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Questa volta, nella rievocazione psicologica dei casi più “sentiti” di Perry (noto avvocato penalista), insieme a Malcom (l’amico psicoterapeuta) irrompe prepotente Bundini Brown, ex socio “occulto” di Don King nell’organizzazione di match di pugilato ad alto livello, proprietario dell’omonimo locale notturno di lusso. L’obiettivo di questi “romanzi di vita vissuta” è quello di aiutare a riscoprire se stessi, le proprie speranze, le proprie aspirazioni… rivedendo dubbi ed errori. Perché si commettono i reati? E se qualcuno avesse preventivamente “educato” gli imputati? Entriamo a conoscere i meccanismi della giustizia penale. Per motivi divulgativi, alcune parti dei procedimenti giudiziari, sono state modificate rispetto all’andamento nella realtà.

BUONA LETTURA.

Avremo bisogno di John Steinbeck e del suo romanzo capolavoro per capire le motivazioni che portano un padre a volere morto il proprio ragazzo. Una “maledetta”, intensa, storia d’amore… per l’avvocato “Perry”.

Alle 23,00 i clienti del Bundini cominciano a diradarsi e lui inizia a mettere a posto i bicchieri lasciati qua e là sui vari tavoli. Grande Bundini Brown! Potrebbe essere ovunque a manovrare i fili di importanti trattative nel mondo dello sport o della TV, eppure è qui ad asciugare bicchieri, deponendoli a testa in giù, nella rastrelliera.

Come al solito, io e Malcolm giriamo dietro al bancone e ci prepariamo qualcosa di forte… brevetto di Bundini. Pare che lo facesse bere ai ragazzi che allenava nel Bronx…speriamo che non ci siano anabolizzanti!

Bundini non ha mai considerato la nostra confidenza nei suoi confronti come qualcosa di eccessivo.

L’inverno ticchetta al vetro delle finestre e sembra chiamarci fuori per accarezzarci il viso. È un ambiente ovattato quello di questo locale che, come ho avuto modo di dire in altre occasioni, è “In”, un po’ snob e sa di sale da biliardo della 47°, a New York, con quel retrogusto di polvere e muffa dei ring di pugilato del Madison Square Garden, scaldato dalle note vellutate di “C’era una volta in America” di Sergio Leone.

Come capita di sovente quando restiamo in tre nel locale, a notte fonda, poniamo domande a Malcolm sui misteri della psiche e sugli esseri umani.

Lui risponde, a volte con cenni del capo, a volte invitandoci a riflettere, a volte con grande dovizia di particolari: “Avvocato, ricorda, tutto, ma proprio tutto si impara!”

Gli occhi da furetto di Bundini annuiscono, luminosi e bonari: chissà per quale arcano motivo, vuole molto bene a Malcom…

A vederli è uno strano contrasto

Bundini deve aver vissuto un tempo interminabile per tutto ciò che ha fatto finora, eppure sembra un ragazzo dai capelli grigi; Malcom, a tratti è un guerriero pronto a ghermire, in assetto “impostato” (è stato pugile anche lui…), in altri momenti si assenta, quasi asceticamente…un uomo senza tempo!

I ciocchi di legno crepitano nel focolare di questa notte che sembra avvolgere gli animi ma non i pensieri. Malcolm è in vena, e mi abbevero alla fonte: ” Vedi, bisogna imparare ad essere realisti nel corso della nostra esistenza, quando tu, o altre persone, dichiarate che io sono un grande, affermate concetti non esatti. Basta osservare la vita dei tanti scienziati che hanno contribuito allo sviluppo della Società con le loro scoperte, per accorgersi che erano persone normali, che apprezzavano la vita, come anticamera di meravigliose esperienze. Ma poi, grande rispetto a chi, o a che cosa? Si racconta che George Washington a fine giornata, insieme col suo segretario, dopo avere contemplato lungamente la volta celeste dai giardini della Casa Bianca, sentendosi piccolo piccolo, si ritirasse nei suoi appartamenti, memore di avere i destini di una grande Nazione da governare!”

Accidenti, è così piacevole ascoltare che non mi sono accorto che sono quasi le 2! Domani, cioè oggi, si comincia alle 8:00.

È bene che vada a dormire.

Ci salutiamo dirigendoci verso le rispettive auto: “Valvole incrostate!” – “Come, scusa?” – “Valvole incrostate… Mi toccherà rivestire la tuta e smerigliare di gomito! “

E già, Malcom è anche collaudatore d’auto e non tollera che il motore di ciò che rappresenta la sua seconda pelle, emetta note “stonate” … che razza di amici che mi ritrovo… strani ma dalle mille risorse!

“Non si è padroni di addormentarsi che subito si fanno le 9:00 del giorno dopo!” Saggio Eduardo de Filippo! E in effetti sono già le 9:00.. e sono in ritardo, maledettamente…come sempre! Mi aspetta la solita tirata d’orecchi… entro rassegnato, trovo un inusuale fermento di persone e collaboratori. Il capo è già al lavoro, come sempre e, dopo una brevissima occhiataccia all’orologio (ed a me) mi invia a depositare una nomina…leggo l’oggetto e resto perplesso:…tentato omicidio commesso in danno del giovane…alle 2,45 della notte tra l’11 ed il 12 gennaio – nomina a difensore del sig…indiziato del tentativo di omicidio… in atti presso la Casa Circondariale di…

Lo guardo e capisco che devo solo eseguire; mentre me ne vado verso la porta, “Lui” mi ferma…devo consegnare la nomina direttamente nella segreteria del PM e, subito dopo aver saputo la data dell’interrogatorio di garanzia davanti al GIP, devo tornare “volando” per l’organizzazione della settimana che si prevede impegnativa.

L’interrogatorio viene fissato per il giorno seguente alle 9,00. Tornando dal Tribunale penso che avrei dovuto partecipare attivamente alla difesa per apprendere come affrontare questi casi. Il capo dopo aver notato che in molti, fra i collaboratori, si sono offerti (chi palesemente, e chi energeticamente, come direbbe Malcolm), ne sceglie tre, mentre gli altri devono attendere all’ordinaria amministrazione, si fa per dire, visto il contenzioso dello studio.

Io sono fra i tre.

Sono le 8,15 del mattino seguente, grigio e piovoso come cupa è la situazione contro cui vado a scontrarmi specie dopo aver appreso che si tratta di un padre che ha tentato di uccidere il figlio, malato, poco più che 25enne, soffocandolo con un cuscino, nel sonno.

Giungiamo all’ingresso del carcere. Una voce metallica ci saluta chiedendoci i documenti. Un portone, grigio e spesso, lentamente si apre al suono, sincronizzato, di una sirena. Superatolo, ci viene richiesto di lasciare tutti gli oggetti (tranne le borse professionali, che passeranno ai raggi x) dentro un apposito cassetto posto di fianco al secondo portone.

Una volta dentro mi guardo intorno ed osservo questo buco riempito di cemento, circondato da enormi mura.

Una guardia ci accompagna verso la sala degli interrogatori. Entriamo.

C’è un tavolo di compensato, in mezzo a questa sala ( un po’ velleitario chiamarla sala viste le dimensioni 5×5…), di quelli che si trovano nelle scuole, in uso ai docenti, alcune sedie stile elementari – con gli schienali smozzicati – pareti scrostate dall’umidità e dipinte con una pittura meno che ordinaria, ed una piccola finestra, che affaccia sul cortile della prigione, (che bel panorama) con sbarre, quelle sì, serie e speciali.

Ci dicono che il GIP è in arrivo, e che, fra pochi istanti, avrebbero condotto l’indagato in quella stanza. il silenzio si taglia a fette: ognuno dei presenti, compreso il sottoscritto, è in evidente stato di tensione. Cerco di immaginare il volto di questo padre indiziato di aver commesso quel grave delitto, ma non ci riesco, vado alla ricerca nella mia memoria di un film in tema, ma niente di più del rimorso, solo questo mi veniva in mente, il sentimento del rimorso…

Arriva il GIP e, subito dopo, anche il PM.

Dopo poco entra l’uomo. È accompagnato da una guardia carceraria. Barcolla non cammina. Ha lo sguardo perso nel vuoto. Riconosce solo il mio capo. Inizia l’interrogatorio che è, a dir poco, drammatico e cupo, in tinta con l’ambiente. Il detenuto, sotto shock, balbetta di punizioni esemplari e di pene severe per gli uomini come lui, prima di scontare la pena dell’Onnipotente… e vaneggiamenti del genere.

I due magistrati si mostrano comprensivi verso quest’uomo.

“E’ stato lei a tentare di soffocare suo figlio?

“Si…” e prosegue nel suo mesto racconto…, di come ogni giorno, da oltre un anno, lo aveva visto sfiorire, colpito da una patologia lenta, progressiva, inesorabile. Di come gli tornassero in mente le parole di Enzo Ferrari a proposito della triste storia col figlio Dino (guarda caso, anche omonimo del suo sfortunato ragazzo!), morto in giovane età per una patologia non curabile: “Quel giorno, sul monte Titano, guardai Dino sulla carrozzina, pensai al suo atroce destino e provai irresistibile l’impulso di abbracciarlo e buttarmi di sotto… con lui. Non lo feci, me ne mancò il coraggio e assistetti impotente, alla sua lunga agonia”.

“Dopo anni di purgatorio, ho pensato che mio figlio meritasse il paradiso! Lui, ora, come sta? Mi hanno detto che lo hanno portato in rianimazione! Darei la mia vita in cambio della sua! È stato un attimo di debolezza! Lo amo, di un amore immenso, non posso pensare che questa malattia gli stia rubando la vita, lasciando solo dolore! Punitemi, ve ne prego…”

Intanto, all’esito dell’interrogatorio il capo avanza istanza di remissione in libertà sulla base delle circostanze di fatto che permettono tale richiesta per l’indiziato di reato, secondo quanto il codice di procedura penale prescrive durante la fase cosiddetta cautelare ( prima del dibattimento ).

Il PM dichiara di riservarsi per esprimere il suo parere, così come il GIP di decidere.

Quella sera arrivo tardi da Bundini, il quale subito mi chiede se anch’io mi occupo della triste vicenda di questo padre assassino…“Guarda, non me la sento di definirlo tale!” i miei due amici concordano, in un muto segno d’intesa.

Io racconto il mio impatto col carcere e col soggetto, ma nulla affermo sul contenuto dei fatti del procedimento: sono obbligato al segreto professionale, e poi, non sarebbe che pettegolezzo, e resto in silenzio. I due comprendono e mi invitano a sedermi davanti al camino, acceso, dove mi avrebbero raggiunto di lì a poco. Così arrivano con tazze fumanti e profumate di cioccolata francese con pasticcini fiorentini. Siamo tutti e tre sul divano.

Quando si aprirà il processo? – Domanda Malcolm – …presto, ritengo che nell’arco di pochi mesi si compiranno le indagini preliminari ed il PM richiederà il rinvio a giudizio davanti la Corte d’Assise (un organo giudiziario – composto da giudici di carriera e da giudici popolari scelti fra cittadini in possesso dei requisiti e che ne facciano richiesta – che giudica sui reati, come si dice tecnicamente, di “maggiore allarme sociale” quali appunto il tentato omicidio) su questa richiesta valuterà un GUP ( giudice dell’Udienza preliminare, una sorta di filtro per giungere al dibattimento) dopo aver ascoltato le tesi dell’accusa e della difesa, oltre che delle eventuali parti civili ( in questo caso, cioè, i parenti del ragazzo, tranne il padre, s’intende). ” Malcom, ho bisogno che tu ci dia una mano! Devi accettare che ti nominiamo consulente di parte, abbiamo bisogno di capire… di capire… HO BISOGNO DI CAPIRE COME SI POSSA TENTARE DI UCCIDERE IL SANGUE DEL PROPRIO SANGUE!”

Avvocato, sembri ancora profondamente turbato. È bene che tu ti soffermi sempre a riflettere sulle motivazioni che inducono taluno ad agire ed a commettere tali efferatezze. Hai assistito all’interrogatorio. Hai visionato alcuni atti del procedimento. Cerca di osservare i fatti tecnicamente, con freddezza, cercando di acquisire maggiore competenza. Qui sta la differenza tra esseri umani comuni e professionisti: saper osservare senza dare giudizi ma, solo, analizzare gli eventi ed esprimere valutazioni tecniche. Certo, il fatto è ad impatto aggressivo negativo notevole e, quindi, il tuo essere sconvolto è comprensibile. Ora rilassiamoci davanti al caminetto. Più tardi ce ne andremo a dormire. Come sai, il sonno rigenera…almeno in parte. Accetterò la nomina, non ti ho mai abbandonato, nei momenti difficili.

Il mattino seguente veniamo a conoscenza che il GIP, anche sul parere favorevole del PM, aveva accolto le richieste difensive, rimettendo in libertà il cliente, quel padre sfortunato. Questa volta nessuna esultanza nello studio.

È il giorno dell’udienza preliminare e, dopo la breve discussione del PM e dell’avvocato di parte civile, lo zio del povero ragazzo, è il nostro turno. In aula, e fuori, oltre ai giovani penalisti ci sono anche quelli più anziani: il mio capo ed il suo gruppo ( di cui faccio parte), attualmente, sono considerati, secondo me con qualche fastidio, il migliore sulla piazza.

Quando un uomo, ancorché padre, si rende conto che tutto, nella propria vita ed in quella della moglie, sta crollando insieme alla fragile struttura di un albero spezzato dalle avverse fortune, e vede … e assiste alla parabola filiale che, innaturalmente, tramonta prima della sua… ed osserva gli occhi inespressivi ed il volto che ama… che soffre…in attesa… ma in attesa di cosa? Di altro dolore, di egoistico accanimento terapeutico? A questo punto, umanamente, emotivamente, sofferentemente, COSA GLI RESTA DA FARE? COSA E’, PER VOI, UN ESTREMO SACRIFICIO?”

Con questo esordio il silenzio regna e l’attenzione degli astanti è elevata. È evidente che tutti i particolari colti da Malcom, stiano tornando utili. Nel corso della sua discussione, il quadro che emerge è colorato a tinte di grigio, un po’ fosche… Un difficile rapporto tra i genitori, iniziato poco dopo la nascita di Dino. Le tensioni e le delusioni che, forse hanno influito sul sistema Neuropsichico di un bambino sensibile e chiuso prevalentemente in un suo mondo, ai confini dell’autismo. I primi sintomi strani, le tante, lunghe peregrinazioni in ospedali specializzati, il progressivo indebolimento, il cervello vigile e pronto “rinchiuso” in quella gabbia degradata del suo corpo…

Conclusa la discussione, il GUP dopo 6 ore di camera di consiglio ( dove al chiuso ed al riparo da influenze esterne giudica secondo giustizia…), decide con proprio decreto, di rinviare a giudizio, davanti la Corte d’Assise: sarà il dibattimento a stabilire cosa ne sarà del padre!

Non torno a casa, è quasi sera ormai. Vado a cenare da Bundini, nel privè. A fine pasto mi sento meglio, inizio a respirare di nuovo. Chiamo Malcolm, sta giusto venendo al locale per consumare uno degli ottimi dolci; infatti il “padrone di casa” ci serve il suo famoso dessert di stagione e si siede insieme a noi.

Allora…come vaDa quando siete arrivati siete seri e silenziosi. Passi per lo strizzacervelli… ma…un avvocato che non parla è davvero molto strano…” ci sciogliamo, tutti e tre, in una fragorosa risata, per me liberatoria, e cominciamo a riprendere il controllo della situazione….

Ad un certo punto della serata, è Bundini a farsi serio. “Ragazzi mi avete fatto venire in mente una storia di molto tempo fa, in America, me la raccontò un nipote di John Steinbeck. Il nonno ne trasse il suo famoso Uomini e topi”. Ci mettemmo in silenzio come quando, da bambini, ascoltavamo i racconti di Emilio Salgari su Sandokan.

Poche miglia a sud di Soledad, in Texas, il Salinas passa sotto le falde dei colli, dove scorre verde e profondo. L’acqua è anche tiepida perché è sgusciata sfavillando sulle sabbie gialle nel sole, prima di giungere nel proprio alveo naturale. C’è un sentiero in mezzo ai salici e fra i sicomori, un sentiero battuto e ribattuto dai rancheros che, dopo una giornata passata sotto il sole, scendono a lavarsi da dosso l’odore delle mandrie. La sera di una torrida estate, mentre i conigli sembravano piccole pietre grigie lungo gli argini del fiume, dalla parte del sentiero due individui emersero dal fondo della valle e giunsero nella radura presso la pozza verde. Vestivano pantaloni di tela e giacche di tela coi bottoni d’ottone. Un nero cappello informe in testa ed un rotolo di coperte sulla spalla completavano l’abbigliamento. Mani piccole e forti, occhi impazienti, tratti taglienti e vigorosi, tutto in George era risoluto. Dietro di lui, occhi grandi e pallidi, spalle ampie e pesanti… lento, come lento era il suo cervello… arrancava Lennie, così come si trascina un orso. Il loro sogno era quello di mettere insieme i soldi, lavorando come mandriani, per comprare un pezzo di terra, allevare conigli e trascorrere il resto della loro vita tranquilli, insieme al vecchio Candy, detto “scopino” per via di una mano immolata come capo – cavallante. “Dimmi della casa, George!” supplicava Lennie. “Certamente sarà una casetta piccola con una stanza per noi. E una stufetta di ferro a pancia, che nell’inverno terremo sempre accesa. Non avremo molta terra, per non dover lavorare troppo. Non ci toccherebbe di portare l’orzo undici ore al giorno.” “E i conigli – lo interrompeva Lennie – Io li accudirei. Di’ come farò, George!”. “Certo, andrai a riempire i sacchi d’avena per svuotarli nelle gabbie dei conigli.” “Terremo anche dei colombi perché volino intorno al mulino, come facevano quando io ero bambino…e se viene a trovarci un amico, allora ci sarà un letto apposta per accoglierlo…e poi un cane da ferma e dei gatti screziati….” Candy accarezzandosi il moncherino ascoltava i loro sogni, godendoseli così come avrebbe fatto un padre affettuoso. Il sogno terminò all’alba di un mattino d’autunno. Lennie, per divincolarsi dalla moglie del proprietario del ranch, che lo stava irridendo con cattiveria, le aveva involontariamente spezzato il collo ed era fuggito a nascondersi fra i sicomori, lungo le rive del Salinas. Gli uomini si stavano organizzando per cercarlo e fare giustizia sommaria. Il sole aveva abbandonato la valle quando George raggiunse Lennie alla pozza del Salinas, mentre quest’ultimo, spaurito come un orsetto che ha perso la mamma, mugolava al vento. ” Cosa hai da gridare?” Lennie si alzò sulle ginocchia. “Non mi abbandonerai, vero George? Dimmi che non mi abbandonerai!” “No, stai tranquillo!” ” ho fatto un altro guaio, George, ma è stata lei, ho avuto tanta paura, volevo solo fuggire… me lo ha impedito!” Da lontano giunse il rumore di uomini che si chiamavano urlando… “George, non sei in collera con me? Non vuoi lasciarmi solo? Vuoi che me ne vada sulla montagna? Davvero, George, potrei trovare qualche caverna e terminare là i miei giorni…” “Non dire sciocchezze Lennie – George guardava con tenerezza quel gigante bambino – io ho te e tu hai me!” da lontano, le voci sempre più vicine, i visi indemoniati con gli occhi sbarrati…” Prendiamo quella bestia feroce! Preparate la corda e la legna… lo bruceremo nella foresta! George, dove diavolo siete? Non lo avrete mica avvisato?” “Posa il cappello, Lennie – George aveva la voce rotta dall’emozione ma si sforzava di non impaurire l’amico – Pensa, Lennie, pensa a come sarà, un giorno… tu, io e scopino! Avremo un pezzetto di terra, una mucca, il maiale e le galline… e tu potrai accudire i conigli… guarda verso l’altra riva, Lennie!” Guardò Lennie alla nuca, nel punto in cui la spina ed il cranio si congiungono “Pensavo che ce l’avessi con me, George!” “Ma no, stupido, non c’è l’ho con te, non ce l’ho mai avuta! – i suoi occhi si riempirono di lacrime – Non ti voltare verso di me, guarda laggiù, verso l’altra riva, come se ce l’avessi davanti agli occhi!” Lennie obbedì, la mano di George tremava con la pistola puntata verso la nuca dell’amico, in testa le parole di Carlsson (“E se lo prendessero e lo mettessero sotto chiave e lo legassero e chiudessero in una gabbia? E se gliela facessero pagare torturandolo? Non sarebbe poi tanto bello, George!”). “Facciamolo subito, andiamoci subito, George!” “Certo, Lennie, subito, nessuno ti potrà più fare del male…” Uno sparo riecheggiò nella valle. Lennie terminò la sua esistenza avendo negli occhi l’immagine di “scopino” intento a preparargli uno stufato di fagioli…”

Malcom è assorto nei suoi pensieri, io sono stordito e sto cominciando a capire cosa abbia ricavato dalle sue consulenze sul nostro imputato…e, comunque, Bundini non si smentisce…in grado di fare accapponare la pelle a chiunque, con i suoi racconti vivi, ma anche di farti morire dalle risate su sketch improvvisati!

Arriva il giorno del dibattimento. L’austerità dell’aula è data dal colpo d’occhio: giudici seduti a semicerchio, sedie antiche, “gabbie” (dove stanno i detenuti) a destra e sinistra: tutto serve a ricordare la gravità dei fatti che lì si giudicano.

Dopo le formalità di rito le questioni preliminari e le richieste di prova, si apre il dibattimento.

Nel corso delle udienze il quadro della vicenda si delinea sempre più e le nebbie si diradano. Ad un certo punto del processo però, accade qualcosa di eccezionale ( rispetto all’ordinario, s’intende…): non so quando, nè come, ma, d’accordo col mio capo, il cliente, dopo avermelo comunicato un pomeriggio nella stanza dello studio, dichiara in udienza di nominare un secondo difensore: me! Stavolta c’è poco da compiacersi, l’impegno non mi preoccupa, ma ne sarò all’altezza? Ricordo ancora che dalla posizione in cui mi trovavo quando ho avuto la notizia, si poteva scorgere un tratto del cielo pomeridiano: d’un colore azzuro intenso…
Intanto le udienze si susseguono, ed anche la parte civile inizia ad ammettere ciò che noi avevamo sostenuto già in precedenza circa la situazione critica vissuta dal nostro cliente e tante altre cose che è bene non riportare: troppo intense. Rivolgo lo sguardo ai giudici popolari…percepisco in loro la compassione.

La sera prima della penultima udienza nella quale dovrà deporre l’imputato, decido di svagarmi e vado in giro per la città, a piedi. L’aria è fresca, ed è trascorso quasi un anno e mezzo da quella sera nella quale Malcolm mi aveva spiegato il significato della piccolezza dell’Essere Umano… eppure sembra ieri. Ho studiato il processo non so quante volte; ho rivisitato tutto il fascicolo; ho spulciato tutti gli appunti presi nel corso delle udienze trascorse; ho valutato moventi e causali delle azioni: tutto è stato inquadrato in ogni domanda da me preparata; il mio maestro penalista ed altri autorevoli colleghi dicono che io riesca sempre a centrare il problema e, soprattutto, il punto debole dell’accusa.

… mi auguro che non si sbaglino!

È il giorno dell’ultima udienza, (l’imputato, nel corso del suo esame nella precedente ha riconfermato, a tratti singhiozzando e piangendo, le drammatiche fasi che hanno preceduto il tragico gesto) il presidente della corte dopo la costituzione delle parti, dà la parola al PM per la sua requisitoria.

L’accusatore ricostruisce tutte le fasi procedimentali, dal momento in cui l’imputato aveva chiamato la polizia per costituirsi, sino al suo esame in aula. E conclude “…ha confessato il suo crimine, non dimentichiamolo, la società ha bisogno di certezze, le pene devono essere severe in casi di tale gravità, ma non vi chiederò il massimo della pena, no. L’imputato, con il suo comportamento processuale, ha dato prova di essersi pentito e di aver compreso quanto grave sia stata il fatto da lui commesso. Ritengo equo, quindi, richiedervi 7 anni di reclusione, oltre alle pene accessorie, per l’imputato, per la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto a quelle aggravanti in ragione di un terzo…”

Onesto, questo il giudizio che mi suscita l’ascolto della requisitoria.

La parola passa all’avvocato di parte civile che ricostruisce, attraverso gli occhi dello zio, tutte le dinamiche familiari che sono sfociate nel gesto inconsulto verso “…quel figlio sfortunato“.

Si rinvia nel pomeriggio per la discussione della difesa.

È un giorno d’aprile ed il mio sguardo si attarda sugli alberi in fiore che circondano la zona del tribunale. È strano come la vita e la natura riescano sempre a prevalere sulla morte e sulla società cosiddetta civilizzata. In quella zona dove si inalano solo i problemi in cui si ficcano gli esseri umani, per le loro difficoltà di vita o per le difficoltà di vita di altri, quegli alberi, quei fiori, riescono a sbocciare, a dispetto dell’energia malsana con cui convivono.

Dopo un pranzo frugale, ci dirigiamo verso l’aula di giustizia, in anticipo, ed io mi immergo in riflessioni per prendere qualche appunto che, però, non leggerò. Rientra la Corte. il Presidente… tutti seduti, a me la parola ( sono il più giovane difensore nel collegio e, come consuetudine tra noi penalisti, quello più giovane parla per primo!)

Il processo è già pena! Così il grande Carnelutti considera la condizione di chi è sottoposto ad un procedimento penale. Se pensate che l’odierno imputato debba scontare, ancora, la sua, di pena, beh, vi sbagliate: ha già iniziato sin da quella terribile notte. I temi oggetto di questo processo sono fra i più irti e difficoltosi che la scienza penalistica abbia mai dovuto affrontare :il tentativo di omicidio nei confronti di un figlio, l’amore, il rimorso! Ed allora, giriamo dall’altra parte, ed osserviamo il tutto con gli occhi del padre. Voi, ognuno di voi, e mi rivolgo soprattutto ai giudici popolari, provi a pensare di essere un genitore, o un fratello, o un parente, in quelle condizioni”. Dopo questa introduzione nel corso dell’arringa tratto dal punto di vista del fatto e, poi, del diritto, la vicenda, ed alla seconda ora di discussione, mi avvio a concludere “…non vi chiedo di assolvere il mio cliente, oggi vi chiedo di dare un senso oggettivo al concetto Giustizia affinché non diventi il riflesso dei nostri pregiudizi…“.

La parola passa all’“avv” come lo chiamo io… La sua è un arringa vibrante di spessore e caratura professionale di livello elevatissimo…ho la pelle d’oca. Solo una nota di colore, nell’esordio: “complimenti al mio collaboratore e codifensore per il suo apporto al processo e per la sua acuta interessante e puntuale discussione; ma soprattutto, complimenti a lui perchè nonostante frequenti da più tempo il mio studio…non si è ancora ’guastato’!

Mitico! Riesce sempre a tenere alta l’attenzione anche con simpatia.

” Dichiaro chiuso il dibattimento. Ci ritiriamo in camera di consiglio per deliberare, gli uffici costituiti (difesa, accusa e parte civile)saranno contattati dalla cancelleria, in ogni caso non prima di 3 giorni a partire da oggi”.

Con ciò, la Corte d’Assise toglie la seduta.

I giorni che ci separano dal verdetto scorrono via impegnati ognuno nelle proprie cose.

Alle 19,00 del terzo giorno proprio mentre sto per affrontare un’altra notte di attesa, il trillo del telefono taglia il fiato, alle 19,30 esce la Corte.

In auto, ovviamente teso, dissimulo parlando col mio autista “…Alla fine, abbiamo sempre la possibilità di ricorrere in appello”.

Siamo tutti presenti e trepidanti, entra la Corte, ed il Presidente con in mano la decisione comincia:

“In nome del Popolo Italiano, questa Corte d’Assise – il momento è palpitante e sembra eterno il tempo che intercorre tra la parola ’d’Assise’ e le seguenti – visto l’articolo 530 codice procedura penale assolve l’imputato…dal reato a lui ascritto”

Dopo aver letto la conclusione del dispositivo della sentenza ( ossia la parte della sentenza che si legge subito in esito al dibattimento, mentre le motivazioni possono essere depositate anche in secondo momento, specie per processi complessi come questo) si dichiara tolta la seduta. Qualcuno mi ha detto in seguito, di avermi visto in piedi, come un guerriero indiano di fronte alla montagna sacra, serio… ma visibilmente soddisfatto per l’esito del giudizio.

Mi avvicino al cliente per sussurrare qualcosa… in questo momento mi pare che esistiamo solo noi due, il collante è proprio quell’accettazione verso chi sbaglia. È questo, in fondo in fondo, uno dei pilastri dello spirito di colui che decide di difendere per professione, ed è questo quello che voglio imparare ad essere: un difensore per mestiere.

Il mio capo mi guarda ed allunga la mano per stringere la mia;io oso…ed invece l’abbraccio. Lui mi ricambia, ma non più paternamente: la sensazione che avverto è quella dell’abbraccio di un compagno al fronte nella stessa tricea.

Quasi contemporaneamente alla sentenza, riceviamo un’altra bellissima notizia. Dino è uscito dal coma e chiede di poter incontrare il padre… quel padre tanto amato… aveva dichiarato di aver supplicato lui, il genitore perché ponesse la parola “fine” al suo “quadro”. Si sarebbe rifiutato di seguire le terapie mediche se non avesse potuto riabbracciare il padre! Che colpo di scena… dannazione!

Per festeggiare i due eventi “miracolosi” e per concedermi una serata di calda amicizia, Bundini ha invitato tutti, compresi i miei clienti, a provare cosa significa essere accolti “alla grande”!

Siamo lì, tutti, fra tutti…più di tutti… un padre ed un figlio abbracciati …e noi con le lacrime agli occhi.. tutti…

I camerieri fanno il massimo ( .. e forse qualcosa di più!) per renderci gradevoli quei momenti che, per tutti, resteranno indimenticabili…

“Cari amici, grazie per tutto, ma grazie soprattutto di avermi dato la possibilità di parlare un po’ con il vostro dottore – che strano, mi fa un certo effetto sentire chiamare Malcom, il mio amico Malcom… “Dottore!”– ho capito molte cose… ho imparato che posso amare di più, Dino… diventargli amico. E quando lo guarderò muoversi a fatica in questo mondo veloce, quando lo ascolterò parlare piano, e vedrò le sue parole sciogliersi nell’aria, saprò appezzare il suo cuore pulito… e mi addormenterò provando a sognarlo forte come un tempo e felice… come ora… che mi stringe le mani. Da lui ho imparato tanto… ad esempio ad amare senza esser riamato… proprio lui mi ha aiutato a capire e ad amare la vita!”

Non sappiamo che dire, questo “grande” padre ci ha annichilito!

“Dottore, un’ultima cosa: quando sarò assalito dai dubbi, farò come mi ha suggerito lei, cercherò di vedere la speranza nel Domani… vivendo nell’Oggi!”

Bundini, con i suoi occhi da furetto ci osserva, me e Malcom, sorridendo con affetto.

Che razza di amici che mi ritrovo: unici ed irripetibili!

Francesco Chiaia & Giorgio Marchese (14 MAGGIO 2007)