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Attraverso la rievocazione di alcuni di alcuni dei suoi casi più “sentiti”, un avvocato (con l’aiuto di uno psicoterapeuta) riscopre se stesso, le sue speranze, le sue aspirazioni…i suoi dubbi ed i suoi errori. Perché si commettono i reati? E se qualcuno avesse preventivamente “educato” gli imputati? Mediante le verità del romanzo della sua vita, ci porta a conoscere i meccanismi della giustizia penale.

BUONA LETTURA

“Ogni volta che si adempie il dovere verso il proprio Stato, un nuovo sole risorge”.

Quante volte mi sono chiesto il significato di questa massima, letta chissà quando e chissà dove. In questo momento, però, sento che la “cosa” mi appartiene. Credo di essere io, uno Stato nascente, una nuova entità con le proprie responsabilità, i propri diritti e i propri doveri. Ecco, inizia il mio percorso senza più reti protettive. Io e la vita, io e il mio lavoro. Da solo. Finalmente.

Quale sarà la linea difensiva da adottare? E se qualcosa va storto? La differenza tra il penalista e il civilista è paragonabile, con le giuste cautele e proporzioni, a quella tra il medico – clinico ed il medico – chirurgo; il civilista, così come il clinico, se si presenta un dubbio o quel tipo di cura prescelto non porta risultati soddisfacenti, può sceglierne un’altra o approfondire lo studio per trovare la soluzione; il penalista, come il chirurgo, entra nel vivo del problema, va…dritto nel cuore del sistema, è invasivo, è lui che sceglie cosa, come e dove tagliare; inoltre, cosa, come e quando asportare. Non c’è, infatti, una seconda possibilità, non si può sbagliare: in ballo c’è una vita da salvare…”

E bravo il mio capo, con questa spiegazione ha complicato maledettamente lo stato delle mie emozioni.

È proprio tardi ma non posso dormire. Il faldone con gli incartamenti processuali sta lì, ad un passo fra l’inferno e il paradiso. Lo guardo…lo riguardo, rigo per rigo: dall’informativa di reato al capo di imputazione, dalla versione dei fatti narrata dai nostri clienti (chiaramente quelli liberi), puntualmente e fedelmente trascritta, alle massime e sentenze al riguardo: insomma, tutto ciò che sono in grado di poter fare… bocca asciutta, miseria ladra! Mi stendo sul letto ma ormai non prendo più sonno…tra due ore, dovrò muovere i miei primi passi verso l’arena del mio primo combattimento.

Arrivo in tribunale di buon mattino (forse troppo, per i miei gusti e le mie abitudini): “Per favore un caffè ristrettoScusi stamattina dove si tiene l’udienza penale relativa ad una direttissima?” “Quale direttissima? Stamattina se ne celebrano almeno 10! Quella sottile ironia di chi ha capito la mia condizione di novizio. “Lei davanti a quale Autorità Giudiziaria deve presentarsi?” 10 direttissime… il gioco si fa duro!

Non c’è nessuno in aula.

Mi siedo al banco della difesa e prendo il fascicolo dalla borsa professionale ( trafugata nello studio del capo…come portafortuna ) e…

Buongiorno!” ad un tratto una voce richiama la mia attenzione: è il nonno del bambino. Caspita, si ricorda di me. “Buongiorno… oggi sostituisco il titolare perché lui è a Roma, er un processo in Cassazione…

“va buanu aucà, mò c’arriva figliuma parraci su stati loru c’hanno cuminciato…mi raccumanno aiutani, simu intr’i manu tua!”

( Traduzione: va bene avvocato, ora che arriva mio figlio parlagli…sono stati loro – i tutori dell’ordine in borghese – ad iniziare…mi raccomando aiutaci, siamo nelle tue mani!)

In quel preciso momento arrivano contemporaneamente entrando da porte diverse il magistrato del Pubblico Ministero, il Giudice, e l’altro imputato in manette, scortato dagli agenti di sicurezza: l’emozione è tanta, la sensazione di bruciore al volto…la bocca secca…le tempie che pulsano…ma, non appena ci sediamo nei rispettivi banchi, pronti al “combattimento”, quasi per magia ritorno calmo. Forse interpreto, ma mi pare di leggere, in quel momento, sui volti dei due magistrati, una specie di sollievo nel vedermi al posto del capo; la sua fama da “doberman” è ben meritata concludo, ora tocca a me mantenere alta quella dei suoi collaboratori…ci mancava anche questo!

Il giudice è una donna, aggraziata ma sicura nel portamento, consapevole di ricoprire un alto ruolo. Pure il PM è donna, ma dimostra aggressività col temperamento, nessuno scambio di battute, nessun cenno di saluto, solo un “buongiorno” molto formale…

“Giudice! – la mia voce non trema – chiedo che al detenuto vengano tolte le manette, siamo in un’aula di giustizia!”

“Togliete le manette all’imputato!” tuona il Giudice.

Aver fatto quella richiesta, dentro di me e negli imputati promuove fiducia…

L’appello dei presenti, la parola alle parti ( il Pubblico Ministero e l’avvocato difensore – io -) per le cosiddette questioni preliminari e, subito dopo, per le richieste in ordine alla libertà personale dell’imputato. Il magistrato del Pubblico Ministero, facendo leva sul mancato rispetto che l’imputato aveva mostrato verso la divisa e le istituzioni, chiede che il giudice provveda a ordinare la permanenza in carcere del prevenuto ( così si chiamano anche gli imputati ), sussistendo il pericolo di reiterazione della condotta;

…chiaro e semplice, oltre che facile…

Ma come mai non accenna alla condotta dei due sbarbatelli in borghese che hanno dato il là all’intera faccenda? Ma il PM non dovrebbe ricercare elementi anche a discolpa dell’imputato? Domande alle quali devo dare una risposta, pronta ed efficace. E vado ad incominciare:

“Perché mai un giovane di buona famiglia e senza precedenti si trova a dover subire un processo penale? E perché il PM non ha espresso alcun dubbio sull’episodio? Il certificato di incensuratezza (senza precedenti penali) avrebbe meritato qualche riflessione in più. Perché le circostanze di tempo, di luogo e di azione, in riferimento anche alla condotta di quei tutori dell’ordine in borghese, non sono nemmeno sfiorate dal PM? È evidente che questo è un buco nero verso il quale il PM non ha inteso dirigere la sua attenzione…”

Motivando sul perché le condizioni che giustificano la permanenza in carcere o le restrizioni della libertà personale non erano soddisfatte secondo il dettato della legge concludo:

“non possiamo trarre dagli elementi fornitici dall’accusa una qualche verità perché…come diceva il grande Carnelutti…cento indizi non fanno una prova come cento conigli non fanno un cavallo.

Il Giudice si ritira per decidere se liberare o meno il detenuto. In ogni frazione di secondo che trascorre senza che il Giudice esca, ripasso mentalmente tutte le fasi dell’udienza per tranquillizzare la mia coscienza ” Ho fatto tutto quello che era possibile fare? E se… “

…drrriiiinnnn…

in piedi entra il Tribunale!

Oh no! Di nuovo quelle terribili sensazioni: mi scoppiano le tempie, mi brucia il volto, la bocca è secca, l’attesa di quel momento che precede la lettura dell’ordinanza mi ricorda il supplizio di Tantalo! E dai! Che aspetti?! Leggi !

“sulle rispettive richieste avanzate dall’Ufficio di Procura e dal difensore dell’imputato questo Giudice letti gli articoli…valutate le risultanze e gli atti del procedimento rileva come non ricorrano i presupposti per la permanenza in regime di detenzione carceraria in capo all’imputato, per questi motivi accoglie le richieste di remissione in libertà e dispone la immediata liberazione dell’imputato se non detenuto per altra causa…”

Non è possibile…ho ottenuto la libertà per il mio cliente, vorrei dare un urlo! Ma in quel momento, per mantenere il ruolo del penalista di lungo corso, come si dice, col “pelo sullo stomaco” resto impassibile (anche se il viso è rosso come un peperone ) e, girandomi verso i miei clienti, gli sorrido compiaciuto…avverto nei loro sguardi gratitudine e rispetto.

“Rinviamo per il prosieguo alla data del…13 ottobre corrente anno” (fra sette giorni, uhm, è poco ma credo di potercela fare…). Va bene. Mi avvio all’uscita con una sensazione di malcelata onnipotenza.

“Aucà…grazie! ( Traduzione: avvocato…grazie! )”,

Mi giro, è l’mputato. smunto, emaciato, sofferente, forse pentito, ma dignitoso. Dovere! Ci vediamo in Studio fra qualche giorno per organizzare al meglio la difesa”.

Durante il ritorno sento le mie vie respiratorie finalmente libere, le mie spalle senza peso, i miei muscoli rilassati; “devo parlarne con Malcom” ( anch’io così chiamo il mio amico psicoterapeuta perché, come il famoso Malcom X, è tenace nell’affrontare storture sociali ). Ma non posso dimenticare il volto e le sguardo di quel detenuto. D’un tratto mi sento sopraffare da un sentimento che non mi piace affatto, non so cosa sia ma non mi piace.

Allo studio. I complimenti di tutti, il racconto del processo. Il mio piccolo momento di gloria. Qualche pomeriggio prima della fatidica data del processo vengono in studio i clienti, tutti, dichiarando di essere contenti del giovane avvocato mandato come sostituto, e chiedono come sarebbe proseguita la “cosa”. In quel momento, tuona la voce del capo: “io posso promettere il mio lavoro e solo quello, … non i risultati!” Spiega che non sarebbe venuto lui, ma avrebbe mandato me, dal momento che nutre grande fiducia nelle mie capacità (al di là di tutto è giusto tranquillizzare i clienti…), dopo i saluti di rito, il gruppetto si ritira; io rimango con il capo nella sua stanza. Mi guarda ma non parla, mi dà dei soldi per l’impegno profuso sino a quel momento, mi sorride, e se ne va.

Domani sarà un giorno complesso devo riposare ed organizzare il pensiero:

– dovrò contro-interrogare i due tutori dell’ordine in borghese;

– dovrò essere pronto alle obiezioni del PM, e farne io, se necessario;

– dovrò discutere il processo …

Com’è difficile…mi sento di nuovo l’aria che passa a fatica giù per i polmoni, con le spalle pesanti e tutti i muscoli tesi:…io chiamo Malcom, solo lui può aiutarmi. Il cellulare come veicolo di libertà. Lui che mi risponde tranquillo, come sempre. Niente di grave, ne avremmo parlato a bocce ferme.

Quando si siede al banco dei testi, il primo dei due tutori dell’ordine in borghese, le cosiddette persone offese dal reato, ha un’aria compassata, seriosa… come a dire: “ho dovuto fare il mio dovere!” Il PM lo invita a ripetere i fatti, omettendo, però, di chiedere perché andassero veloci con l’auto; perché nonostante il tentativo di pacificazione, avessero chiamato rinforzi; perché fossero rimasti là, nel luogo del delitto, anche quando erano intervenuti i colleghi.

“Avvocato ci sono domande? ” – “Sì giudice”

.

Diretto, incalzante, ad iniziare dal tono. Non ce la fa più, lo sento, glielo leggo in faccia che sta per dire che lui è un tutore dell’ordine, e solo per questo, ha ragione, che gli avvocati non sanno come è per strada, che non capiscono niente, che sanno difendere solo i delinquenti e via dicendo…ma si trattiene. Il giudice mi richiama ad una maggiore calma nel contro-interrogare il teste perché lo sto intimorendo…io; io sto intimorendolo…non è il caso di scomodare le mamme e le meretrici, mi dico.

Al cuore Ramon, devi sparare al cuore!

Una voce disturba i miei pensieri. Comunque, mi concentro nuovamente, annuisco in direzione del giudice e continuo, con grande freddezza, il controesame, anche quello dell’altro teste, l’altro tutore dell’ordine in borghese. In entrambi i casi ottengo risposte vaghe e confuse.

Opposizione!

“Qui non stiamo processando i testi!” I nervi del PM forse, cominciano a dare segni di cedimento; il giudice accoglie l’opposizione ma, dalla calma con cui decide, capisco di aver raggiunto lo scopo di indurre nella sua mente il concetto di abuso di potere da parte loro. Passiamo in rassegna tutti gli altri testied emerge sempre più chiaramenteprobabilmente, si è andati al di là delle intenzioni a causa dell’inesperienza.

BINGO!

La parola alle parti per le rispettive conclusioni. Io ho una mia scaletta e, da buon discepolo, prendo appunti – per eventuali spunti – dalla requisitoria del PM; i pensieri e le emozioni pare si diano battaglia dentro di me; tutte le paure di un fallimento prendono corpo e mi si parano davanti: è la mia prima arringa; ne va della libertà dei clienti; della fiducia del mio capo; della mia carriera. Scopro che a tutti penso tranne a me stesso; mi faccio forza e lascio posto, nell’ordine, alla mia mente, al mio cuore ed ai miei atteggiamenti. Cerco, insomma, di armonizzare, sotto controllo, le mie emozioni. È il mio turno, inizio la mia arringa difensiva con una serie di gesti e di silenzi che devono dirla lunga sulla mia pluriennale esperienza…

Al cuore Ramon, devi sparare al cuore!

Di nuovo quella voce…Guardo in faccia il giudice quando apro il mio dire con il pensiero di un grande filosofo che, più o meno, recita così:

“l’unico modo per cercare la verità in ogni cosa è andare alla fonte: lì troveremo l’errore e, quindi, la verità”

Questa apertura mi serve per inquadrare le condotte iniziali e, consequenzialmente, gli eventi finali; e continuo evidenziando le singole responsabilità, senza mai far apparire i miei difesi estranei alla vicenda, ma tentando di far comprendere come i veri protagonisti del processo siano gli apprendimenti di quel luogo, tramandati ed imposti, in nome di un distorto senso dell’onore. Concludo chiedendo l’applicazione di una scriminante (è un istituto giuridico in base al quale pur commettendo un reato la legge, a certe condizioni, consente di non essere puniti) e, in ogni caso, il minimo della pena per il papà del bimbo, mentre chiedo l’assoluzione per il nonno e lo zio.

Al cuore Ramon, devi sparare al cuore!

L’interferenza comincia a preoccuparmi seriamente quando, mentre il giudice legge la sentenza, un lampo mi abbaglia e parte un video tape nella mia mente: vedo distintamente dei fotogrammi di un vecchio film Western, diretto da Sergio Leone negli anni ‘60, con Clint Eastwood e Gian Maria Volontè: Per un pugno di dollari.

Stavo barcollando…perché quell’allucinazione?

Il giudice dichiara colpevoli il padre del bimbo e lo zio, condannandoli a quattro mesi di reclusione, ed assolve il nonno: “Pena sospesa e non menzione per tutti”.

Nel nostro sistema processuale quando si irrogano pene sotto i 36 mesi, se ricorrono certe condizioni, è possibile che non si scontino, e che, di esse, non venga neppure fatta menzione nel casellario giudiziale; se a questo si aggiunge che il reato per il quale si procedeva a carico dei tre prevede una pena minima di sei mesi ed una massima di 5 anni, e che il nonno è stato assolto beh…il processo si è concluso bene, così mi spiega il titolare di studio.

Ma i miei conti non tornano del tutto…

Perché il giudice ha dato pene più severe di quelle richieste dal PM?

Al cuore Ramon, devi sparare al cuore!

Il suono “duro” di una fucilata, questa volta, “assorda” la mia attenzione …Gian Maria Volonté che spara e resta allibito…e mi ritrovo in Messico!

Sto per avere un attacco di panico…sono impazzito!!!

NO!…UN ATTIMO…STO COMINCIANDO A CAPIRE!! Voci di corridoio, riferiscono che quel giudicedonna non abbia rapporti con l’altro sesso da molto tempo e, di conseguenza, stava “andando inacidendosi”, rancorosa nei confronti di “quel” PM bella e sensuale…

Nel film, l’eroe, interpretato da Clint Eastwood, invita il bandito, Gian Maria Volonté, a spararlo al cuore…ma il bandito non immagina che, sotto il mantello, ci possa essere una lastra di piombo imperforabile.

Ecco cosa significava quella frase nella mia mente: Attento all’inghippo!

Diavolo di un inconscio! Voleva avvertirmi che, così come non poteva essere perforato il petto di “Clint”, allo stesso modo non poteva essere penetrato (da sentimenti di solidarietà) l’animo di quel giudice, “coperto” da quella toga scura per non mostrare i segni di una interiorità affamata di sesso e di amore.

Non posso più aspettare oltre, telefono a Malcom; per fortuna è ritornato,e mi propone di raggiungerlo al suo studio, da dove ci saremmo avviati verso casa sua e, facendoci una passeggiata, avremmo discusso del processo.

Appena giunto lo saluto affettuosamente e lo ringrazio per la disponibilità, lui contraccambia il saluto ed iniziamo, il nostro parlare “peripatetico”.“Stamattina, nella solita intervista radiofonica settimanale del mercoledì, ho parlato dell’importanza di un sostegno psicologico per i tutori dell’ordine, sottoposti a stress e mobbing; mi sono proposto di dare una mano ad organizzare, gratuitamente, una rete professionale ad hoc”.

È proprio vero, merita in pieno l’affettuoso soprannome di Malcom.

Passeggiando, in una serata che “sa” di autunno e caldarroste, gli chiedo di verificare le mie valutazioni psicologiche circa il giudice, il pubblico ministero e…me!

OK, spara!

Quando si dice la combinazione…subito gli racconto dell’esito del processo e della frase che mi aveva assillato: “Al cuore Ramon, devi sparare al cuore!”“Non ho elementi oggettivi in merito a Giudice e PM ma, sulla scorta della versione da te fornitami, non è improbabile che questa difficoltà “intima”, sia stata una base amplificatrice di una condizione di autoritarismo che accomuna nella sorte tutti coloro i quali rivestono ruoli determinanti”.

Scusa, ma ha agito in buona fede? Cioè, si è resa conto di quello che stava facendo?

“Vedi, le dinamiche del pensiero inconsapevole sono velocissime e non sempre si collega una sensazione ad un elaborato, specie se si è abituati a considerarsi infallibili e a non dare importanza ai messaggi del nostro io profondo; per cui, in linea generale, la risposta è che tutti gli elaborati posti in essere dal giudice possono essere stati inconsapevoli e non collegati alle proprie difficoltà di vita. Sempre che siano vere quelle voci che mi hai riferito”.

Come spieghi la metamorfosi positiva del PM? Da principio aggressiva perché insicura, diffidente, sospettosa, malfidata…un vero e proprio cliché, dettato dal ruolo di accusatore; nel prosieguo, man mano più sicura e più convinta della bontà delle tesi della difesa, fino a decidere di assumere un atteggiamento comprensivo e più disponibile verso chi aveva sbagliato dimostrando, così, di mantenersi ben al di sotto delle pene base e volendo concedere tutte le attenuanti. Quindi, in definitiva, ha dimostrato sicurezza e senso della realtà, non scadendo in una competizione scorretta con la difesa, e mostrando notevole elasticità mentale.

“D’accordo, è una valutazione aderente alla realtà, che trova un riscontro nelle richieste avanzate; infatti, con il suo comportamento ha dimostrato maggiore apertura, rispetto al giudice, verso gli altri diversi da lei, anche se imputati, e, quindi, più interesse a capire gli altri…con tali presupposti non sarebbe poi così strano credere al fatto che abbia disponibilità ad intrecciare amicizie con diversi esseri umani, e che gli altri esseri umani vogliano intrecciare rapporti di amicizia con lei…”

Bene. Parliamo del difensore, cioè, di me.

È evidente che sia in me sempre presente un conflitto di base fra ciò che sento di essere e ciò che a mio parere devo sembrare di essere.

Tutti quei sintomi (vie respiratorie intasate, spalle pesanti e via dicendo) indicano lo stato d’animo e, quindi, il tipo di elaborati conflittuali che produco. I fattori sono tanti: preoccupazione del risultato, ansia da prestazione, paura di sbagliare; tutto nell’ottica della stima che devo mantenere sulle valutazioni che altri fuori di me possono garantirmi: vado, per certi versi, alla ricerca di appoggi esterni alla mia identità, ed uso l’aggressività, attraverso l’arroganza, per nascondermi; e, così, per non cadere indietro, mi sono buttato in avanti.

Allo stesso tempo, credo che esperienze simili facciano crescere abbastanza, se analizzate in questo modo e con un personaggio come te, caro Malcom, perché possono servire da trampolino di lancio verso una vita migliore.

“Aspetta un attimo, prima di queste tue valutazioni è utile che ti domandi che tipo di personalità abbia, in linea generale, chi svolga la professione di penalista”.

“È uno tosto!”, pronto al combattimento, allo scontro: è come un gladiatore che vive tante battaglie nelle quali sa di poter perdere la vita e…pur tuttavia non sa farne a meno; addirittura si convince di essere nato per questo ruolo…

“Nessuno nasce con un idea simile: tutto si impara e si costruisce, anche un mestiere come il gladiatore, ma non è questo il punto. Bisogna chiedersi perché si sceglie di essere un gladiatore, questa è la domanda.”

Sto per controbattere ma, per la prima volta, mi dico che è meglio ascoltare e taccio, ponendomi all’ascolto.

“Il penalista che si propone di agire con questi convincimenti, come ti ha spiegato il tuo maestro penalista, è un Essere Umano aggressivo e competitivo, sulla testa degli altri. È invasivo, ha bisogno di auto-affermarsi gestendo un enorme potere in maniera scorretta: la vita delle persone, la loro libertà personale, il loro patrimonio potrebbero dipendere anche dal suo operato…ma tu, che ti sei chiesto e dato una spiegazione, hai il dovere verso te stesso di cercare un approccio corretto alla tua professione: guardandoti intorno ti puoi rendere conto del fatto che c’è bisogno di esseri umani che difendano, nel rispetto della legge, altri esseri umani, i quali, per loro difficoltà di vita, abbiano commesso degli errori…quindi la tua professione non è scorretta. Semmai è chi la svolge che deve imparare, rispettando la legge, come porre rimedio alle scorrettezze degli altri. È, quindi, necessario lavorare su questi concetti proprio nel rispetto di ciò che ti ho detto, a cena, la sera in cui mi hai cominciato a parlare di questa avventura giudiziaria: non è una casacca, una divisa, che crea la differenza fra esseri umani corretti e scorretti, ma gli apprendimenti che ti costruiscono la personalità”.

Giunti sotto casa sua mi sembra di dover chiedere altro, ma il suo sorriso (lui direbbe il temperamento) mi fa capire che non ce n’è bisogno e che devo solo riflettere su quanto mi ha spiegato.

“Comunque, per curiosità, si può fare appello a questa sentenza?”.

È chiaro! Aspetto che il giudice depositi le motivazioni della sentenza…mai vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso! Prima che tu te ne vada, voglio chiederti, scusa…insomma… perché ti chiamano Malcom?

Mi guarda con i suoi occhi grigi, freddi ma, al tempo stesso, vivi e penetranti e…“Star soli su una panchina, riflettere sulle foglie che cadono, mangiando tonno in scatola… sogni.. speranze…certezze e non incubi da dimenticare: io sono così, cerco nell’altro l’amico che capisca cosa significa vivere “a dimensione umana”, ed abbia voglia di combattere contro la cupa rassegnazione…”

Così come un’idea sprofonda nell’oblio dei ricordi, finalmente placato, torno a casa lasciandomi avvolgere dalla foschia della notte.

Francesco Chiaia & Giorgio Marchese (13 APRILE 2007)