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“Nei paesi nei quali gli uomini non si sentono al sicuro in carcere, non si sentono sicuri neppure in libertà”. (Stanislaw Lec). Spesso, fra una brutta notizia di politica e una pessima di economia, si sentono dichiarazioni importanti da parte di uomini autorevoli, si leggono lettere drammatiche scritte da persone detenute, che fino a ieri erano riferimenti certi per l’intero paese. Dobbiamo liberarci dal carcere degli affari e della politica. (Epicuro). Uomini di comando e di strategia politica incappano negli errori propri, nelle malefatte agite alle spalle, nei ripieghi del denaro che non fa prigionieri, scivolano dentro una cella dove rasentano la follia di una giustizia in solitudine, una legalità presa per il bavero, una equità che veste i panni del clown. Terribile e disperato l’urlo che si alza da quelle righe scritte in affanno, che ora fanno i conti con ciò che in carcere accade, ma che pure ieri era all’ordine del giorno, senza morso allo stomaco, senza un moto di consapevole disgusto civico. Qualcuno si sente in diritto di ridere e gioire del dramma di un onorevole caduto in disgrazia, invece è un liscio e busso che non assolve alcuno, che non fa scomparire la carenza di spazi, di materiali didattici e di mezzi, di attività trattamentali degne di questo nome, la disperante necessità di impiegare la volontà umana per riuscire diversamente dal passato… PER LEGGERE TUTTO IL TESTO, CLICCARE SUL TITOLO.



Il carcere è materia estremamente sdrucciolevole, addirittura ingannevole, ma quale pena, quale percorso occorre consegnare, quale significato, quale insegnamento fare scaturire da una carcerazione che riguarda tutti, vittime e carnefici, innocenti e colpevoli, perseguitati e furbi di vecchio e nuovo conio. E’ forse sufficiente buttarla nel ridicolo, costruendo abbellimenti dialettici, nelle parole di qualche ex potente finito in galera, che riconosce la barbarie penitenziaria italiana, le tumefazioni alla dignità di ciascuno, ben sapendo che quando la dignità è trucidata, la stessa umanità scompare, non resta che l’indifferenza a fare da sepolcro. Non è limitativo ovviare a questa illegalità istituzionale, a questa ingiustizia statuale, attraverso la domanda fatidica: ma tu dov’eri quando urlavamo di una prigione irrappresentabile almeno quanto il reato commesso? Tu dov’eri quando altri parlamentari girovagavano per le prigioni della penisola, denunciando lo stato di abbandono, di violenza, la disperazione dei restanti neuroni ingabbiati tra le sinapsi del cervello, oramai in balia della follia? Ti sei mai chiesto quanti suicidi quest’anno hanno sancito l’edema della violenza dentro un carcere? Quanta morte quest’anno ha alimentato l’illiceità di un girone dantesco camuffato da percorso di riparazione e riconciliazione?

Della vera emergenza interpretata male, in questo recinto chiuso per il mantenimento dell’ordine e la sicurezza, ma irriguardoso e soprattutto antitetico a quel rispetto richiesto e auspicato per ogni persona umana, libera o detenuta che sia.

Nei paesi nei quali gli uomini non si sentono al sicuro in carcere, non si sentono sicuri neppure in libertà. (Stanislaw Lec)

Un carcere popolato di diseredati da ogni possibile eredità valoriale, del valore insito in ogni cittadino, dove ora “fanno vasche” pure gli uomini di vertice, eppure quante volte si è consigliata maggiore prudenza e attenzione, perchè in carcere potrebbe finirci chiunque, perfino chi oggi si sente impunito per vocazione e chi invece innocente lo è per davvero.

Chissà se almeno adesso le parole pronunciate da un grande Direttore di prigione: “il carcere dovrebbe arretrare nella sua voglia di dominare, controllare, punire, e mettere al centro della propria filosofia di vita la persona, diventando un’istituzione di servizio”, saranno ben di più del solito scatto in piedi, finalmente materia importante per un preciso interesse collettivo.

Per lo stato è indispensabile che nessuno abbia una sua volontà; se uno l’avesse, lo stato dovrebbe escluderlo, chiuderlo in carcere o metterlo al bando; se tutti avessero una volontà propria, farebbero piazza pulita dello stato. (Max Stirner)


 


Vincenzo Androus Counselor, Tutor Comunità “Casa del Giovane” Pavia

 

P.S. Può sembrare strano che, in un momento come questo, si pubblichi un editoriale che non parli dei problemi legati alla contingenza politico economica. Ebbene, riteniamo che, proprio in momenti come questi, bisogna uscire dal coro sterile e polemico di chi si lamenta e nulla può (o fa) per cambiare le cose. Anche l’argomento di questo editoriale, ci ricorda che esistono problemi gravi al pari (se non “di più”) di quelli che provengono dalla paura di perdere i nostri soldi. Forse non ci siamo accorti che abbiamo già perso la nostra dignità e il senso che sarebbe giusto dare alla condotta “tipica” di un essere umano. Buona libertà a tutti. Facciamone buon uso, però!



Giorgio Marchese – Direttore La Strad@