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Tutto quello che abbiamo dentro.


 

Pensieri degli anni difficili.


Quante volte mi sono fermata ad ascoltare quello che proviene dall’interno?

Inseguo il silenzio, socchiudo ogni porta, spengo le luci e lascio che dall’esterno filtri solo un piccolo raggio.

Rifletto intensamente. Decido che questo è il momento di svoltare, una volta per tutte; ho accumulato tanto ormai su me stessa, di me stessa. La verità, ho bisogno di dirla a voce alta.

Mi sono data finalmente una risposta. L’ho cercata senza accorgermene in tutti questi anni, osservando attentamente, a volte dimenticando di prendere l’aria per il respiro, altre correndo affannosamente nel tentativo di sfuggire l’ansia.

Il foglio. Si sposta leggermente, lasciando intravedere in trasparenza la pagina seguente. È un suggerimento, per provare ad indovinare sul futuro che ci aspetta.

Mi sciolgo in un abbraccio, nella visione di un cielo dalle tante sfumature, all’interno di uno sguardo perso nell’amarezza della realtà.

Non mi arrendo!

Con freddezza provo a descrivere l’intricato percorso che mi ha portato alla conclusione. Questa volta ciò che rimane nelle mani è tanto, quasi troppo, difficilmente gestibile in termini di trasformazione.

Fuggo, da tutto quello che prevede confusione e parole.

Giornate tirate all’estremo, fra la necessità di non volere respirare aria fresca e quelle, invece, vissute in compagnia di un irrefrenabile desiderio di interagire. Pericolose le prime, trascinano all’interno di un pensiero che diviene circolare rischiando la vertigine; amare le seconde, mettono a nudo l’isolamento in cui ci troviamo spesso avvolti.

Ascolto, con molta attenzione e anima e, senza che possa far niente, vivo una realtà che percepisco come fosse mia.

I bisogni emotivi. Ben poco si può fare di fronte alle esigenze che richiedono di essere soddisfatte. Alcune cose sono difficilmente risolvibili con una sola riflessione, prevedono quante più congiunzioni possibili e tutte perfettamente sintonizzate.

E se poi controllando nella curva si finisce per perdere il gusto della sbandata?

Quando quello che rimane all’interno è il novanta per cento, possiamo solo obbedire alle leggi di Natura.

Un prato delicato di tenui colori, un sole pallido ma con tanto calore da donare, un cielo splendente di puntini luminosi.

Il novanta per cento è quello che resta quando senti che non puoi più dare altro. Finisce per creare all’interno un turbine, un movimento che diventa inquietudine, una sofferenza che poco riesci a condividere. O forse non sei più disponibile a condividere, non lo vuoi più.

La consapevolezza di questo stato d’animo genera confusione e sofferenza. Comincia una lotta alimentata dai fotogrammi della vita che è passata, proiettati sullo schermo dei tuoi pensieri, fedelmente. Il dolore è sostenuto dalla realtà del presente, ma si intravede in lontananza la speranza del futuro.

Torno a casa nel pomeriggio tardo ma non troppo, che si prepara a chiudere il giorno. In lontananza il mio sguardo va a posarsi sul rosso intenso che colora una montagna. Da qui si può sentire il profumo del silenzio che la avvolge, l’aria fresca intorno a proteggerla, la magia del paesaggio. E ne sorrido commossa.

Leggo, a voce alta e sempre più sorpresa dall’amore vissuto nelle pagine ingiallite dal tempo trascorso senza limiti. Vorrei poter imparare dalle parole impresse, dalla purezza dei sentimenti che hanno coronato una grande storia, dalla ingenuità e dalla tenerezza che ha legato.

È troppo per tenerlo tutto dentro.

 

Fernanda (12 gennaio 2011)