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Cosa sono, quanto ci fanno soffrire, come si risolvono.


A spasso verso un futuro migliore

Questo articolo ha avuto una prima stesura nel 2009 ed è stato pubblicato il 22 settembre di quell’anno, come evoluzione degli studi sull’argomento. Si è inteso riproporlo rimodulato, adattato e arricchito di molti spunti di riflessione. I punti trattati, sono i seguenti: Cosa sono i conflitti interiori (e interpersonali); come affrontarli e risolverli; perché li “difendiamo”; perché ci opponiamo ai cambiamenti; come uscire dal problema. Come riuscire a dire di no; come difendersi dall’egoismo altrui. Non tutte le risposte risulteranno evidenti, durante la lettura. Provate a riflettere (superando i conflitti prodotti): giungerete alla meta! P.S. Non guasta ribadire che, senza gli insegnamenti di Giovanni Russo, un simile lavoro, non si sarebbe potuto realizzare.

Buona lettura


Sai, la gente è strana, prima si odia e poi si ama; cambia idea improvvisamente, prima la verità poi si mentirà…senza serietà, come fosse niente. Sai, la gente è matta, forse è troppo insoddisfatta, segue il mondo ciecamente: quando la moda cambia, lei pure cambia, continuamente e scioccamente. Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell’universo ! Un punto, sai, che non ruota mai intorno a me, un sole che splende per me soltanto… come un diamante in mezzo al cuore. Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell’universo! Non cambierai, dimmi che, per sempre sarai sincero e che mi amerai davvero di più, di più, di più. Sai, la gente è sola, come può, lei si consola… per non far sì che la mia mente si perda in congetture, in paure, inutilmente e poi per niente. Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell’universo! Un punto, sai, che non ruota mai intorno a me, un sole che splende per me soltanto, come un diamante in mezzo al cuore!Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell’universo! Non cambierai, dimmi che, per sempre sarai sincero e che mi amerai davvero di più, di più, di più. (Mia Martini)

Cos’è un conflitto interiore? Da cosa si genera e perché?

Un filosofo austriaco del diciottesimo secolo, Rainer Maria Rilke sosteneva che , in fondo, “così noi viviamo, per sempre prendendo congedo”. Come si interseca una tale affermazione con il tema dei conflitti?

Noi generiamo conflitti in ogni istante, ma non in ogni istante stiamo male in conseguenza dei conflitti. L’idea di “lasciare” continuamente qualcosa o qualcuno perché, la vita si trasforma, ci fa dispiacere, ci produce nostalgia o malinconia. E a quel punto, vorremmo fermare il tempo, come in una foto istantanea (non importa se a colori o in bianco e nero), portandocela sempre con noi. A volte, grazie all’immaginazione ci riusciamo, altre volte sbiadisce: vorremmo trattenere quel ricordo con noi. Tutto questo ci fa soffrire perché ci crea dei conflitti: infatti vorremmo fare di meglio e di più. Esistono tanti tipi di conflitti, fisiologici o meno.

Cerchiamo di capire qualcosa di più

L’immagine proposta è abbastanza esplicativa. Quali saranno i motivi dello stato d’animo conflittuale della ragazza? Sarà stata bocciata ad un esame, avrà avuto problemi col partner? Ha “perso” qualcosa di importante? Chiunque la osservi, per un verso o per un altro, ci si può rivedere, per via del fatto che, come recita la definizione, i conflitti sono stati di tensione più o meno intensi e più o meno gravi, che si generano dalla difficoltà di prendere una decisione.

Ogni volta che dobbiamo scegliere qualcosa, sul piano decisionale e comportamentale, possiamo contare sull’operatività del nostro cervello, che è programmato appositamente per elaborare strategie operative, che seguono il seguente schema:

    • Prendere in considerazione il problema;
    • Scegliere fra le possibili soluzioni;
  • Valutare l’attuazione

Tutte le tre fasi, dal momento che presentano molteplici opzioni, costituisco l’innesco per conflitti decisionali, circa la comparazione fra costi e benefici. Man mano che si risolvono, si applicherà quello che serve al raggiungimento dell’obiettivo..

Tutto ciò non accade solo nelle decisioni importanti della vita, ma continuamente, a livello prevalentemente inconsapevole. Ad esempio, quando dobbiamo scegliere le parole appropriate per la costruzione di un discorso sensato, nella nostra mente formuliamo l’idea, poi la dobbiamo rivestire di emozioni che andranno, ovviamente, verbalizzate. E scegliere una singola vocale al posto di un’altra, molte volte determina una differenza considerevole. Ad esempio, non è la stessa cosa dire Torano (ridente cittadina in provincia di Cosenza) o Torino (capoluogo piemontese). Se una semplice vocale, all’interno di una parola, determina la necessità di operare miriadi di valutazione che, alla base, produrranno microconflitti (che vocale sceglierò, in funzione di ciò che intendo trasmettere?), la cosa si complica nel momento in cui esiste la necessità di mettersi in relazione complessa col mondo esterno.

Esiste la seguente verità: la nostra mente, quando costruisce idee e parole, deve operare una serie di scelte in funzione di quello che pensiamo. Se qualcosa ci disturba sarà ancora più difficile riuscire a scegliere cosa fare… dalla cose più semplici a quelle più articolate.

Quante volte siamo bloccati dalla paura di far soffrire qualcuno, paura di dover pagare un prezzo elevato per le nostre scelte… e poi scoprire che non ne valeva la pena. Quando, da bambini, avevamo paura delle punizioni, in fondo temevamo di far soffrire un nostro genitore, il quale ci puniva e poi si sentiva colpa, per essere stato aggressivo: una serie di conflitti., dai quali difficilmente ci si libera, sul piano dell’oppressione, perché, la verità è che non possiamo vivere senza conflitti come, d’altronde, non possiamo vivere senza frustrazioni!

E’ un sistema adottato dalla natura per costringerci a migliorare continuamente, il nostro modo di operare, di pensare. E’ come se fossimo degli atleti, indotti in maniera continua e relativamente costante ad allenarsi per rendere al meglio, in funzione di un obbiettivo: appagare ciò che serve per dare un senso alla vita.

Siamo tutti in catene…

“Tutti, lo sai, siamo legati alla sorte: chi con una catena d’oro, allentata, chi con una catena stretta e di bassa lega. Non fa molta differenza: siamo tutti in catene. E ti dirò di più: sono legati anche quelli che legano, a meno che tu pensi che una catena stretta al braccio sinistro sia meno gravosa.

Uno è incatenato dalle cariche pubbliche, uno dalle sue ricchezze; alcuni sono soffocati dalla loro stessa fama, altri dalla consapevolezza di essere ignorati; c’è chi è dominato da qualcuno, chi da se stesso; chi è costretto a restare sempre nello stesso posto in conseguenza dell’esilio, o per via di inevitabili impegni. Ogni genere di vita è una sorta di schiavitù. Per questo conviene accettare la propria condizione, qualsiasi essa sia, lamentarsene il meno possibile, e valorizzare al massimo ogni suo lato positivo: non c’è situazione tanto spiacevole in cui un animo equilibrato non riesca a trovare un qualche motivo di conforto. Spazi assai ridotti possono tornare utili come spazi più ampi: anche un metro quadrato, se lo sistemi adeguatamente, può trasformarsi in un’abitazione.

Dinanzi alle difficoltà, l’unico rimedio è usare la ragione: solo in tal modo le asprezze saranno mitigate, le angustie alleggerite; i pesi gravano meno, per chi li sa portare come si deve” (Seneca – La serenità).

Prima di continuare, per rilassarci e fare il punto della situazione rispetto a quello di cui si è parlato finora, suggeriamo di vedere il seguente filmato.

“Scusate il ritardo” – sequenza “Ti faccio mangiare da zio Vincenzo!”

Alfredo, quando cominci il prossimo spettacolo?

Mah! Lo sto ancora scrivendo! Comunque, per questo, se ne parla senz’altro l’anno venturo! Invece, fra un mese riprendiamo lo spettacolo dell’anno scorso!

Dove, a Roma?

No! Partiamo da Milano.

Valeria, basta! Guarda che se non la smetti ti faccio mangiare da zio Vincenzo!

Ma perché devi dire queste cose alla bambina?

No, niente Vincè! E che sta diventando troppo terribile! E di qualcuno deve pur avere paura!

E deve avere paura proprio di me? Con tanta gente che sta qui, devo mangiarla proprio io la bambina? E no! Poi, quando cresce, si ricorda questa cosa e dice: “Io zio Vincenzo lo odio perché da piccola mi mi mangiava! Ma perché? Falla mangiare da Alfredo!

Non ho capito! Ma perché, a me, mi può odiare?

No! Non ti può odiare! Però fra tutti e due, fra me e te è meglio che odia te! Non perché io voglio stare in pace e a te ti voglio inguaiare… però tu, bene o male, ormai sei a posto; non è che un domani dici: “Ho bisogno dei nipoti!” Hai una posizione! A me, che ne sai che mi può succedere? Mi faccio vecchio, ho bisogno di qualcosa, chiamo Valeria e lei mi risponde: “Non sono disponibile perché tu mi mangiavi da piccola.! È meglio che odia te! Tu parti, te ne vai … non è per cattiveria che ti voglio mettere contro la creatura… ma è meglio che la mangi tu!

“Scusate il ritardo” è il secondo film di Massimo Troisi, in cui si narra la storia di Vincenzo, un trentenne meridionale e disoccupato, la cui vita si dipana tra i pianti dell’amico Tonino (Lello Arena), che non riesce a darsi pace dopo essere stato lasciato dalla fidanzata, i conflitti col fratello Alfredo (Franco Acampora) e la travagliata storia con Anna (Giuliana de Sio) alla quale non riesce ad esternare tutti i sentimenti e le attenzioni che lei invece cerca. Il film è stato considerato dalla critica l’opera migliore dell’autore partenopeo, visto lo spessore tematico ed artistico e la forza e l’efficacia con cui Troisi riesce a scavare all’interno della sua anima e ottiene numerosi premi tra cui il David di Donatello (per il miglior attore non protagonista a Lello Arena e anche per la migliore attrice non protagonista a Lina Polito), la Maschera d’Argento, il Premio UBU e il Biglietto d’oro per l’incasso della stagione 1982/83.

Come mai lo abbiamo proposto?

Domandiamoci perché, Massimo Troisi, ha avuto un successo clamoroso. Oltre all’indubbia bravura, questo artista ha rappresentato una sorta di “conflitto vivente” che andava al di là del copione scenico e proseguiva in molti aspetti della propria esistenza. Tutto questo, ce lo ha fatto “vivere” come qualcosa di attinente alla nostra persona. Nel brano proposto, i conflitti riguardano il rapporto con la sorella, quello col fratello (di cui si sente inferiore) quelli con se stesso (scarsa autostima, vittimismo, etc.).

E se non bastasse quanto espresso finora, c’è anche questa interessante clip tratta da “Le vie del Signore sono finite”, un film del 1987 scritto, diretto ed interpretato da Massimo Troisi e vincitore di un Nastro d’Argento per la miglior sceneggiatura. Camillo (Massimo Troisi) un barbiere di Acquasalubre, durante il Fascismo, soffre di una malattia psicosomatica che gli impedisce l’uso delle gambe senza avere tuttavia alcuna lesione organica: il suo medico ne indica la causa nell’amore finito tra lui e Vittoria (Joe Champa).

“Le vie del Signore sono finite” – sequenza “Tribù psicosomatica”

Ma si, papà, stai tranquillo! Non ti preoccupare!

“Ve beh! Non ti preoccupare

Dammi una mano ad uscire da qua dentro!

No!

Come?

Non ne ho voglia!

Non ne ho…?

Non ne ho voglia!

Non ne ho voglia? Tu stai partendo per andare a fare la missionaria, non stai partendo per andare a giocare Non ne ho voglia! Ma tu hai idea di quello che trovi, quando vai là? Tu trovi malati gravi, malati infettivi, malati che nemmeno hai idea… mai viste malattie di quel genere. Che fai? Non ho voglia? Allora lascia stare, non andare proprio là! Hai sbagliato a fare la missionaria!

Infatti! Io vado a curare i malati veri, gravi, infettivi! Ma lo vuoi capire o no che tu non sei malato? Lo ha detto puro il dottore, hai capito? Tu sei psicosomatico!

Io sono psicosomatico! E allora? Tu vai là e trovi altri due psicosomatici e li lasci morire tutti quanti? Spiegami questa cosa: uno non può essere malato psicosomatico?

Va beh, va! Ora vado a prenderti la sedia!

E vai a prendere la sedia! Vai! Uno, allora, deve rimanere tutta la giornata qua dentro perché è psicosomatico! Se non posso camminare, non posso camminare! Pure se sono psicosomatico: è comunque una malattia!

In fondo, alla stregua di Massimo Troisi, molte volte non sappiamo come risolvere i nostri conflitti. Altre volte, invece, sapremmo che fare ma, paradossalmente, aumenta il nostro disagio interiore perché “sentiamo” di non poter applicare quanto abbiamo deciso, per questioni di opportunità contingente.

Quante volte ascoltiamo persone che affermano: “Io conosco l’origine dei miei problemi, so perché sto male, ma so che non posso farci nulla”.

Queste sono le circostanze più difficili, perché e come se per alcuni aspetti, si percepisca una realtà molto sofferente: quella di essersi recati all’interno di una struttura carceraria), essersi rinchiusi celle costruite da se stessi, avere accostato la porta di metallo (che dividerà dal mondo libero), aver girato la chiave nella serratura e, dopo, aver consegnato questa chiave a qualcuno (responsabile del non poter azionare la strategia di risoluzione dei conflitti) e, alla fine, essere rimasti da soli a riflettere sul perché… come la ragazza dell’immagine proposta precedentemente.

L’inutile corsa contro il tempo…

Occorre anche porre un limite a quel correre continuo di qua e di là, da casa a teatro, da casa al foro, come fa tanta gente che si presenta sempre con l’aria d’essere seriamente indaffarata a chi è davvero immerso in occupazioni serie. Se a una di queste persone domanderai, mentre sta uscendo di casa, dove stia andando o cos’abbia in mente di fare, ti risponderà che non ne ha idea: “Qualcuno, comunque, incontrerò, qualche cosa farò”!

Così vagano qua e là senza scopo, cercando qualcosa di cui occuparsi ma non trovandola; non fanno ciò che avevano stabilito di fare, ma quello che gli capita, appunto, a caso. Senza scopo, disordinatamente, continuano ad agitarsi, come le formiche che si arrampicano lungo i tronchi d’albero e arrivano alla cima per poi ritornare in basso senza concludere nulla.

Ogni sera, tornano a casa sfiniti dall’inutile stanchezza, giurando di non sapere essi stessi perché sono usciti e dove sono andati… ma, il giorno dopo saranno sicuramente disposti a ripercorrere un identico tragitto.

Ogni fatica, ricordalo, deve avere un senso e un fine. Tutti questi individui non sono tenuti in movimento da un’attività ma, proprio come i matti, da visioni fittizie: anche i matti sembra che si muovano con un qualche proposito ma, in realtà, si lasciano attirare da qualcosa che ha una consistenza solo apparente; qualcosa di cui, la loro mente turbata, non coglie la vacuità. Allo stesso modo, ciascuno di costoro che escono solo per accrescere la folla vagabonda per la città senza una meta, pur non avendo nulla da fare, esce di buon’ora e bussa alle porte di diverse case. A volte trova solo un servitore, altre volte nessuno, o non gli viene nemmeno aperto: in ogni caso, nessuno trova in quella casa, il senso e la motivazione delle proprie azioni. (Seneca – La serenità)

Ma… perché la vita deve andare così, ma… perché la vita non è più semplice, ma… perché devo pensare “troppo”?

In realtà, a parte il fatto che non si pensa “troppo” ma, semmai, si pensa “male”, quando attiviamo il cervello ci poniamo di fronte a diverse opzioni: quali sceglieremo? Capita sovente che, pur sapendo cosa fare non possiamo agire: a volte per opportunità , a volte per opportunismo, per non far soffrire qualcuno, a volte per non incorrere a delle problematiche conseguenti a responsabilità eccessive rispetto a quelle che vorremmo rivestire.

E allora, potremmo cambiare sistema di pensiero. Già, ma perché non lo facciamo? In fondo… è così semplice!

Perché “difendiamo” i conflitti non risolti?

A volte ci riteniamo gente strana (come sostiene Mia Martini nella canzone proposta all’inizio), ci odiamo per poi avere una motivazione di godere, brevemente, della riconciliazione, dopo aver fatto pace, non sapendo in realtà vivere in pace, perché al di fuori di una guerra c’è chi percepisce una vita piatta e quindi genera dei conflitti, aggiungendoli alle proprie vicissitudini interiori.

C’è anche un’altra verità.

Ognuno è strutturato in funzione di un percorso esistenziale, fatto di tutto ciò che ha imparato, di tutto quello che ha incontrato lungo il suo personale cammino di vita. E’ come se ognuno di noi fosse proprietario di un’impresa di costruzioni dove, al tempo stesso, riveste il ruolo di imprenditore, operaio, manovale ingegnere, geometra, architetto… e con le proprie mani si ponesse, come obiettivo, l’edificazione di una struttura complessa. Nessuno in queste circostanze sarebbe incline e felice a modificare qualcosa di ciò che ha realizzato con tanta fatica.

Immaginiamo un operaio che si costruisce la propria casa, nei momenti di festa, di notte, con qualsiasi condizione climatica, perché sono gli unici momenti che ha a disposizione. Un giorno, arriva un specialista che gli dice: “Qualcosa non va, bisognerebbe fare delle modifiche sostanziali e strutturali!”. Ebbene, questo artigiano edile si troverebbe costretto a concordare sulla diagnosi ma, al tempo stesso, all’idea di aver speso male il proprio tempo, non potrebbe non provare enorme fastidio.

Ecco perché, di solito, ci opponiamo ai cambiamenti!

Se, invece, qualcuno ci mettesse in condizione di capire che, tutto ciò che siamo diventati (con pregi e, soprattutto, difetti) fa parte del nostro modo di essere e ci ha reso unici ed irrepetibili, potremmo arrivare a concludere che, grazie alla nostra caratterizzazione, riusciremmo anche a cambiare ottimizzando ciò che abbiamo imparato e diventando migliori. Ci sentiremmo liberi…

…ma liberi da cosa?

Filumena Marturano è una commedia teatrale in tre atti scritta nel 1946 da e inserita dall’autore nella raccolta Cantata dei giorni dispari.. Nella drammaturgia internazionale è uno dei lavori più conosciuti e più apprezzati dal pubblico e dalla critica. Scritta originariamente per la sorella Titina (che rese una grande interpretazione del personaggio femminile Filumena), è stata in seguito magistralmente interpretata anche dall’attrice Regina Bianchi. La storia si snoda a Napoli e narra di Filumena, una matura signora con un passato da prostituta, che vive con Domenico Soriano, ricco pasticciere napoletano e suo “cliente” di vecchia data, di fatto amministrando e sorvegliandogli i beni e la casa come una vera e propria moglie. Per costringerlo a sposarla, Filumena si finge morente, inducendolo a credere che il legame sarebbe stato i breve durata. Dopo aver scoperto l’inganno, Domenico, furente, si rivolgerà a un avvocato, che inesorabilmente spiegherà lo stratagemma è stato inutile, perché un matrimonio contratto su quelle basi, non può essere valido. Davanti al trionfo di Domenico, la donna risponderà raccontandogli il disprezzo per la sua vita dissoluta e la sua ingratitudine (altamente drammatico il monologo sulla sua infanzia nel Vico San Liborio, a Napoli) e gli confesserà di avere tre figli, che non la conoscono come la loro madre e che ha cresciuto sottraendogli piccoli beni: uno di questi è suo figlio. Don Mimì naturalmente non le crede, ma Filumena gli ricorda quando una notte volle amarlo di un amore vero, senza “limitazioni” e “precauzioni”… ma lui non se ne rese conto e la pagò come al solito. Filumena ha conservato la banconota su cui ha segnato la data di quella notte (in cui ha concepito il ragazzo). La restituirà al proprietario (senza l’indicazione temporale) .perché i figli non si pagano!”. Dopo una serie di alterne vicende, non prive di tentativi ricattatori per scoprire quale dei tre fosse il suo vero figlio, Domenico, apprezzando la stimabilità dell’unica persona che gli ha voluto veramente bene e il valore del ruolo paterno, tornerà sui suoi passi e sposerà Filumena, finalmente libero di godersi il piacere, autentico, della vita.


FILUMENA Due minute solamente. Me fa piacere che ci siete pure voi, dopo che ho parlato con don Domenico. Accomodatevi. (Nocella, a malincuore, esce per lo studio. Rosalia, senza lasciarselo dire, esce per prima a sinistra. Filumena, posando le chiavi sul tavolo) Io me ne vado, Dummi’. Di’ all’avvocato che procedesse per vie legali. Io non nego niente e ti lascio libero.

DOMENICO ‘0 ccredo! Te pigliave na somma ‘e denare senza fa tutte sti storie…

FILUMENA (sempre calmissima) Dimane me manno a piglià ‘a rrobba mia.

DOMENICO (un po’ turbato) Si’, na pazza, chesto si’. Hai voluto guastare la pace di quei tre poveri giovani. Chi te l’ha fatto fa’? Perché glielo hai detto?

FILUMENA (fredda) Pecché uno ‘e chilli tre è figlio a te!

DOMENICO (rimane con lo sguardo fisso su Filumena inchiodato a quell’assurda verità. Dopo una pausa, cercando di reagire alla piena dei suoi sentimenti) E chi te crede?

FILUMENA Uno’ e chilli tre è figlio a te!

DOMENICO (non osando gridare, con gravità) Statte zitta!

FILUMENA Te putevo dicere ca tutt’e tre t’erano figlie, ce avarrisse creduto… T’ ‘o ffacevo credere! Ma nun è overo. T ‘o pputevo dicere primma? Ma tu ll’avarrisse disprezzate all’ati duie… E io ‘e vvulevo tutte eguale, senza particularità.

DOMENICO Nun è overo!

FILUMENA È overo, Dummi’, è overo! Tu nun te ricuorde. Tu partive, ive a Londra, Parigge, ‘e ccorse, ‘e ffemmene… Na sera, una ‘e chelli tante, ca, quanno te ne ive, me regalave na cart’ ‘e ciento lire… na sera me diciste: “Filume’, facimm’ avvedé ca ce vulimmo bene”, e stutaste ‘a luce. Io, chella sera te vulette bène overamente. Tu, no, tu avive fatto avvedé… E quanno appicciaste ‘a luce n’ata vota, me diste ‘a soleta carta ‘e ciento lire. Io ce segnaie ‘a data e ‘o giorno: ‘o ssaie ca ‘e nummere ‘e ssaccio fa… Tu po’ partiste e io t’aspettaie comm’ a na santa!… Ma tu nun te ricuorde quanno fuie… E nun te dicette niente… Te dicette c’ ‘a vita mia era stata sempe ‘a stessa… E, infatti, quanno me n’addunaie ca nun avive capito niente, fuie n’ata vota ‘a stessa. .

DOMENICO (con tono perentorio che maschera il suo inconsapevole orgasmo) E chi è?

FILUMENA (decisa) E… no, chesto nun t’ ‘o ddico! Hann’ ‘a essere eguale tutt’ ‘e tre… .

DOMENICO (dopo un attimo di esitazione, come obbedendo ad un impulso) Nun è overo… Nun pò essere overo! Me l’avresti detto allora, per legarmi, pe’ me tené stritto dint’ a na mano. L’unica arma sarrìa stata nu figlio… e tu, Filumena Marturano, di quest’arma te ne saresti servita subito.
FILUMENA Me l’avarrisse fatto accìdere… Comm’ ‘a penzave tu, allora… E pure mo! Tu nun te si’ cagnato! No una, ma ciento vote, me l’avarrisse fatto accidere! Me mettette appaura ‘e t’ ‘o ddicere! Sulo per me, è vivo ‘o figlio tuio!

DOMENICO E chi è?

FILUMENA Hann’ ‘a essere eguale tutt’ ‘e tre!

DOMENICO (esasperato, cattivo) E songo eguale!… So’ ffiglie tuoie! E nun ‘e vvoglio vedé. Nun ‘e ccunosco… nun ‘o cunosco… Vatténne!

FILUMENA Te ricuorde, aiere, quanno te dicette: “Nun giurà, ca murarisse dannato, si nu iuorno nun me putisse cercà ‘a lemmòsena tu a mme”? Perciò t’ ‘o ddicette. Statte bbuono, Dummi’. E ricuordate: si chello ca t’aggio ditto ‘o ddice a ‘e figlie mieie… t’accido! Ma no comm’ ‘o ddice tu, ca me l’he ditto pe’ venticinc’anne… comme t’ ‘o ddice Filumena Marturano: t’accido! He capito!??.. (Verso lo “studio” energica) Avvoca’, venite… (Alludendo a Diana) Viene pure tu, nun te faccio niente… He vinciuto ‘o punto. Me ne vaco. (Chiamando verso sinistra) Rosali’, viene. Me ne vaco. (Abbraccia Rosalia che entra e a lei) Dimane me manna a piglià ‘a rrobba mia. (Dallo studio compare Nocella, seguito da Diana, mentre dal fondo, senza parlare, entra Alfredo). Statevi bene, ve saluto a tutte quante. Pure a vvuie, avvoca’, e scusate. (Dal fondo viene anche Lucia).

……

FILUMENA (commossa per il tono accorato e affranto con cui Domenico ha pronunciato le sue parole, cerca di raccogliere tutti i suoi sentimenti più’ intimi per trarne, in sintesi, la formula di un discorso persuasivo, che finalmente dia all’uomo delle spiegazioni concrete e definitive) Siénteme buono, Dummi’, e po’ nun ce turnammo cchiu ncoppa. (Con uno slancio d’amore da lungo tempo contenuto) T’aggio vuluto bene cu’ tutt’ ‘e fforze d’ ‘a vita mia! All’uocchie mieie tu eri nu Dio… e ancora te voglio bene, e forse meglio ‘e primma… (Considerando d’un tratto l’inavvedutezza e l’incomprensione di lui) Ah, c he fatto, Dumml ! …’E vuluto suffrì afforza… ‘0 padreterno t’aveva dato tutto p’essere felice: salute, presenza, denaro… a me: a me, ca pe’ nun te da’ nu dulore, me sarrìa stata zitta, nun avarìa parlato manco mpunt’ ‘e morte… e tu, tu sarrisse stato ll’ommo generoso c’aveva fatto bene a tre disgraziate.,. (Pausa). Nun m’ ‘addimannà cchiu pecché nun t’ ‘o ddico. Nun t’ , ‘o pozzo dicere… E tu devi essere galantuomo a non domandarmelo mai, pecché, p’ ‘o bbene che te voglio, in un momento di debolezza, Dummi’… e sarebbe la nostra rovina. Ma nun he visto che, non appena io ti ho detto c’ ‘o figlio tuio era l’idraulico, subito he cominciato a penzà ai denari… ‘o capitale… il grande negozio… Pecché tu ti preoccupi e giustamente, pecché tu dice: “‘E denare so’ ‘e mieie”. E accumience a penzà: “E pecché nun ce ‘o ppozzo dicere ca songo ‘ pate?” – ” E gli altri due chi sono?” – ” Che diritto tèneno?” – L’inferno!… Tu capisci che l’interesse li metterebbe l’uno contro l’altro… Sono tre uomini, nun so’ tre guagliune. Sarriano capace ‘e s’accidere fra di loro… Nun penzà a te, nun penzà a mme… pienz’ a loro. Dummi’, ‘o bello d’ ‘e figlie l’avimmo perduto!… ‘E figlie so’ chille che se teneno mbraccia, quanno so’ piccerille, ca te dànno preoccupazione quanno stanno malate e nun te sanno dicere che se sènteno… Che te corrono incontro cu’ ‘e braccelle aperte, dicenno: “Papà!””… Chille ca ‘e vvide ‘e venì d’ ‘a scola cu’ ‘e manelle fredde e’o nasillo russo e te cercano ‘a bella cosa… Ma quanno so’ gruosse, quanno song’uommene, o so’ figlie tutte quante, o so’ nemice… Tu si’ ancora a tiempo. Male nun te ne voglio… Lasciammo sta ‘e ccose comme stanno, e ognuno va p’ ‘a strada soia!I nternamente si udranno i primi accordi di prova di un organo.
ROSALIA (dallo studio, seguita dai tre giovani) È venuto… è venuto ‘o ricco sacerdote…

MICHELE Mammà!…

DOMENICO (si alza dal tavolo e guarda tutti lungamente. Poi, come una decisione immediata) Lasciammo sta’ e ccose comme stanno, e ognuno va p’ ‘a strada soia… (Ai ragazzi) Io vi devo parlare… (Tutti attendono sospesi). Sono un galantuomo e non mi sento d’ingannarvi. Stateme a senti…

I TRE Si, papà!

DOMENICO (commosso guarda Filumena e decide) Grazie. Quanto mi avete fatto piacere… (Riprendendosi) Allora… Quando due si sposano è sempre il padre che accompagna la sposa all’altare. Qua genitori non ce ne sono… Ci sono i figli. Due accompagnano la sposa, e uno accompagna lo sposo.
MICHELE A mammà ‘accumpagnammo nuie. (Si avvia verso Filumena e invita Riccardo a fare altrettanto).
FILUMENA (improvvisamente ricordando) Che ore songo?

RICCARDO Mancano cinque minuti alle sei.

FILUMENA (si avvicina a Rosalia) Rosali’…

ROSALIA Nun ce penzate. Alle sei precise s’appìcceno’e ccannéle pure llà.

FILUMENA (appoggiandosi al braccio di Michele e a quello di Riccardo) Iammo…

DOMENICO (a Umberto) E a me m’accumpagne tu…

FILUMENA (si è seduta sulla poltrona e si è tolta le scarpe) Madonna, ma che stanchezza! Tutta mo m’ ‘a sento!

DOMENICO (con affetto comprensivo) Tutta la giornata in movimento… poi l’emozione… tutti i preparativi di questi ultimi. giorni… ma mo statte tranquilla e ripòsati. (Prende il bicchiere e avvicinandosi al terrazzo) È pure ‘na bella serata! (Filumena avverte qualche cosa alla gola che la fa gemere. Emette dei suoni quasi simili a un lamento. Infatti fissa lo sguardo nel vuoto come in attesa di un evento. Il volto le si riga di lacrime come acqua pura sulla ghiaia pulita e levigata. Domenico preoccupato le si avvicina) Filume’, ch’è stato?

FILUMENA (felice) Dummi’, sto chiagnenno… Quant’è bello a chiàgnere…

DOMENICO (stringendola teneramente a sé) È niente… è niente. È passato… è passato… te si’ mmisa appaura… si’ caduta… te si’ aizata… te si’ arrampicata… hai pensato, e il pensare stanca… Mo nun he ‘a correre cchiu, non he ‘a penzà cchiu… Ripòsate! …(Ritorna al tavolo per bere ancora, un sorso di vino) ‘E figlie so’ ffiglie… E so’ tutte eguale… Hai ragione, Filume’, hai ragione tu! …(E degusta il suo vino mentre cala la tela


Quanto influisce l’ambiente esterno ?

Qualcuno sostiene che il condizionamento esterno non abbia molta incidenza sui comportamenti umani. Che sia vero omeno, dipende da alcuni fattori. Il punto non è, tanto, cosa ci abbiamo insegnato i nostri genitori , o altri modelli educativi quanto, piuttosto, il valore che noi abbiamo dato a quelle persone che, in quest’ottica non sono più “colpevoli” ma solo “responsabili” di averci indotto a credere in loro. Chi ha acquisito un valore e ce lo trasmette, lo fa in buona fede. Se crediamo in lui, finiremo col credere in quel valore…per motivi affettivi o di autorevolezza.

Ecco perché , non di rado, abbiamo difficoltà a venir fuori dai conflitti o addirittura, costruiamo, su determinati conflitti, un teorema che dura tutta una vita.

Siccome, non possiamo vivere senza conflitti, e li generiamo in continuazione, la differenza fra il viver bene e il viver male non consiste nel non produrli quanto, piuttosto, nel tempo che impieghiamo per risolverli. Per “vivere” pragmaticamente ed emotivamente, le spiegazioni espresse finora, si propone un altro intenso momento di Filumena Marturano.


Me site figlie! E io so’ Filomena Marturano, e nun aggio bisogno ‘e parlà. Vuie site giuvinotte e avite ntiso parlà ‘e me. (I tre giovani rimangono impietriti: Umberto sbiancato in volto, Riccardo gli occhi a terra come vergognoso, Michele con la sua aria imbambolata per la meraviglia e la commozione. Filumena incalza) ‘E me nun aggi’ ‘a dicere niente! Ma ‘e fino a quanno tenevo diciassett’anne, si. (Pausa). Avvoca’, ‘e ssapite chilli vascie… (Marca la parola) I bassi… A San Giuvanniello, a ‘e Virgene, a Furcella, ‘e Tribunale, ‘o Pallunetto! Nire, affummecate… addò ‘a stagione nun se rispira p’ ‘o calore pecche ‘a gente è assaie, e ‘a vvierno ‘o friddo fa sbattere ‘e diente… Addò nun ce sta luce manco a mieziuorno… Io parlo napoletano, scusate… Dove non c’è luce nemmeno a mezzogiorno… Chin’ ‘e ggente! Addò è meglio ‘o friddo c’ ‘o calore… Dint’ a nu vascio ‘e chille, ‘o vico San Liborio, ce stev’io e’ ‘a famiglia mia. Quant’èramo? Na folla! Io ‘a famiglia mia nun saccio che fine ha fatto. Nun ‘o vvoglio sapé. Nun m’ ‘o rricordo’,.. Sempe ch’ ‘e ffaccie avutate, sempe in urto Il’uno cu’ ll’ato… Ce coricàvemo senza di’: “Bonanotte!”. Ce scetàvemo senza di’: “Bongiorno!” Una parola bbona, me ricordo ca m’ ‘a dicette patemo… e quanno m’ ‘arricordo tremmo mo pe’ tanno… Tenevo tridece anne. Me dicette: “Te staie facenno grossa, e ccà nun ce sta che magna, ‘o ssaje?” E ‘o calore!… ‘A notte, quanno se chiudeva ‘a porta, nun se puteva rispirà. ‘A sera ce mettévemo attuorno ‘a tavula… Unu piatto gruosso e nun saccio quanta furchette. Forse nun era overo, ma ogne vota ca mettevo ‘a forchetta dint’ ‘o piatto, me sentevo ‘e guarda. Pareva comme si m’ ‘avesse arrubbato, chellu magna!… Tenevo diciassett’anne. Passavano ‘e ssignurine vestite bbene, cu’ belli scarpe, e io ‘e guardavo… Passàveno sott ‘o braccio d’ ‘e fidanzate. Na sera ncuntraie na cumpagna d’ ‘a mia, che manco ‘a cunuscette talmente steva vestuta bbona… Forse, allora, me pareva cchiù bello tutte cose… Me dicette (sillabando): “Cosi… così… cosi…” Nun durmette tutt’ ‘a notte… E ‘o calore… ‘o calore… E cunuscette a tte! (Domenico trasale). Là, te ricuorde?… Chella “casa” me pareva na reggia… Turnaie na sera ‘o vico San Liborio, ‘o core me sbatteva. Pensavo: “Forse nun me guardaranno nfaccia, me mettarranno for’ ‘a porta!” Nessuno mi disse niente: chi me deva ‘a seggia, chi m’accarezzava… E me guardavano comm’ a una superiore a loro, che da suggezione… Sulo mammà, quanno ‘a iette a salutà, teneva ll’uocchie chin’ ‘e lagreme… ‘A casa mia nun ce turnaie cchiù! (Quasi gridando) Nun ll’aggio accise ‘e figlie! ‘A famiglia… ‘a famiglia! Vinticinc’anne ce aggio penzato! (Ai giovanotti) E v’aggio crisciuto, v’aggio fatto uommene, aggio arrubbato a isso (mostra Domenico) pe’ ve crescere!

Come si affrontano e si risolvono i conflitti interiori?

Imparando come acquisire una graduatoria di valori . Un conto è: dover scegliere sulla base dell’appagamento relativo ad un bisogno primario necessario indispensabile, un conto è dover scegliere sulla base di qualcosa che migliorerà la qualità della nostra vita anche senza possedere i criteri di indispensabilità; altra cosa, ovviamente, è dover scegliere se appagare o meno un desiderio di scarsa incidenza.

Purtroppo molta gente non sa fare la differenza, e mette tutto sullo stesso piano, per cui sarebbe disponibile a saltare il pranzo, pur di comprarsi il capo di abbigliamento più alla moda. Questo, ovviamente, dimostra confusione nel vivere.

Ci sono tre modalità di gestione dei conflitti:

    • la prima è risolverli;

    • la seconda è quella di metterli da parte, come all’interno di un cassetto, dove li depositiamo;

  • la terza , consiste in una sorta di dinamica “libera”, lasciandoli “scorrazzare” e “imperversare” nella nostra mente.

Nel primo caso, risolviamo, diventando migliori. Nel secondo caso per abitudine, i conflitti li mettiamo continuamente da parte, li “blocchiamo” in una sorta di “sala d’aspetto” privandoci della possibilità di contare su risorse mentali che impegneremo per contenere la calca che fa confusione in attesa che prenderemo una decisione; per questo motivo, ci sentiremo sempre più stanchi e sempre più lontani dall’obbiettivo che vorremmo raggiungere: procedendo di questo passo, ci spegneremo a poco a poco nella discesa verso gli inferi della depressione. Nel terzo caso, siccome i conflitti “ballano” liberamente nella nostra mente, si determinerà un quadro sempre più grave di saturazione che, dall’isteria potrà sfociare nel tempo in manifestazioni psicotiche.

Suggeriamo un’occhiata a quest’altro passaggio di Filumena Marturano, in cui vediamo la protagonista di fronte ad un bivio importante.


Erano ‘e tre dopo mezanotte. P’ ‘a strada cammenavo io sola. D’ ‘a casa mia già me n’ero iuta ‘a sei mise. (Alludendo alla sua prima sensazione di maternità) Era ‘a primma vota! E che ffaccio? A chi ‘o ddico? Sentevo ncapo a me ‘e voce d’ ‘e ccumpagne meie: “A che aspetti! Ti togli il pensiero! Io cunosco a uno molto bravo..”. Senza vulé, cammenanno cammenanno, me truvaie dint’ o vico mio, nnanz’ all’altarino d’ ‘a Madonna d’ ‘e rrose. L’affruntaie accussì (Punta i pugni sui fianchi e solleva lo sguardo verso una immaginaria effige, come per parlare alla Vergine da donna a donna): “C’aggi’ ‘a fa’? Tu saie tutto… Saie pure pecchè me trovo int’ ‘o peccato. C’aggi’ ‘a fa’?” Ma essa zitto, nun rispunneva. (Eccitata) “E accussì ffaie, è ove’? Cchiù nun parle e cchiù ‘a gente te crede?… Sto parlanno cu’ te! (Con arroganza vibrante) Rispunne!” (Rifacendo macchinalmente il tono di voce di qualcuno a lei sconosciuto che, in quel momento, parlò da ignota provenienza) “‘E figlie so’ ffiglie!”. Me gelaie. Rummanette accussì, ferma. (S’irrigidisce fissando l’effige immaginaria) Forse si m’avutavo avarria visto o capito ‘a do’ veneva ‘a voce: ‘a dint’ a na casa c’ ‘o balcone apierto, d’ ‘o vico appriesso, ‘a copp’ a na fenesta… Ma penzaie: “E pecchè proprio a chistu mumento? Che ne sape ‘a ggente d’ ‘e fatte mieie? E’ stata Essa, allora… È stata ‘a Madonna! S’è vista affrontata a tu per tu, e ha vuluto parlà… Ma, allora, ‘a Madonna pe’ parlà se serve ‘e nuie… E quanno m’hanno ditto: “Ti togli il pensiero!”, è stata pur’essa ca m’ ‘ha ditto, pe’ me mettere ‘a prova!… E nun saccio si fuie io o ‘a Madonna d’ ‘e rrose ca facette c’ ‘a capa accussì! (Fa un cenno col capo come dire: “Si, hai compreso”) ‘E figlie so’ ffiglie!” E giuraie.

Che disturbi producono?

Da quel guado emotivo costituitosi a seguito delle perturbazioni indecisionali, emerge una pletora di disturbi (assimilabili alla sindrome da stress post traumatico), in funzione del tipo di personalità soggettiva: ossessioni, stati d’ansia, angoscia, attacchi di panico, riduzione considerevole dell’efficienza operativa, profonda astenia, dubbi, incertezze, etc.

Il padrino si confessa


Non vorresti che io adesso ti confessassi?

– Vostra Eminenza io… è passato tanto tempo. Non saprei da dove… sono trent’anni che, io, io le farei perdere troppo tempo, temo.

– Trovo sempre il tempo per salvare un’anima.

– Beh! La mia è un’anima irrecuperabile.

– No, no! Potete allontanarvi per qualche minuto, per cortesia? Grazie! Io ascolto le confessioni dei miei preti proprio qui! A volte il bisogno di confessarsi è irresistibile e noi dobbiamo cogliere il momento.

– A che cosa serve la confessione se io non mi pento?

– Dicono che tu sia un uomo pratico. Che cos’hai da perdere? Eh? Coraggio!

– Io ho tradito mia moglie.

– Continua, figliolo!

– Ho tradito me stesso, ho ucciso uomini e di altri ho ordinato la morte.

– Ti prego, continua figliolo!

– È inutile!

– No! Coraggio!

– Ho ucciso… ho ordinato di uccidere mio fratello. Mi aveva fatto uno sgarbo. Ho ucciso la carne di mia madre. Ho ucciso la carne di mia madre!

– I tuoi peccati sono tremendi ed è giusto che tu ne soffra. La tua vita potrebbe essere redenta ma so che in questo tu non credi. Non cambierai. “Ego te absolvo in nomine patris et filii et spiritus sancti. Amen”.

Ultimo suggerimento


Finito il tempo di cantare insieme… si chiude qui la pagina in comune. Il mondo si è fermato… io ora scendo qui, prosegui tu, ma non ti mando sola… Ti lascio una canzone, per coprirti se avrai freddo, ti lascio una canzone da mangiare se avrai fame; ti lascio una canzone da bere se avrai sete, ti lascio una canzone da cantare… una canzone che tu potrai cantare a chi… a chi tu amerai dopo di me…. Ti lascio una canzone da indossare sopra il cuore; ti lascio una canzone da sognare quando hai sonno; ti lascio una canzone per farti compagnia; ti lascio una canzone da cantare… una canzone che tu potrai cantare a chi… a chi tu amerai dopo di me… a chi non amerai senza di me… (Gino Paoli)

G. M. – Medico Psicoterapeuta

Si ringraziano, rispettivamente (e sentitamente), Adelina gentile (Counselor) Erminia Acri (Avvocato e Counselor), Francesca Miceli (Counselor) e Giovanna Conforti (Counselor, esperta di Marketing) per la collaborazione offerta nella stesura del dattiloscritto