per il tuo Fare e il tuo Pensare, non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri. Ti auguro tempo, non per affrettarti e correre… ma tempo per essere contento. Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo: ti auguro tempo perchè te ne resti. Tempo per stupirti e tempo per fidarti… e non soltanto per guardarlo sull’orologio. Ti auguro tempo per toccare le stelle e tempo per crescere e per maturare. Ti auguro tempo, per sperare nuovamente e per amare. Non ha più senso rimandare. Ti auguro tempo per trovare te stesso, per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono. Ti auguro tempo anche per perdonare. Ti auguro di avere tempo, tempo per la vita. (Elli Michler)

Una volta scoperta la causa della paura, quale approccio sarebbe opportuno prendere in considerazione: quella di scontro o di prudenza?

Nessuna delle due soluzioni porta a risolvere la paura. La strategia migliore, come ho già spiegato, consiste nel capire le motivazioni responsabili della paura e, quindi, eliminare il tutto. Di conseguenza non ci si deve forzare. Esiste anche il modo per assuefarsi agli stimoli che producono paura, attuando un comportamento “desensibilizzante”, che porta ad affrontare ciò che fa paura, in maniera graduale. In questo modo, può darsi che la fobia nei confronti di un oggetto o di un essere animato sparisca, ma ne comparirà certamente un’altra, proprio perché non si sono risolti i motivi strutturali. Posso, per esempio, aver paura delle api, perché sono stato aggredito da una sciame, oppure posso aver paura degli stessi insetti, perché queste ultime sono collegate ad un episodio di vita in cui ho subito un trauma. In quest’ultimo caso, osservando un ape io, a livello inconsapevole, rivivo per un attimo l’episodio che mi ha fatto molto soffrire e, sempre inconsapevolmente, mi impedisco di ricordarlo producendo fobie nei confronti dell’insetto: in questo modo, l’idea ossessiva fobica, “coprirà” il ricordo traumatico che resterà, in tal modo, “sepolto” in memoria. In pratica, il meccanismo attivato, mi porta a fuggire, non tanto dall’insetto in sé (in assenza del quale, infatti, non esiste la tensione fobica), quanto da quell’elemento che mi produrrebbe il ricordo dell’evento spiacevole.

A queste condizioni, NESSUNO PSICOFARMACO MI RISOLVERA’ MAI IL PROBLEMA! ATTENUERA’, SEMMAI, SOLO LA MANIFESTAZIONE SINTOMATOLOGICA, CHE POTREBBE RICOMPARIRE, AL MOMENTO DELLA SOSPENSIONE CHIMICA.

Ovviamente, non si vuole screditare o sminuire in alcun modo la farmacoterapia ma, soltamnto, porre l’accento sull’origine del problema.

Come riusciamo a costruirci, dentro di noi, delle protezioni mentali, per riuscire (pur incamerando elementi sensoriali del mondo esterno) a trasformare i diversi e molteplici dati negativi in qualcosa di non dannoso, così da sfruttare tutti i tipi di messaggi che ci arrivano dall’esterno?

Proviamo a rendere più semplice la domanda: Come è meglio porsi di fronte alle frustrazioni? Come reagiscono i bambini? Come reagiscono gli adulti?

Dal momento che, con il termine frustrazione, definiamo il disagio prodotto rispetto ad un ostacolo incontrato durante il cammino di vita, possiamo concludere che l’intensità dell’evento frustrante risulta essere direttamente proporzionale alla risposta elaborata dal proprio mondo interno.

Si è parlato spesso, in diversi lavori specifici, della capacità della nostra mente (attraverso opportuni meccanismi di difesa del sé) di mettere in atto delle griglie di protezione mentale in grado di attenuare l’impatto dei cimenti esterni e dei negativismi “endogeni” (conflitti interiori “maceranti”). Non guasta riproporre i concetti fondamentali.

Queste griglie evidenziano idealmente tre livelli di protezione.

  1. In Entrata: riducono considerevolmente l’ingresso di dati negativi dal mondo esterno, vedono coinvolti, prevalentemente, apprendimento, percezione e logica, diminuiscono il turbamento dell’umore.
  1. In Elaborazione: impediscono la produzione di idee in conflitto, si attivano principalmente corretti elaborati di pensiero con verifica di logica, consentono di mantenere uno stato d’animo sufficientemente stabile.
  2. In Uscita: aiutano ad evitare la comunicazione di contenuti negativi, coinvolgono il meglio del proprio comportamento, ed evitano di danneggiare chi sta intorno mantenendo un comportamento “adeguato” anche in circostanze “difficili”.

La costruzione di tali meccanismi protettivi si realizza attraverso lo sviluppo delle proprie capacità interiori, mediante il raggiungimento di una condizione di equilibrio interiore, conseguente a maturità e saggezza e risulta essere tanto più efficace quanto più ci si avvicina all’assetto esposto di seguito:

  • Una personalità sufficientemente equilibrata;
  • Ambiente esterno a basso tenore di frustrazioni (per non “appesantirsi”);
  • Elasticità mentale (per non irritare la propria suscettibilità);
  • Visione “aperta” della realtà della vita (per non turbarsi, anche di fronte agli eventi “più strani”);
  • Efficace smaltimento dei fastidi prodotti (per non accumulare tossine mentali).

Prima di entrare nello specifico delle varie situazioni da affrontare, cerchiamo di capire come, in maniera oggettiva, si reagisce alle frustrazioni, in genere.

Come reagiscono i bambini?

Quando non vengono soffocati da un modello educativo estremamente rigido, attuano (inconsapevolmente) uno scarico di tensioni, rispondendo a stimoli fastidiosi mediante grida, pianti o altro. Nel caso in cui, invece, ci si trova di fronte a difficoltà di “canalizzazione” dell’energia (magari per qualche “errore” educativo), la situazione può cambiare considerevolmente. Ad esempio, un bambino dalla sensibilità molto sviluppata e con qualche “blocco” emotivo, potrà esprimersi:

  • in modo abnorme rispetto all’entità dello stimolo;
  • comprimendo le proprie risposte emotive e producendo disturbi psicosomatici.

Come reagiscono gli adulti?

La situazione, in questo caso, è un po’ più complessa: in genere (almeno finché non si raggiunge il colmo della misura) la persona adulta valuta la situazione frustrante e la provenienza del fastidio attuando, a volte, un meccanismo di repressione delle proprie reazioni aggressive. Prima di analizzare il sistema migliore di approccio con le frustrazioni, cerchiamo d osservare cosa accade quando si reprimono le proprie emozioni. Tutto quello che reprimiamo (bloccando ed impedendo la manifestazione dei propri sentimenti) rappresenta energia “imbrigliata” ma pronta ad esplodere violentemente ed in maniera sproporzionata, di fronte a sollecitazioni che possono anche non essere collegate con l’evento che abbiamo represso.

 

“Ci sono solo due errori che si possono fare nel cammino verso il vero: non andare fino in fondo e non iniziare.” (Buddha)

I sensi di colpa, possono produrre paure? In caso affermativo, che tipi di paure e perché?

Possono determinare l’instaurarsi di fobie perché, per non pensare a comportamenti giudicati negativi, che ci creano dei conflitti soprattutto di tipo affettivo, possiamo innescare il meccanismo fobico ossessivo che ho descritto sopra, proprio per impedirci di pensare ad altro. Se io per esempio, mi sento in colpa perché non mi sono recato a far visita ad un congiunto che dopo poco è deceduto, potrò produrre (fra le altre) una fobia che mi impedirà di utilizzare l’automobile. A quel punto, da una parte mi sarò punito (proprio perché mi sento in colpa), dall’altra, la limitazione conseguente al problema, mi attanaglierà al punto da impedirmi di provare rimorso per quanto ho fatto. È giocoforza concludere che, per affrontare il problema, come al solito, bisognerà capire le motivazioni, per lavorarci su e lasciare che, a livello inconsapevole, si risolvano: a quel punto, la fobia sparirà.

Come possiamo placare quella fretta che ci spinge a volere di più, nel minor tempo possibile?

Io sto con chi cammina piano, perchè guarda intorno. Con chi sorride ogni volta che arriva il giorno. E non importa se, ogni tanto, salto il turno perchè mi sembra chiaro (perchè è dimostrato) che, chi arriva prima, aspetta! (Ratti Della Sabina)

Sarebbe già tanto riuscire a domandarsi: “HO TUTELATO ME STESSO? POTEVO FARE ALTRO? LE RISCHIESTE POSTEMI DALLA PERSONA CHE HO FATTO SOFFRIRE, ERANO CORRETTE? MI AVREBBERO DANNEGGIATO, IN QUALCHE MODO?”

Partendo dalla necessaria premessa che molto (come sempre) dipende da come si sono vissuti i momenti cruciali della propria vita (a cominciare dai primi momenti della relazione coi propri genitori), contestualizzandosi all’interno di un migliore esame di realtà, il senso di colpa assume un valore diverso. All’apparenza può sembrare una scelta di vita scarsamente protesa verso la solidarietà. In realtà, operando così, si possono porre le basi per costruire una Società fondata sul rispetto reciproco, al riparo da ricatti morali, questi si, inumani e forieri di sofferenze inaudite!

Al mondo non c’è coraggio e non c’è paura, ci sono solo coscienza e incoscienza. La coscienza è paura, l’incoscienza è coraggio (Alberto Moravia)

 Non t’insegnerò quello che già sai, io scommetto che li straccerai; il maestro è qua, ti benedirà. Puoi esibirti, sbizzarrirti… è il momento tuo, lanciati così, butta fuori il meglio, adesso si! L’anima ce l’hai, conta su di lei, puoi sfidare il mondo… adesso o mai. La mia vita scorre mentre guardo te, quella voglia di riscatto so cos’è… e nessuno può comprenderti di più… nessun altro prova ciò che provi tu. Io ti guardo e sento che puoi farcela, maledetta sorte… puoi sconfiggerla. Non ti lascerò senz’alibi, io… no! Punta in alto, credi a me… guarda avanti! Ti trasformerai, tu ti evolverai, sulla scena il segno lascerai mentre io vivrò… silenziosa scia… tu, seme della mia pazzia prenditi i segreti, questa eredità, altrimenti il mio lavoro sfumerà. C’è bisogno di talenti come te, troppa volontà che resta li dov’è… muta. Nuovi stimoli si aspettano da noi, non possiamo né dobbiamo indietreggiare mai. Ascolta il tuo maestro, il mondo e’ questo: prima l’arte la passione e dopo il resto. Premiami se puoi, un bel saggio e poi, un applauso a tutti noi che impariamo!” (Renato Zero – Il maestro)