Posted on

Fabrizio Berlincioni, napoletano, classe 1956, fucina di idee del sud: autore, compositore, autore televisivo scrittore, poeta.

La sua passione per la musica inizia da ragazzino quando dice che ”scimmiottava le canzoni di Claudio Baglioni”, il suo cantautore preferito dell’epoca. Da lì a fare di una passione il suo futuro lavoro il passo è stato breve. La scrittura, quella professionale, comincia a dare i suoi frutti ben presto. Fabrizio muove velocemente i suoi passi nel mondo della canzone senza però trascurare altri interessi e impegni come una carriera sportiva da nuotatore e pallanuotista, e la laurea in giurisprudenza conseguita nel 1980.

A soli 19 anni diventa l’autore più giovane a vincere il Festival di Sanremo con “Non lo faccio più” interpretata da Peppino di Capri. In tutta la sua carriera è al terzo posto, tra gli autori, quanto a presenze al Festival, dopo Mogol e Franco Migliacci. Nel corso degli anni è quasi sempre presente alla kermesse canora, spesso come autore di più canzoni contemporaneamente alcune delle quali rimangono nella storia come grandi successi nel tempo: Mi Manchi (cantata da Fausto Leali), Ti lascerò (Leali/Oxa), Ti penso (M. Ranieiri), Gli Amori (Toto Cutugno) e tante altre.

La sua vena artistica è forte e incontra il gusto di tantissimi cantanti italiani. Tante le collaborazioni:  Mina  (per cui nel 2010 ha scritto Amoreunicoamore), Andrea Bocelli, Fausto Leali, Anna Oxa, Franco Califano, Fiordaliso, Al Bano, New Trolls, Ricchi e Poveri, Toto Cutugno, Raffaella Carrà, Adriano Celentano, Massimo Ranieri, Franco Fasano (col quale nascerà una bella amicizia).

Nel 1996 la sua creatività sfocia nella poesia dando vita a Nikita e la formica, lavoro la cui prefazione è firmata da Gino Paoli.

Ma la versatilità di Fabrizio lo porta a fare anche l’autore televisivo infatti prende parte, dal 1995 in poi, a numerose trasmissioni Rai e Mediaset, tra cui Mela Verde, Buona Domenica, Stasera mi butto, Ti lascio una canzone, Io Canto ecc. 

Per quanto riguarda le canzoni, Fabrizio continua a spaziare anche nei generi e ce lo ritroviamo a scrivere i testi delle sigle di cartoni animati per bambini. In più, non da ultima, ricordiamo la sua collaborazione anche con Cristina D’Avena per cui scrive alcuni brani.

Nel 2012 si “completa” quanto ad esperienze creative, con la scrittura e la pubblicazione del suo primo romanzo Io sono Gomez.

Sicuramente le sue esperienze a Ti lascio una canzone e Io Canto lo hanno portato ad avvicinarsi al mondo dei cantanti junior e ad occuparsene in prima persona tanto da scrivere, nel 2014, il testo di Tu primo grande amore, cantata da Vincenzo Cantiello, canzone vincitrice dello Junior Eurovision Song Contest svoltosi a Malta.

Una carriera lunga e ancora in evoluzione, ma parliamone meglio proprio con lui:

-Com’è cominciata la tua carriera da professionista ed esattamente a quanti anni?

Beh… come il 90% delle carriere, tutte incominciano con dei colpi di fortuna. Per me ci sono state due fasi. La prima fu quella in cui, intorno ai 17-18 anni, “scimmiottando Baglioni” (di cui amavo tantissimo i testi semplici e poetici) scrissi delle “canzoncine” imparando sulla chitarra il giro di DO.

In quel periodo, mi trovavo a Napoli dove ero impegnato nella pratica di sport come nuoto e pallanuoto. Portai uno di questi brani, presentato da un amico comune, a Peppino di Capri. Lui mi accolse più per dovere che per piacere. Gli feci ascoltare la canzone e lui mi pregò di registrargliela su una cassetta per lasciargliela. Dopo mesi, mi chiamò la sua segreteria e mi informò del fatto che Peppino l’avrebbe presentata a Sanremo (1976).  Sistemarono delle cose perché la canzone era molto semplice, ma, sta di fatto che quel brano, a 19 anni, mi vide come vincitore del Festival. 

Poi ci fu un periodo, dal 1976 al 1987, in cui misi da parte la musica dedicandomi ad altro. Continuai con la pallanuoto; mi trasferii in Venezuela per 3 anni; a Parigi per altri 2. Intanto, nell’80, mi ero anche laureato in Giurisprudenza… Rientrando, mi chiesi se avessi preferito fare l’avvocato, il giudice o il notaio oppure… scrivere le “canzoncine”. Optai per quest’ultima possibilità e, mentre mi mantenevo facendo sport, mi trasferii a Piacenza, abbastanza vicino a Milano (capitale della musica).

Per una anno lavorai intensamente con Franco Fasano che nel frattempo avevo conosciuto e con cui era nata anche un’amicizia. Insieme scrivemmo MI MANCHI e TI LASCERO’… Da lì, grazie anche a dei colpi di fortuna, la carriera andò avanti. Per esempio, accadde che Leali sarebbe dovuto andare a Sanremo con un pezzo di Toto Cutugno col quale litigò pochi giorni prima del festival e Toto ritirò la canzone. Ma Leali era comunque dentro la kermesse, ormai era stato scelto, ma senza canzone.  A quel punto decise di sostituire il brano con MI MANCHI che doveva essere semplicemente un pezzo dell’album e invece ebbe tutt’altra sorte diventando un grande successo nonché suo cavallo di battaglia.

Gli incontri con Fasano erano continui, intensi e proficui, ci impegnavamo moltissimo, ma fummo anche molto fortunati.

-Quanto conta avere dei sogni e perseguirli per fare un lavoro come questo? Hai ancora dei sogni?

Io ho ancora dei sogni anche se, avendo ormai una certa età, so che alcuni sogni sono irrealizzabili… però non mi do mai un limite. Io mi sento ancora un ragazzo anche se, di fatto, non lo sono più. Ho adattato i miei sogni alla mia età e alle opportunità che ho. Di fatto comunque… Sì, sogno ancora!

Hai mai temuto di non poter più svolgere il lavoro di autore e autore televisivo? C’è stato mai un momento di crisi personale o di circostanza?

Intanto diciamo che amo di più fare l’autore di canzoni che non quello televisivo. Scrivere canzoni ti permette di gestirti come vuoi, ritagliarti dei momenti di solitudine per riflettere. In tv, invece, devi accanirti per ottenere gli ascolti e questo non ti dà tregua.

Credo, visto che negli anni ’90 ero uno degli autori più importanti, in pieno successo, di aver commesso un errore nell’accettare di fare l’autore televisivo, attirato dai “facili” guadagni, trascurando il mio lavoro musicale. Però, se parliamo di crisi, direi che non ho mai avuto difficoltà…

-Forse adesso…

Adesso è tutto più complicato sia in tv che nella musica. Credo che, per quanto mi riguarda, tutto sia riconducibile all’età. Ci sono ragazzi 30enni che chiedono un cachet bassissimo (molto meno del mio) e lavorano tanto, anche bene e sono tecnologici per come serve oggi. Non avendo io un giro fisso di persone con cui lavorare trovo qualche difficoltà. Mi restano comunque i contatti con gli artisti con cui ho lavorato, i miei cavalli di battaglia, che però sono anche loro di una certa età… Sta di fatto che se volessi scrivere una canzone per qualche artisti del momento, tipo Mengoni, non riuscirei ad arrivarci perché ci sono “giri” chiusi fatti da gente più giovane.

-Dopo tanti anni, scrivi sicuramente perché è il tuo lavoro, il tuo mestiere, ma ti capita ancora di mettere dentro alle canzoni un pezzo delle tue emozioni, della tua vita o sei adesso semplicemente un osservatore del mondo che ti circonda?

Un po’ entrambe le cose. Le canzoni più belle che ho scritto sono quelle ispirate che nascono da momenti personali di tristezza, dolcezza, rimpianto, dolore… e sono vere. Però è ovvio che per mestiere, dopo 40 anni di questo lavoro, ho imparato a calarmi nelle situazioni. Se qualcuno mi chiede un pezzo con determinate caratteristiche, riesco a scriverlo comunque perché mi immedesimo e perché ho una particolare sensibilità d’animo insieme a una predisposizione innata che non può essere costruita.

-C’è una tua canzone che ti è rimasta di più nel cuore e perché?

Ce n’è più di una.

Sicuramente quella che amo di più è MI MANCHI sia perché è la prima canzone che mi ha dato notorietà, sia perché ancora mi dà soddisfazione a livello economico; è stata cantata in tutto il mondo e l’ha ripresa anche Bocelli in spagnolo. E’ una canzone importante e poi, diciamolo, era ispirata! Era reale, raccontava di una mancanza vera. Anche TI LASCERO’ era ispirata davvero, nasceva da una lettera che avevo scritto realmente ad una ragazza di cui ero innamorato… come pure TI PENSO.

Queste 3 sono in assoluto le preferite, poi te ne potrei citare altre ma non sono molto conosciute.

-Hai scritto di tutto tra canzoni, poesie, romanzi, testi televisivi… Cosa ti diverte di più?

Mi diverte scrivere le canzoni anche perché sono una persona abbastanza pigra. Ti dico… Sto scrivendo un nuovo romanzo da forse 9 anni… Scrivo dieci pagine poi per due anni non scrivo niente… Questo perché non amo stare seduto a scrivere, mentre la canzone è più immediata: un testo, se sono ispirato, lo posso scrivere anche in 15 minuti altrimenti ci metto al massimo un’ora, tempo in cui la mia pigrizia mi abbandona e riesco a creare.

-Tante le collaborazioni musicali e televisive…. Con chi potresti dire di aver avuto più feeling?

Per quanto riguarda la scrittura, con Franco Fasano, col quale ancora, anche se non con la stessa frequenza di prima, ci vediamo e lavoriamo. Vengono fuori delle belle cose che però purtroppo restano lì nel cassetto. Lui è sempre stato quello che compensava la mia pigrizia con la sua voglia di fare. Il suo perfezionismo mi ha stimolato molto.

Come interpreti ho avuto feeling con Fausto Leali, Al Bano, Toto Cutugno, Massimo Ranieri.

-Nel tuo romanzo Io sono Gomez, il protagonista si muove “al confine tra la perdita e la riconquista di un’identità e percorre nuove strade di una nuova città per morire e per rinascere altrove camminando sulle ceneri di un passato da dimenticare” …

Di solito nel primo romanzo si tende a parlare di sé… E’ così anche per te in Io sono Gomez e se sì, in che misura?

Diciamo che Gomez è il mio alter ego. Lui è un uomo avventuroso, rappresenta ciò che avrei voluto essere e non sono stato o sono stato solo in parte; si mette sempre in gioco ed è molto fortunato nelle sue vicissitudini. Sono comunque un po’ io! Anche le città dove si svolge il romanzo sono luoghi che mi appartengono, che ho vissuto come Napoli, Roma, Caracas. Ho preso spunto dal mio vissuto e poi con la fantasia ho dato vita al romanzo che deve avere una storia e un finale. Ecco, “quel” finale, nella vita, è qualcosa che non mi è ancora successo…

Senza dire di cosa si tratta (non spoileriamo il finale del romanzo), ma è qualcosa che ti augureresti per la tua vita?

No, ma se capitasse, la prenderei senza farmi problemi.

-Sei stato autore di tante trasmissioni televisive… in quale ti sei sentito di più “a casa”?

Qua non ho dubbi a risponderti! Ho fatto tanti programmi musicali come IO CANTO, TI LASCIO UNA CANZONE, THE WINNER IS, VOLAMI NEL CUORE, ma il mio programma preferito, strano a dirsi, è stato MELAVERDE, quello in cui ho lavorato per ben 10 anni, a cominciare dalla sua prima puntata.

Sono stato benissimo! Ero a contatto con la natura, con tante cose che ci appartengono, ma di cui in realtà non siamo a conoscenza… come le filiere agricole, i frutti, gli allevamenti, il cibo in genere, le montagne, la vegetazione. Ho avuto modo di farmi una cultura a livello di mondo, di “vita”, di natura, territorio. Ne ero entusiasta! Ho visto posti, in Italia e all’estero, che non avrei mai visitato e tutto questo ha reso il lavoro un non-lavoro perché era piacevole e appassionante. Insomma…Il programma perfetto!

Poi ho rinunciato perché ho avuto delle offerte più vantaggiose e, per certi versi, ho sbagliato anche se, di contro, ho avuto modo di fare programmi prestigiosi che mi hanno dato tanto.

Però, sarebbe bello poterci tornare anche se so che è difficile.

Parlando di tv, hai fatto l’autore per TI LASCIO UNA CANZONE e IO CANTO, talent per giovanissimi di RAI e MEDIASET. Com’è stato lavorare con artisti junior e, nei casting, cosa doveva colpirti per scegliere un giovane artista piuttosto che un altro?

Io ero un filtro importante, ma la decisione finale spettava a Roberto Cenci, che era regista e direttore artistico. Anche lì bisognava avere fortuna o chiamiamolo fiuto. La prima cosa da verificare era che il ragazzo non fosse timido, ma in grado di affrontare in diretta il pubblico di milioni di persone, le telecamere e uno stress emotivo non indifferente. Devo dire che i ragazzi che ho selezionato non mi hanno mai deluso. Si sceglievano ragazzi talentuosi, ma ognuno con delle proprie personali peculiarità per diversificare. C’era quello che faceva tenerezza, il bello, il simpatico, quello bravissimo.

Ne approfitto per dire che noi non abbiamo mai scelto qualcuno per raccomandazione, Mai!

Cercavamo quello che volevamo e lo trovavamo! C’erano diverse selezioni molto dure fino ad arrivare a quei 20/30 nomi che arrivavano a far parte del cast.

E’ successo, però, purtroppo, che alcuni, nonostante fossero bravi, non si siano esibiti affatto o si siano esibiti molto meno di altri. Ti porto l’esempio di Christian Imparato. Lui era un mostro di bravura e, chiaramente, era presente in tutte le puntate, cantava più canzoni perché noi verificavamo che, durante le sue esibizioni, il grafico degli indici di ascolto saliva. Era ovvio che lo preferissimo agli altri! Per esempio, Alessia Labate l’abbiamo scelta perché è stata la prima a presentarsi accompagnandosi con la chitarra, e, in più, cantava in inglese.

-So che spesso tieni dei corsi di scrittura creativa per song writers. Quanto credi sia importante studiare in questo? …O forse sarebbe meglio dire che si cerca di dare delle linee guida per muoversi nella propria creatività?

Direi, la seconda che hai detto! Io sono stato docente anche al CPM di Milano, avevo una classe di 30 ragazzi a cui dovevo insegnare a scrivere i testi.

Dopo alcune lezioni capii che non si può insegnare a scrivere i testi, ma solo a sentire la musicalità delle parole, a capire i vari tipi di rima. Però se non si ha qualcosa dentro, pur essendo preparati sugli schemi di scrittura, si rischia di produrre solo banalità. Nella didattica faccio fare diversi esercizi che poi valuto secondo il mio metro di misura (magari sbaglio!) che potrebbe anche essere opinabile.

Per quanto riguarda la musica sarebbe forse diverso, ma il testo è poesia… o c’è o non c’è!

Di quella classe solo due avevano quel qualcosa dentro.  Una, Francesca Polli, infatti è riuscita a farsi avanti, è diventata autrice di canzoni per lo Zecchino D’oro insieme a Franco Fasano e ha scritto anche una canzone per Mina. Lei aveva questa marcia in più, emozionava. Un autore deve riuscire ad emozionare in tre minuti, in un testo che non va spiegato.

Io non amo quegli autori che sono ermetici. Non amo Panella, né Battiato i cui testi, ovviamente non tutti, non sono di comprensione immediata.

Ci sono altri, invece, che mi hanno emozionato. Uno di loro è Luberti, primo paroliere di Riccardo Cocciante, autore di capolavori come QUANDO FINISCE UN AMORE, MARGHERITA, BELLA SENZ’ANIMA che ti entravano nella pelle, sotto la pelle…

MOGOL resta il numero uno anche se pure lui ha prodotto qualcosina da dimenticare, ma per il resto rimane un grande autore.

Io amo scrivere cercando di far capire, di far arrivare il testo dentro, forte come una “pugnalata”.

Ecco io, quando insegno, cerco di trasferire questi concetti ai ragazzi.

Ma nelle canzoni di oggi, hai notato che mettono dentro le parole “dure”, che non esiste più una metrica vera e propria e le rime sono quasi inesistenti? Ti porto d’esempio Mahmood

L’ho notato, ma personalmente vado molto a pelle… A me personaggi come lui e Gabbani non piacciono…li trovo costruiti, commerciali. Preferisco più rapper trasgressivi tipo i CO’ SANG’ autori delle colonne sonore di alcune serie televisive sulla camorra su Netflix; mi piace anche J-AX perché lo percepisco “vero”, con un’identità propria. In ogni caso mi sento vicino il mondo rap anche perché mio figlio, NIKITA, è un rapper e, devo dire, è molto molto bravo; scrive dei bei testi che erroneamente alcuni amici attribuiscono a me… In questi giorni sta per uscire il suo primo singolo che si intitola ANDALE

-Artisticamente parlando, pensi sia più importante il talento o la perseveranza?

Purtroppo, secondo me è più importante la perseveranza. Tra un autore creativo che è “solo” bravo e uno mediamente o mediocremente capace, ma che manifesta perseveranza attraverso la presenza attiva e costante ovunque e con chiunque sia utile ai propri scopi, intessendo pubbliche relazioni proficue e praticando  lecchinaggio (diciamolo pure!), vince il secondo! Quindi direi che serve un po’di talento (anche solo poco), ma senza perseveranza non si va avanti.

-Per te la musica, da passione, è diventata lavoro, ma quali sono, invece, i tuoi hobby? Come ti rilassi?

Direi che ho una passione che è quella di collezionare sfere di tutti i tipi, dimensioni, materiali che vengono da ogni parte del mondo. Ne ho più di 350 in casa.

Mi rilasso facendo giardinaggio nel giardino di casa mia e poi amo guardare le serie televisive su NETFLIX.

-Tirando le somme della tua vita artistica fino ad oggi, ti chiedo: C’è qualcosa della tua carriera che non rifaresti?

No! Forse l’unico rammarico è quello di aver lasciato MELAVERDE, ma con la consapevolezza di aver fatto dopo cose importanti, in prima serata, come TI LASCIO UNA CANZONE, IO CANTO, ecc… che altrimenti non avrei potuto fare.

-Ci vuoi raccontare una cosa bella e una cosa brutta della tua carriera?

Una cosa bella sicuramente è la vittoria a Sanremo di  Anna Oxa e Fausto Leali  con TI LASCERO’; vittoria indiscussa anche se quell’anno c’era pure Mia Martini con ALMENO TU NELL’UNIVERSO che avrebbe meritato tanto di più.

Una cosa brutta è stata quando, al top della mia carriera musicale, ho accettato di non firmare una mia canzone, ricevendo lo stesso i proventi dei diritti perduti, ma come editore. Quella canzone ebbe un gran successo. Io ero fiero di averla scritta, ma il non averla firmata mi faceva soffrire. Un giorno, dopo averla ascoltata al cinema (come leitmotiv di un film importante), leggendo nei titoli di coda il titolo della canzone con su scritto il nome dell’autore diverso dal mio, trovai la forza di fare un’azione legale per riavere la proprietà intellettuale del brano e ci riuscii. Ri-depositai la canzone alla SIAE col mio nome. Purtroppo ogni tanto, soprattutto quando si sta all’inizio di una carriera, si accettano dei compromessi nel firmare i brani…

-Hai una vita personale, una famiglia: una moglie, dei figli. Quanto si riflette la vita personale su quella lavorativa?

Si riflette in maniera negativa. Se io fossi stato single, senza famiglia, senza responsabilità, sarei stato in altre condizioni… L’artista deve essere “maledetto”, deve conoscere la solitudine, il suo disordine creativo…

Invece, chi vive la quotidianità della famiglia, è un artista un po’ compresso, non libero! Per esempio, quando ho scritto MI MANCHI, nel ’97, io lavoravo di notte, stavo fino alle 4 del mattino, nel silenzio più totale. Quando ti sposi e hai dei figli, cambia tutto. Non puoi più andare a letto alle 5 del mattino perché poi devi accompagnare il bambino a scuola e quindi cambia tutta le tua routine artistica. La TUA penna con cui scrivi le canzoni, con cui hai scritto i tuoi successi, a un certo punto non la trovi più perché magari l’ha presa il figlio… Insomma tutto questo influisce negativamente sulle modalità artistiche… però ti dà altro.

Correggimi se sbaglio…. La famiglia ti dà una stabilità emotiva di cui forse un autore non ha bisogno…

Anche! Però lo superi con la fantasia. La mia è talmente forte che riesco a creare le condizioni per poter scrivere! E’ fondamentale.

Per te cos’è la felicita? Sei felice?

La felicità è fatta di attimi come quando succede qualcosa di carino, ma, secondo me, non esiste. C’è questa ombra, sopra di noi, della morte per cui non puoi essere felice. La felicità è degli stolti!

Basta guardarsi dentro per capire che felici davvero non si può essere. Anche quando insegui un sogno, il sogno può stimolare la tua creatività, ti entusiasma, ma non ti rende felice.

Ti ringrazio della tua disponibilità, mi sono divertita e coinvolta con le tue risposte.

-Concludiamo con la classica domanda: Bolle qualcosa in pentola?

A livello televisivo direi di no, forse, dico forse un ritorno a MELAVERDE, ma non so… è difficile.

Per quanto riguarda le canzoni, sto scrivendo tante belle canzoni e, a proposito di sogni, mi piacerebbe dare dei pezzi a Fiorella Mannoia … Amo come canta.

Sono anni che ci provo, ho almeno 6 canzoni perfette per lei, ma, anche passando attraverso amici comuni che hanno fatto da intermediari, non sono mai riuscito a fargliene cantare una. E’ difficile, ma mi piacerebbe realizzare questo sogno…

Io ti faccio il mio “In bocca al lupo” affinché tu possa vincere ancora e realizzare i tuoi sogni perché come diceva Nelson Mandela

                                                     “Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso”

Grazie Fabrizio!

3 Replies to “Intervista a Fabrizio Berlincioni”

  1. Sono contento e fiero di conoscere una persona brava ed importante della mia terra “Napoli” come Fabrizio Berlincioni. Antonio Moggio

  2. Quando la classe non è acqua! Un artista è un artista, e basta! I criteri valutativi, il modo di essere e di porgere infatti nn possono essere accomunati alla”normalita” , alla stratificazione sociale…..devono poter….volare! Bervit…docet

  3. Non avete idea di quanto grande sia … dovreste conoscerlo : umile ,intelligentissimo ,colto ,istrionico ,senza dubbio un illuminato

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *