Non mancare mai di rispetto alla buona società… solo chi non riesce ad accedervi lo fa. (Oscar Wilde)
Antonio Buonocore (Totò), portiere di uno stabile con una moglie straniera, si trova per caso ad assistere un anziano inquilino (Lauro Gazzolo) che, prima di morire, gli rivela di essere in possesso di alcuni cliché originali della banca d’ Italia, di cui egli era stato a lungo dipendente, nonché della carta filigranata per stampare le banconote. Buonocore, fra l’altro, sta attraversando un brutto periodo: persona fondamentalmente onesta, si è rifiutato di diventare complice dell’amministratore del condominio che gli aveva proposto di effettuare una serie di operazioni truffaldine ai danni del condominio medesimo, e per tale ragione è sotto minaccia di licenziamento. Egli chiede così l’intervento del tipografo Lo Turco (Peppino De Filippo) e del pittore Cardone (Giacomo Furia), tutti e due variamente indebitati come lui, per produrre delle banconote da 10.000 lire. Facendo leva sui bisogni economici dei suoi compari, organizza delle furtive ed esilaranti riunioni notturne per dar vita a una banda di falsari. I tre riescono a stampare le banconote, ma le cose si complicano quando Buonocore scopre che suo figlio finanziere (Gabriele Tinti) è sulla pista di una partita di banconote false.
Alla fine, nessuno dei tre avrà il coraggio di spendere una sola delle banconote fabbricate e decidono di bruciarle tutte; purtroppo Buonocore (Totò), nella foga, butta addirittura la busta con il suo stipendio nel falò insieme alle banconote false.
Leggendo questa trama, sorgono alcune riflessioni.
Che cosa significa essere onesti? Possono le condizioni avverse “legittimare” comportamenti disonesti? Cosa si guadagna dall’onestà?
La parola ’onestà (dal latino honestas) indica la qualità umana di agire e comunicare in maniera sincera, leale e trasparente, in base a princìpi morali ritenuti universalmente validi.
Il termine morale in funzione di sostantivo deriva dal latino moràlia ed ha significato quasi coincidente ad etica, oppure è essa stessa interpretata come oggetto dell’etica. In questo caso la morale rappresenta la condotta diretta da norme, la guida secondo la quale l’uomo agisce.
Il concetto di morale come moralità, cioè come assieme di convenzioni e valori di un determinato gruppo sociale in un periodo storico (o semplicemente di un individuo).
Partendo da ciò possiamo convenire sul fatto che l’onestà è dapprima un valore (l’importanza morale che una cosa ha in se stessa o che le viene attribuita da chi la considera o la possiede e con “morale” ciò che riguarda i costumi il modo di vivere e, in generale, la condotta che aiuta a distinguere il bene dal male) che si estrinseca e si implementa in un modo di agire, quindi un comportamento, consono alle aspettative ed ai principi di un determinato contesto.
Come ogni comportamento umano, quindi, esso non è avulso dal contesto di riferimento di cui fa parte l’individuo agente, dunque è suscettibile di condizionamenti provenienti dalla famiglia (in primis), e dal contesto di riferimento allargato (in secundis).
Se si vive in contesti che non privilegiano il valore dell’onestà (come sopra intesa), difficilmente l’individuo sarà portato a mettere in atto comportamenti disonesti (come potrebbe giacchè non ne riconosce il valore?).
Ma se si vive in contesti (quale quello dei giorni nostri), in cui l’onestà continua ad essere considerata un forte valore sociale ma in cui, in una sorta di schizofrenia e paradosso, vengono mandati messaggi che inneggiano alla disonestà, che comportamento è tenuto ad avere l’individuo?
Noi viviamo in una società che apprezza i buoni e sani valori ma, al contempo, getta alle ortiche la meritocrazia, i concorsi “puliti”, i posti “meritati”, le “comuni prassi”, le “dichiarazioni dei redditi pulite”… perché un individuo come Buonocore (e già il nome è una garanzia), che da sempre si è comportato onestamente muore di fame? Non è frustrante comportarsi rettamente per vedere altri godere di posti occupati in maniera disonesta e continuare ad aspettare onestamente il proprio momento di gloria mantenendo fede al valore dell’onestà?
Personalmente ho vissuto anch’io dei forti momenti di confusione interna a tal proposito. In particolare un giorno, quando una mia collega mi è scoppiata a ridere in faccia perché volevo spedire una richiesta al dirigente (prassi corretta formalmente), suggerendomi strade non convenzionali ma più efficaci… “Alice nel Paese delle meraviglie” diceva ridendo. È sopraggiunto in me, quel giorno, un forte senso di inadeguatezza e mi sono chiesta: “i miei valori non sono adeguati ai tempi in cui vivo? Che danno mi hanno fatto i miei genitori?”
Certo. Gli ostacoli, le ingiustizie, le “occasioni che fanno l’uomo ladro” possono far tentennare e far riflettere sulle proprie strategie. Per migliorarle. L’onestà non nega la flessibilità. Quest’ultima è di vitale importanza per permettere all’uomo, come a tutti gli esseri viventi, l’adattamento alle circostanze e alle condizioni di vita che si propongono nel corso dell’esistenza. D’altro canto, essere “onesti” non vuol dire irrigidirsi su posizioni moralistiche che nulla hanno a che fare con l’alto valore etico che sta dietro al concetto di onestà.
L’onestà, che ai mediocri impedisce di raggiungere i loro fini, per gli abili è un mezzo di più per riuscire. (Luc de Clapiers marchese di Vauvenargues)
Con questo aforisma mettiamo in luce l’asse portante dell’onestà: l’autostima e la dignità.
Se si tiene alto il riconoscimento del proprio valore, delle proprie capacità e del valore aggiunto che il proprio lavoro può portare e lasciare, le avversità non verranno subite ma fronteggiate, come sfide e non come spade di Damocle, con i mezzi che si è consapevoli di possedere, mezzi che non ci pongono in una infantile e transitoria competizione con gli altri, che non poggiano le loro radici su strategie riconducibili ad atteggiamenti egocentrici e opportunistici, ma che permettono di raggiungere traguardi importanti salvaguardando l’integrità, l’alto sentimento di sé e il nostro buon nome.
Dunque, quanto più un individuo crede in sé e nelle proprie capacità, tanto più egli sarà portato a seguire “sentieri corretti” nei confronti di sé stesso e degli altri. Viceversa, avendo paura degli insuccessi che le scarse qualità che si riconosce potrebbero procurargli, sarà tentato a seguire strade “facili” garanzia dell’obiettivo che intende raggiungere.
Quello che si ottiene? Quello che NON si ottiene è lo stipendio guadagnato onestamente che va in fumo con la disonestà… il rispetto di sé stessi, perché si vive in una menzogna costruita con le proprie mani e non si riconoscono le proprie capacità, nemmeno quelle positive che potrebbero portare al successo tanto agognato. Il “furbo” fa il furbo perché si dà perdente in partenza e poi si racconta un’altra bugia per accordarla all’azione sostenuta implementando, nuovamente, la disonestà.
Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero. (Proverbio Arabo)
Concluderei questa relazione rispondendo all’ultima domanda. Cosa si ricava ad essere onesti?
La possibilità di mettersi alla prova, di soffrire per i propri insuccessi e di gioire per i successi. La possibilità di migliorare. La possibilità di conoscersi: di potersi guardare negli occhi, di poter guardare negli occhi un altro, di potersi far guardare negli occhi. La libertà.
La libertà è per la gente onesta. L’uomo che non è onesto con se stesso non può essere libero: è la sua trappola. (Ron Hubbard)
Emanuela Governi 24.10.2010
Assistente Sociale Specialista, Counselor, Mediatore Familiare, responsabile “supporto al caregiver” Progetto SOS ALZHEIMER ON LINE