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…quando si esce fuori dalla stanza delle parole


 

Pensieri degli anni difficili

30 giugno 2006, ore 21.56, casa mia. Stasera voglio rimanere da sola con Fernanda.

Ho bisogno di scavare dentro, alla ricerca non delle verità, quelle non mi interessano più di tanto, ma delle sensazioni. È tutta la settimana che ci penso. Fra una tenerezza che ha rischiato di sciuparsi, una serata in compagnia del boccale preferito condiviso con l’autenticità dei sentimenti ed un rilassante e piacevole barbecue in famiglia per augurare il “bentornata”, sono passati velocemente i giorni. Senza che avessi la possibilità di ritrovarmi con me stessa.

Godo della compagnia dei miei pensieri, potrebbe essere forse il modo per analizzarsi. Qualcuno un po’ di tempo fa mi ha detto che l’analisi di se stessi in realtà inizia quando si esce fuori dalla stanza delle parole. Non so se è realmente così, ma sta di fatto che sento sempre più spesso la necessità di ripercorrere le mie giornate, i miei pensieri belli o brutti. Ma miei.

Fuori urlano, suonano, festeggiano.

Non basterebbero dieci o più pagine per ricordare gli istanti più emozionanti degli ultimi giorni. Ma così facendo perderei quello che ancora non so voglio provare a descrivere, ma che sento deve trovare una via d’uscita. Provo a ripercorrere quest’ultimo giorno di questa settimana.


Ovattata dai rumori del mondo esterno, ma un po’ intimorita dal totale isolamento che si crea, sono in piedi abbastanza presto. E altrettanto presto per strada. Come ho già detto succede solo due o tre volte l’anno. Ho fretta di iniziare questa giornata. Sono ansiosa di comunicare, di rileggere, di far leggere. E di ottimo umore. Il lavoro oggi è prevalentemente statistico, quindi sui pc, con i numeri. Meglio, così non mi devo mettere in discussione, non mi devo sforzare. Posso non metterci l’anima. E soffro di meno! Poi la compagnia è gradevole. È bello capirsi al volo quando si condividono le passioni, anche se io sto mentendo a me stessa da un po’ di tempo.

Arriva velocemente la pausa per il pranzo. Cerco di renderla divertente, per convincermi. Quindi, come solo può essere fra donne, un giro per negozi, un po’ di proteine da ingerire e poi di nuovo sui numeri.

Ho quasi deciso che questa sera farò tardi, non passerò da casa, raggiungerò velocemente e direttamente la stanza delle parole. Ne devono uscire tante questa sera, mi auguro. Con me è sempre un terno al lotto.

Un uomo a me molto caro l’altro ieri parlando dei miei repentini cambiamenti di umore, che spesso rasentano la follia, molto carinamente mi ha detto che noi donne siamo belle perché siamo lunatiche, e siccome io sono bellissima sono lunaticissima. Ho trovato che sia un ottimo complimento. Però è meglio che non ci rifletto troppo sennò cambio idea. Poi mi ha chiesto se lo voglio sposare.

Un caffè in compagnia di colei che ricorda Fernanda 10 anni fa e che sarà Fernanda fra 10 anni. Anche qui la sintonia è totale, ci lega la complicità accomunata dalla nostra potente vitalità, che coinvolge, travolge, confonde. Insieme siamo una mina vagante e non due. O a dirla come un esperto di persone: le invasate. Sorridendo penso che ha ragione. Noi abbiamo bisogno del contatto con la gente sia fisico che con le parole, scritte o urlate che siano. È una sensazione appagante e potente che ti rasserena e ti carica. Ti da sicurezza nel genere umano. In questo momento stanno sparando fuochi d’artificio. Io vivo in un quartiere molto popolare, di quelli che quando torni a casa la sera, d’estate, la gente ti saluta e ti accoglie dai balconi. Mi piace ciò.

Il mio pensiero è comunque sempre lo stesso.

In un batter d’occhio arrivano le 18. E’ già abbastanza tardi. Vorrei trovare il tempo di raccogliere le idee prima. Anche se forse non deve essere così, ma non è facile mantenere la naturalezza più totale. Anche dopo un anno. Ho bisogno sempre di prepararmi con la testa per un po’. Per cui cambio idea, come sempre. E nel giro di veramente poche decine di minuti, raccolgo tutte le mie cose e mi ritrovo a casa, sotto la doccia. A far tutto tranne che a pensare alla futilità delle cose, che forse mi aiuterebbe. Ma a quello che dirò.

Sempre al volo e fra tante scorciatoie per raggirare il traffico dell’ultimo momento prima del mondiale, fortunatamente trovo un posto dove lasciare l’auto. Naturalmente anche questa sera i miei occhi hanno incontrato le note dolenti del passato. Vivo un istante di nostalgia, mi si stringe il cuore, lo vorrei fra le mie braccia ancora una volta. Ma questo questa sera non lo dirò, lo terrò per me stessa. Magari ci penserò prima di addormentarmi, così stringerò a me questa immagine e proverò a soddisfare il mio bisogno di lacrime.

Sono nella stanza della transizione, là dove normalmente disattivo tutti i miei contatti con il mondo esterno ed attivo una serie di filtri e dispositivi di sicurezza sulla mia persona… Sento chiudere la porta, è arrivato il mio momento. Aspetto la domanda fatidica, quella che non mi piace ma che mi fa sorridere e poi cerco di trovare le parole. Comincia quasi una caccia al tesoro, o meglio il tentativo di fare in modo che colui che mi sta di fronte (beh, non proprio, le sedie erano un po’ fuori posto questa sera) trovi la chiave di ingresso per capire cosa ha stampato sulla mia faccia questa espressione di serenità.

Ma perché mi chiedo, potrei arrivare al dunque subito, in fondo è tardi, è fine giornata di una fine settimana di lavoro. E poi non si può dire che non sia brava ad arrivare subito al sodo. Due o tre giorni fa ho dato ottima prova di saperlo fare…

Fra un abbozzo di sorriso, un po’ di dispiacere per quello che avrei voluto, un po’ di vergogna per aver fra i denti detto ciò che non avrei voluto, arrivo al momento che più mi dà soddisfazione. Ho comunicato nella maniera che più mi piace il mio stato d’animo, com’è arrivato, com’è cambiato, quello che ho sentito. Aspetto di incontrare lo sguardo, ma questa volta non per scrutare all’interno della mia anima, ma per avere un’altra certezza. Sono orgogliosa e contenta delle mie esternazioni di pensiero. Della mia penna. Lo voglio fare sempre meglio e senza pensare. Come la pillola di questa sera, che è venuta fuori così come si vede e come si legge, senza correzioni, né ripensamenti. Di getto, annullando le distanze fra la mente, il cuore e le mani, senza pensare a che fine farà, dove andrà, se incontrerà altri occhi che sentiranno. Questa sera voglio seguire il consiglio di un amico. Lo faccio solo per Fernanda, se lo merita.

30 giugno 2006, ore 23.33, sempre casa mia.

Fernanda