Posted on

 

Si chiamava Francesco, ma i genitori lo ingentilirono con l’appellativo di “Chiccariello”.

Siamo negli anni sessanta del secolo scorso, quando ancora la Sila estendeva il suo manto resinoso per decine di ettari, ed il turismo di massa si riduceva alla gita di ferragosto grazie al trenino delle ferrovie calabro-lucane, che trasportava nuclei di gitanti carichi di cesti e fagotti varie dai quali fuoriusciva un odore misto di lasagne al forno, di polpettoni ripieni e di qualche bottiglia di vino che, tappata inadeguatamente, liberava, a piccoli fiotti, il contenuto ad ogni strappo o sussulto del vagone.

Chiccariello c’era nato, in Sila; e la sua fanciullezza si era cristallizzata già da 8 anni, in un vasto capanno, attiguo all’ovile, dove viveva la sua famiglia composta dai genitori, da due fratelli più grandi e da una sorellina di 4 anni.

Le giornate trascorrevano identiche, quasi amorfe nella ritualità di un vivere che si trascinava tra il belato delle pecore e degli agnelli, nel fastidioso ronzio di nugoli di mosche, mentre i fratelli più grandi badavano alle tre mucche. I genitori, invece, dedicavano le loro spossanti fatiche al campo di patate, e all’orto adiacente al capanno. La giornata iniziava al mattino presto, quando prati e felci erano ancora madidi di rugiada e i primi raggi del sole riuscivano, a stento, a farsi largo nell’intensa frescura dell’alba.

E Chiccariello usciva col gregge, aiutato da due possenti cani maremmani che, con furiose rincorse, riuscivano a convogliare il branco al pascolo abituale.

“Macchia Sacra” era uno dei posti più suggestivi della Sila grande; era un immenso pianoro coronato da pinete ed abetaie; al centro scorreva un ruscello la cui sorgente, gelida d’estate e ghiacciata d’inverno, s’insinuava, delicatamente pigra, nell’alta vegetazione di felci e di biancospini; e sul tutto sfavillava un cielo, terso, tinteggiato di un delicato celeste che, al primo chiarore dava, di sé, uno spettacolo ineffabile perché ad ovest l’azzurro della notte che si arrendeva al sole riusciva, ancora, a difendere il chiarore dell’ultima stella, mentre , man mano che lo sguardo degradava verso est, la gradualità dell’azzurro scemava nel più delicato dei celesti.

Oggi esiste ancora la località di “Macchia Sacra”, ma ha perso tutto quel fascino fiabesco dacché un grigio nastro d’asfalto ne ha violentato la sacralità, e la purezza delle sue aure è inquinata dal rumore e dagli scarichi di auto e camion.

I pochi affezionati frequentatori del posto sapevano dei gustosi e genuini prodotti caseari che la famiglia di Chiccariello preparava e vendeva, onde arrotondare un più che parsimonioso reddito.

Accadde un giorno di quell’estate del 1960 che una famigliola di turisti, che estivavano nella sottostante località di Camigliatello, si avventurò per le balze che dal centro si inerpicano, per antichi tratturi, fino al fiabesco eden, distante oltre 8 chilometri di dura salita; del gruppo dei turisti faceva parte anche un giovane ingegnere che si dilettava di pittura paesaggistica; e di fronte a quello spettacolo della natura, non esitò ad accovacciarsi ai piedi di un maestoso pino loricato e, tirato fuori dallo zaino un album di fogli per disegno, cominciò, con tratti decisi e rapidi, a riprodurre l’incanto di quella natura;

 Chiccariello si fermò ad osservarlo con irrefrenabile curiosità, mentre il suo sguardo incantato seguiva la mano del giovane ingegnere che procedeva sicura, mentre immortalava la radura ed i suoi colori sul bianco foglio tipo “Bristol”.

 In pochi minuti, la riproduzione era completata e l’artista, dato uno sguardo compiacente al suo lavoro, si voltò verso Chiccariello e, con espressione affettuosa, porse il disegno al ragazzo; gli occhi di Chiccariello parlarono più di ogni espressione vocale, indi, corse nel capanno a mostrare il regalo ai suoi genitori.

 Al pomeriggio, allorché gli ospiti si accinsero a rientrare a Camigliatello, il giovane ingegnere compì un gesto che avrebbe determinato il futuro di Chiccariello; egli prese dal suo astuccio i restanti fogli bianchi, alcune matite di vario colore e li offrì al ragazzo.

 Dal giorno successivo iniziò la rinascita spirituale di Chiccariello: dapprima con lentezza impacciata, poi, sempre più speditamente, cominciarono ad apparire sui fogli, alberi, radure, agnelli al pascolo, poi gli occhi si alzarono al cielo e Chiccariello fermò sulla bianca patina le sfumature del cielo, le nuvole bianche e gonfie come le mammelle delle sue pecore, e si immaginò uccelli, albe dorate e tramonti di fuoco; aveva cominciato a lanciare la sua immaginazione al di là della radura, nessuno ostacolo lo poteva imprigionare, ormai, in quella realtà monotona, mentre fissava, nei suoi disegni, la varietà di un mondo sconosciuto, sognato e desiderato.

 Tutta la famiglia capì quale ricchezza di talento artistico si celava nell’intimo di quel ragazzo e fu deciso che Chiccariello dovesse cominciare a studiare.

 Fu alloggiato presso alcuni parenti materni in quel di Camigliatello, per seguirvi la frequenza delle scuole elementari e medie.

 Lo scorso anno, alla presenza di ministri, autorità e politici vari è stato inaugurato, una nuova aerostazione, dotata delle più sofisticate strumentazioni per la sicurezza dei voli; ma quello che più affascinava il pubblico convenuto era la possente struttura aeroportuale, abbellita da arditi slanci architettonici che ne alleggerivano le prospettive, mentre un diffuso giardino aggraziava l’ingresso della struttura che, caso strano e singolare, sembrava lievitare in una varietà di celeste, come se il cielo avesse creato una propria succursale sul terreno: fra il pubblico presente, c’era un anziano signore, elegante nel portamento e nei gesti: gli occhi dell’architetto si incrociarono per un attimo con quelli dell’anziano, e bastò quello scambio, apparentemente fugace, per far riemergere, dall’abisso dei ricordi dei due uomini…

 la figura di un bambino timido e impacciato che un mattino d’estate di tanti anni fa aveva visto racchiudere il proprio mondo in un foglio di carta bianca.

 Giuseppe Chiaia (16 Novemre 2003)

.